Settembre 1972
di Imre Oravecz
Edizioni Anfora, 2019
Traduzione di Vera Gheno
pp. 132
€ 15,50 (cartaceo)
€ 3,99 (ebook)
Sei divenuta totalmente astratta, come un pensiero malato o un’ossessione, di cui ne ho abbastanza, ma di cui non riesco a liberarmi. (p. 37)Una donna e un uomo si conoscono, si amano di una folle passione, si lasciano e prendono, poi però si sposano, hanno un figlio e di fronte alla monotonia della vita coniugale e ai tradimenti reciproci, divorziano senza mai allontanarsi completamente. Sembra la trama di una comune storia d’amore quella di Settembre 1972 di Imre Oravecz. E così sarebbe se le novantadue «annotazioni improvvise» che compongono il mosaico di questo spaccato di vita si limitassero a raccontare in maniera canonica una relazione. Ma lo scrittore ungherese fa molto di più e con un singolo libro di centotrenta pagine compila il lemma della parola amore nel dizionario della vita e delle emozioni di ciascuno di noi.
Quale altro modo di raccontarlo, l’amore, se non con un accumulo di parole e di pensieri, dato che per antonomasia il cuore viaggia su un binario diverso rispetto alla ragione? Non c’è logica temporale o spaziale in Settembre 1972, così come nessuna regola organizza le tappe di esacerbazione del dolore per la fine di un amore. Così non conosciamo nomi, luoghi o date; il flusso della storia è solo quello dei sentimenti e i capitoli (a volte lunghi meno di mezza pagina) cesellano un’accumulatio di tormento e di verità, di lacerazione e squarci da cui non si può sfuggire e che in modo inevitabile caratterizzano anche i momenti felici. Un amore così totalizzante non possiede un’unica sfumatura: Oravecz dipinge tutti i toni della vita, senza scegliere un colore dominante ma presentando tutte le palette delle emozioni.
Per questo non importa quale storia d’amore stiamo vivendo. In qualunque tappa della vita siamo giunti, in Settembre 1972 ci siamo anche noi, in un libro che scioglie le briglie dei generi letterari e si stacca dalla singolarità della non fiction per restituire un testo universale, dotato del magnetismo d’intenti che qualunque opera di narrativa possiede. In un continuum tra poesia e diario, romanzo e flusso di coscienza, ogni stazione della via crucis amorosa di Settembre 1972 ha spesso bisogno di poche parole per esplodere in tutta la sua inevitabilità, in grado di squarciare dentro un dolore che non è del lettore, ma che subito lo diventa perché chiunque abbia amato sa che cosa significa quello che Oravecz scrive, trasudando verità da ogni parola.
Così si scoprirà cosa significa amare silenziando i cinque sensi per brancolare nella realtà guidati da qualcosa di impalpabile:
Per questo non importa quale storia d’amore stiamo vivendo. In qualunque tappa della vita siamo giunti, in Settembre 1972 ci siamo anche noi, in un libro che scioglie le briglie dei generi letterari e si stacca dalla singolarità della non fiction per restituire un testo universale, dotato del magnetismo d’intenti che qualunque opera di narrativa possiede. In un continuum tra poesia e diario, romanzo e flusso di coscienza, ogni stazione della via crucis amorosa di Settembre 1972 ha spesso bisogno di poche parole per esplodere in tutta la sua inevitabilità, in grado di squarciare dentro un dolore che non è del lettore, ma che subito lo diventa perché chiunque abbia amato sa che cosa significa quello che Oravecz scrive, trasudando verità da ogni parola.
Così si scoprirà cosa significa amare silenziando i cinque sensi per brancolare nella realtà guidati da qualcosa di impalpabile:
Solo noi non eravamo da nessuna parte, solo noi eravamo spariti, insieme alla nostra leggerezza, alla nostra vulnerabilità, al nostro sperpero, alla nostra giovinezza, solo noi aveva inghiottito il tempo che, come un guardone, si aggirava sempre intorno a noi. (p. 19)
O immaginare che pure ciò che di noi è sempre sotto ai nostri occhi venga, finalmente, dotato di significato grazie all’altro:
Vorrei, attraverso l’unione con te, vestire di un significato il mio corpo e in tal modo rendere sopportabile la mia corporeità. (p. 64)
Per poi perdere ciò che dava un senso alla vita e affogare nell’oblio della perdita di coscienza:
Così compresi che esiste cosa peggiore del peggio, ed è la continua incertezza che ormai è parte della mia vita, e sulla cui corda, con in mano l’asta dei tranquillanti, sono in equilibrio sopra il nulla. (p. 47)
E non gettare mai la spugna, in un tirare e mollare la cima che ci tiene legati a qualcuno, pur sapendo che non c’è più la passione di un tempo ad annodare le corde:
Io sono grato del tuo sforzo, e apprezzo a dovere ciò che fai per me, perché so che non è facile amare se si è amati, come non era facile nemmeno per quando ancora mi amavi e io non ti amavo ancora. (p. 52)
Come sopravvivere alla solitudine? Soltanto privandosi di una parte di sé e annullandosi:
Perché il tuo io era a tal punto diventato parte del mio io, ne era a tal punto la parte a volte migliore, a volte peggiore, che lasciando te avrei lasciato me stesso, ma questo avrei potuto farlo solo mettendo fine a me stesso. (p. 63)
Quando, infine, si decide di chiudere, rimane comunque l’impossibilità di ricominciare completamente:
Ti dimenticai completamente, e diventasti del tutto astratta, insensata, come una parola in disuso che ancora ripeto ma ormai non so cosa significhi. (p. 95)
Settembre 1972 di Imre Oravecz dimostra che al giorno d’oggi (anche se il libro è uscito per la prima volta in Ungheria nel 1988) si può parlare d’amore senza scadere nel pruriginoso o nel melodrammatico, e che un’opera non ha bisogno di etichette per essere definita. Basta la sua bellezza e la sua potenza a caratterizzarla e in questo caso, in cui la trama è l’aspetto meno importante del libro, sono la lingua e la struttura di un pensiero artistico a rendere l’opera un’immancabile perla di letteratura contemporanea.
Per non identificare la letteratura ungherese solo con le atmosfere distopiche della Kristof o con i testi di Marai, si potrebbe approfittare del tour di presentazione di Settembre 1972 che Imre Oravecz terrà nei prossimi giorni. L’autore dialogherà con Nadia Terranova al festival PordenoneLegge, il prossimo 19 settembre; Edizioni Anfora e Oravecz toccheranno poi Padova (20 settembre, libreria Zabarella), Torino (21 settembre, libreria Trebisonda), Milano (22 settembre, Tempo ritrovato libri) e Pavia (23 settembre, libreria Il Delfino).
Per non identificare la letteratura ungherese solo con le atmosfere distopiche della Kristof o con i testi di Marai, si potrebbe approfittare del tour di presentazione di Settembre 1972 che Imre Oravecz terrà nei prossimi giorni. L’autore dialogherà con Nadia Terranova al festival PordenoneLegge, il prossimo 19 settembre; Edizioni Anfora e Oravecz toccheranno poi Padova (20 settembre, libreria Zabarella), Torino (21 settembre, libreria Trebisonda), Milano (22 settembre, Tempo ritrovato libri) e Pavia (23 settembre, libreria Il Delfino).
Federica Privitera
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