Scritti in mostra.
L’avanguardia come zona. 1958-2008
di Fabio Mauri
a cura di Francesca Alfano Miglietti
Il Saggiatore, 2019 (prima edizione 2008)
pp. 402
€ 35,00 (cartaceo)
€ 15,99 (ebook)
C’è chi pensa che bisognerebbe fare a meno della critica, o al limite farvi ricorso tanto quanto basta: secondo questa scuola di pensiero, romanzieri, poeti, filosofi e musicisti andrebbero conosciuti nel confronto diretto con le opere, facendo a meno di mediatori più o meno illuminanti (quando non fuorvianti). Lo stesso, secondo logica, sarebbe valido anche per l’arte, con una fruizione senza filtri di pitture, sculture, performance e installazioni di vario genere. Ma che fare, soprattutto in quest’ultimo caso, se è proprio l’artista a produrre testi che lo riguardano? Che fare, cioè, quando la parola – di commento, di chiosa, di corredo – viene esibita alla pari di un progetto estetico e si pone quale parte integrante e non scindibile rispetto al tutto? Non sono mancati i casi, nelle varie epoche, di creativi che furono anche dicitori di se stessi: basti pensare, per limitarsi al solo Novecento, alla produzione programmatica di manifesti nei primi decenni del secolo e, per ampliare ulteriormente il campo, all’importanza assunta dalla componente linguistica e verbale in ciò che a lungo era stato ritenuto dominio esclusivo di valori retinici, formali e plastici. Tra gli artisti che in qualche modo si fecero esegeti e filologi del proprio operato ci fu anche Fabio Mauri (1926-2009), uno dei massimi esponenti dell’avanguardia italiana di cui Il Saggiatore ha appena ripubblicato una raccolta di scritti – curata ancora una volta da Francesca Alfano Miglietti – che rende conto di cinquant’anni di intensa attività.
L’avanguardia come zona. 1958-2008
di Fabio Mauri
a cura di Francesca Alfano Miglietti
Il Saggiatore, 2019 (prima edizione 2008)
pp. 402
€ 35,00 (cartaceo)
€ 15,99 (ebook)
C’è chi pensa che bisognerebbe fare a meno della critica, o al limite farvi ricorso tanto quanto basta: secondo questa scuola di pensiero, romanzieri, poeti, filosofi e musicisti andrebbero conosciuti nel confronto diretto con le opere, facendo a meno di mediatori più o meno illuminanti (quando non fuorvianti). Lo stesso, secondo logica, sarebbe valido anche per l’arte, con una fruizione senza filtri di pitture, sculture, performance e installazioni di vario genere. Ma che fare, soprattutto in quest’ultimo caso, se è proprio l’artista a produrre testi che lo riguardano? Che fare, cioè, quando la parola – di commento, di chiosa, di corredo – viene esibita alla pari di un progetto estetico e si pone quale parte integrante e non scindibile rispetto al tutto? Non sono mancati i casi, nelle varie epoche, di creativi che furono anche dicitori di se stessi: basti pensare, per limitarsi al solo Novecento, alla produzione programmatica di manifesti nei primi decenni del secolo e, per ampliare ulteriormente il campo, all’importanza assunta dalla componente linguistica e verbale in ciò che a lungo era stato ritenuto dominio esclusivo di valori retinici, formali e plastici. Tra gli artisti che in qualche modo si fecero esegeti e filologi del proprio operato ci fu anche Fabio Mauri (1926-2009), uno dei massimi esponenti dell’avanguardia italiana di cui Il Saggiatore ha appena ripubblicato una raccolta di scritti – curata ancora una volta da Francesca Alfano Miglietti – che rende conto di cinquant’anni di intensa attività.
Si intuisce già dal titolo, Scritti in mostra. L’avanguardia come zona. 1958-2008, che tra gli obiettivi del volume, edito una prima volta nel 2008, c’è proprio l’esibizione, e dunque la fruizione da parte di un pubblico di lettori: un modo per comprendere ancora meglio la poetica di un artista di grande e riconosciuto valore, e che tuttavia, nei molti testi selezionati, non cede mai alla tentazione di spiegare se stesso ex cathedra, dando sempre l’impressione di tentare un ampliamento della consapevolezza del proprio operato (per sé come per gli altri) attraverso un procedimento tutt’altro che didattico; proprio lui, che per vent’anni ha insegnato Estetica della sperimentazione all’Accademia di Belle Arti dell’Aquila. Certo qualcosa è cambiato rispetto a più di dieci anni fa, ed è la stessa curatrice, in apertura di volume, a dichiarare le principali differenze rispetto all’edizione d’esordio; mutamenti che evidentemente non riguardano solo i contenuti epistolari inediti e la selezione di immagini in bianco e nero:
«in questo volume sono state apportate modifiche sostanziali rispetto a quello uscito nel 2008, l’aggiunta di un nuovo testo, una nuova introduzione, e la pubblicazione di frammenti che non erano parte del libro precedente. Molte cose sono successe dalla prima uscita del libro, il 30 aprile 2008, la più significativa è che Fabio Mauri il 19 maggio del 2009 è deceduto» (p. 11).
Se la morte è un discrimine – Mauri l’avrebbe ritenuta un’eventualità “ragionevole” – dieci anni sono un intervallo di tempo sufficiente per sentire il bisogno di dare nuovamente voce a un protagonista così eclettico del Novecento italiano, che fu artista non meno che filosofo, editore non meno che professore. Articolata in due sezioni, Scritti in mostra e Storie e storia, e arricchita dalle due appendici comprensive di un Indice delle mostre / 1954-2008 e di una Bibliografia / 1955-2007, la miscellanea si configura quale autentico tomo di quattrocento pagine in cui trovano albergo testi privati e d’occasione, concepiti per le più varie necessità (esposizioni, cataloghi, lezioni, interventi): perché, come ben dice Francesca Alfano Miglietti, «ogni evento in Mauri si trasforma in linguaggio, un linguaggio che non si limita a descrivere ma interpreta gli stessi eventi» (p. 13). I materiali offerti alla fruizione di chi legge sono dunque «racconti autobiografici, estratti da appunti personali, progetti installativi e performativi, note alle opere, piccolo saggi su temi come l’arte, la critica, il linguaggio e l’ideologia» (p. 13); questo ultimo aspetto in particolare appassionò Mauri per tutta la vita, dal momento che vi ritrovò l’equivalente europeo del cosiddetto “oggetto ansioso” americano, ovvero ciò a cui gli artisti del vecchio Continente dedicarono le loro principali attenzioni fino alla fine del Novecento. Il secondo conflitto mondiale, il fascismo, il nazismo, l’olocausto, la questione ebraica, la guerra fredda, la dialettica tra il bene e il male, il ruolo dell’intellettuale e della stessa arte nella società ricorrono nella biografia e nella produzione di un uomo che ha conosciuto lo shock bellico e la dolce vita, che ha vissuto in anni in cui le idee erano così tante che se ne poteva abbandonare più d’una senza né rimorsi né rimpianti, che ha fatto della sperimentazione mediale una chiave per comprendere il mondo e che ha frequentato con passione colleghi e sodali; e se fulminanti, a questo proposito, sono le pagine dedicate all’incontro d’infanzia con l’ormai senile Pirandello (che lo guardò a lungo e senza pietà in un modo che lo ferì per tutta la vita, con una violenza che molte altre volte avrebbe sperimentato), sono numerosi i passaggi dedicati a Pasolini, che nel 1975, alla Galleria Comunale d’Arte Moderna di Bologna, accettò di farsi schermo per la proiezione del suo Il Vangelo secondo Matteo (Intellettuale era il titolo del lavoro) e con cui fondò la rivista Il Setaccio (mentre con Eco, Sanguineti, Pagliarani, Balestrini, Porta, Arbasino e Manganelli avrebbe fondato Quindici, e con Kounellis La città di Riga).
Per la mole importante e il contenuto sofisticato, gli Scritti in mostra di Fabio Mauri piaceranno soprattutto agli amanti dell’artista e alla variegata categoria degli addetti ai lavori: critici e storici, studiosi e studenti raccoglieranno la sfida lanciata da centinaia di pagine fitte di pensieri e parole. Nulla impedisce, tuttavia, che questo corpus di teorie e riflessioni così esplicitamente offerto alla fruizione pubblica – per l’appunto “mostrato”, “in mostra” – possa appassionare anche i più profani, a patto che accettino di compiere una piccola ricerca preliminare sull’artista e sulle sue opere. Così, nei discorsi lunghi e brevi di un autore che non manca di interrogarsi sulla ricettività del proprio uditorio, avvertiranno ancora meglio il suo bisogno di raccontare se stesso all’altro per il tramite della propria ricerca. Non bisogna però avere fretta, né di concludere né di comprendere: Mauri, del resto, ha avuto bisogno di una vita intera per provare a darsi ragione delle proprie idee, tradurle in arte, tradurle nuovamente in prosa e poi raccoglierle sottospecie di libro; un libro che Francesca Alfano Miglietti definisce necessario «per capire parte del suo lavoro, della sua capacità poetica e teorica, della sua necessità di mettere nero su bianco, mostra per mostra, le sue intenzioni» (pp. 11-12).
Cecilia Mariani