di Andrea Donaera
NN Editore, 2019
pp. 226
€ 16,00 (cartaceo)
€ 7,99 (ebook)
Io sono la bestia si apre all'insegna di una focalizzazione interna dura, implacabile; l'artificio della regressione verista prestato alla contemporaneità. La terra, aspra, violenta, il determinismo spietato del resto sono gli stessi. Mimì cammina nervosamente intorno alla bara, in una stanza dall'umidità soffocante, straripante di gente, e pensa che vorrebbe ucciderli tutti:
La vita, Mimì, gli sembra che gliela stanno stuprando: la vita, la vita sua, i figli suoi. Tutti che entrano, nella vita sua, fanno quello che vogliono. E li ammazzerebbe tutti, tutti. (p. 20)
Non è il dolore che lo domina, ma una rabbia sorda e cieca, una lacerante sete di vendetta. Michele, suo figlio, è il corpo dentro la bara. Si è lanciato dal balcone, lasciando una lettera che non è una lettera, e che il padre non può capire. Una poesia, in cui ciò che è stato cancellato è più importante di ciò che resta:
Mi fa male tutto. La bestia mi ha reso bestia. Anche io sono bestia, ora.[...]
Mi fa male un padre in tutto il mio corpo.[...]
Bella N., ho odiato tutti tranne te. (p. 23)
È Mimi, la bestia, il capo della Sacra Corona Unita, organizzazione mafiosa pugliese. La bestia è nella ferocia inscritta nelle sue carezze, nei respiri affannosi, negli occhi assetati di sangue, nella quiete vibrante che precede lo scoppio di una furia inumana. La bestia è come "un germe capace di trasferirsi, di infettare" (p. 32). La bestia è un embrione di male che cresce contagiando tutti. E tutti ne scontano gli effetti. In primo luogo Veli, che è andato in pezzi e non riesce a rimetterli, rimettersi, insieme – da novantaquattro giorni è segregato in un casolare sperduto nelle campagne, "la sede di un incubo. E che incubo sia, dunque: sporco, infetto, orrendo" (p. 31). Due sono le sue colpe: avere un cuore, un cuore vero, ed essersi innamorato di Arianna, la figlia del boss. E poi Nicole, la "bella N." della poesia di Michele, che ha riso di lui poco prima del suo suicidio, e per questo deve pagare. E Arianna, che sente solo vuoto dentro, non riesce più a scrivere, e sa che nessuno la conosce più davvero. Il romanzo di sviluppa in un alternarsi di punti di vista. Ma non si tratta di un affresco corale, piuttosto di un brano musicale a più voci, carico di dissonanze: alla narrazione esterna a focalizzazione interna per Mimì e Arianna si oppone quella schiettamente interna per i personaggi esterni alla famiglia, Veli e Nicole, che hanno ancora un’interiorità in cui scavare, che ancora possono provare a ribellarsi.
Nel procedere sferzante della scrittura, Donaera rivela sulla pagina personaggi alla deriva, che si disgregano, dominati da una violenza ineluttabile. Persino Mimì, la bestia, a un certo punto (non ci si spiega come) strappa il cuore nella sua solitudine – nel collassare del suo sistema di certezze e ipocrisia – quando si scopre non più animale rabbioso, ma "bestia in un macello" (p. 71). Nemmeno la pietà può però durare, in un contesto dai valori stravolti, e così diventa repulsione di fronte a quello che si rivela più che vittima un uomo grottesco, che nell'arrendersi alla vita – e ancor più alla morte – decide di trascinarsi dietro quante persone può:
Mimì ci pensa, e pensandoci prova a darsi delle risposte, quello che si risponde è che lui basta, basta, ecco, la parola che gli preme, non è esatto che gli preme, è esatto che gli rode, dentro, una specie di cancro, dentro, la parola "basta". (p. 107)
Al centro della scena i figli, figli che neppure la scrittura può salvare, sebbene tutti prima o dopo provino a rifugiarvisi, trovandola però inefficace, menzognera. Non c'è salvezza, neanche nella parola. Perché non scappi? La domanda ritorna martellante, tutti la pongono, e se la pongono, prima o dopo, e la risposta è una sola: "Non si può scappare [...]. Non si può" (p. 202). “Mai il coraggio di un colpo di grazia” – scrive anche Michele, in una delle venti poesie che il lettore può scegliere di scaricare come contenuto digitale integrativo al volume – e nell’espressione utilizzata si legge tutta la dolorosa ambiguità di una fine desiderata e continuamente posposta e di una armonia ricercata e mai concessa a chiunque si muova nell’orbita della bestia.
Solo Nicole rimane pura, incontaminata, in mezzo alla malvagità dilagante, o alla resa incondizionata di chi non ha più forza di opporsi. Solo Nicole è vera (e non è un caso che alla verità, nel romanzo, venga riservato il corsivo delle cose rare e preziose, delle cose inaspettate e stranianti). Solo lei, non ancora toccata dalla bestia, potrebbe forse salvarsi. Lei insieme a Veli, che si trova ancora sull'orlo del baratro: grazie al suo cuore, alla sua sensibilità, a una vita diversa, non ci è ancora finito dentro – e il lettore tifa, spera, resta in attesa col fiato trattenuto. Lo sa, però, che quella che ha dinanzi è un'epopea della distruzione, una pandemia per cui non esiste cura.
Quella di Donaera è una prosa che ti scortica: ti strappa via la pelle, e con essa ogni forma di protezione e resistenza. Dopodiché ti catapulta all'interno della mente dei protagonisti, delle dinamiche letali che li tengono legati gli uni agli altri.
Si arriva esausti, alla fine del volume: scossi nel profondo e incapaci di iniziare un libro nuovo, avvinti come si è a quello appena concluso. Che è poi tutto quel che si deve chiedere alla buona letteratura.
Carolina Pernigo