Case di vetro
di Louise Penny
Einaudi, 2019
Traduzione di Letizia Sacchini
pp. 560
€ 15 (cartaceo)
€ 7,99 (ebook)
€ 15 (cartaceo)
€ 7,99 (ebook)
L’ispettore Armande Gamache è un tipo tranquillo, nonostante per lavoro affronti il male in ogni sua forma. Proprio per questo, per l’esigenza di evadere, il suo rifugio preferito resta Three Pines, un piccolo villaggo a Sud di Montreal, vicino al confine con il Vermont, tranquillo, isolato, immerso nei boschi. Ed è così che ce lo presenta Louise Penny, dopo averci condotti nell’aula torrida di un tribunale, dove si discute di un misterioso caso.
Lui e Reine-Marie avevano scelto di vivere a Three Pines innanzitutto perché era un bel posto, e anche perché era difficile da scovare. Era un porto sicuro, un cuscinetto di protezione dalle brutture e dalla ferocia a cui Gamache assisteva ogni giorno, quelle del mondo al di là del bosco. (p. 14)
L’uso dell’intreccio, giocato su analessi e prolessi, ci catapulta quindi al di là del bosco già dal primo momento, e rientriamo con il protagonista nell’aula del tribunale, di fronte ad una giovane giudice, Maureen Corriveau, che si trova sul banco dei testimoni proprio il capo della Polizia, ovvero della Sûreté, Armand Gamache. Di cosa è accusato? In realtà di nulla, ma è il testimone chiave di uno strano processo, che ha catapultato Three Pines agli onori della cronaca nell’inverno precedente.
Durante i festeggiamenti per Halloween, infatti, era comparso d’improvviso nel villaggio uno strano personaggio, travestito in maniera alquanto sinistra, che per gli abitanti del villaggio comincia ad essere una presenza costante, ben oltre la festa, nei giorni successivi era rimasto impalato in mezzo al prato, a fissare le case e i suoi abitanti.
Il discorso sullo sconosciuto era ripreso al bistrot, che per tutti i protagonisti è un luogo di incontro, dove anche il lettore impara a conoscere le anime del villaggio; dalla libraia Myrna, al proprietario del bistrot Oliver, alla pittrice Clara, la poetessa Ruth, il giovane lavapiatti Anton, aspirante Chef, la fornaia Sarah e la sua aiutante Jacqueline, bravissima con i biscotti ma disastrosa con le baguette.
Ma il processo continua e comincia a sembra chiaro al lettore che l’uomo vestito di nero, che lo stesso Gamache ha creduto per un momento la personificazione stessa della morte, c’entra qualcosa.
Come saranno sconvolte le vite di quel tranquillo villaggio canadese? In che modo Gamache ci condurrà dentro la sua parte oscura? Se il compito dello scrittore è creare mondi, che non abbiamo intenzione di svelare in tutta la loro complessità, questo giallo di Louise Penny è un universo di mondi paralleli, giocati sul contrasto città-campagna, crimine-onestà, vita-morte. Anche la vita di ogni personaggio è un duplice anelito al bianco e al nero che albergano in ognuno di noi, e solo la sensibilità della scrittrice riesce a farci dimenticare il genere, per assumere forme più complesse di romanzo.
Non è la solita inchiesta poliziesca, è un giallo atipico, dove si intrecciano piano personale e sfera pubblica, storia e cronaca, crimini del passato e criminalità organizzata. Interessante la figura del cobrador, che nella versione Cobrador del frac esiste davvero e segue come un’ombra i debitori insolventi (ci sono parecchi articoli di varie testate, a lui dedicati, per chi volesse approfondire). La sensibilità che pervade il libro si scopre anche in una nota personale dell’autrice a fine narrazione, dove spiega che questo libro è stato scritto mentre un grave lutto l’aveva colpita, la morte del marito, malato da tempo. Testimonianza che la letteratura e i libri ci salvano anche nei momenti più difficili, portandoci in luoghi di pace e oasi di tranquillità, che annullano la quotidiana sofferenza. In questo senso mi sembra significativa la nota che l’autrice aggiunge su Three Pines:
Non è la solita inchiesta poliziesca, è un giallo atipico, dove si intrecciano piano personale e sfera pubblica, storia e cronaca, crimini del passato e criminalità organizzata. Interessante la figura del cobrador, che nella versione Cobrador del frac esiste davvero e segue come un’ombra i debitori insolventi (ci sono parecchi articoli di varie testate, a lui dedicati, per chi volesse approfondire). La sensibilità che pervade il libro si scopre anche in una nota personale dell’autrice a fine narrazione, dove spiega che questo libro è stato scritto mentre un grave lutto l’aveva colpita, la morte del marito, malato da tempo. Testimonianza che la letteratura e i libri ci salvano anche nei momenti più difficili, portandoci in luoghi di pace e oasi di tranquillità, che annullano la quotidiana sofferenza. In questo senso mi sembra significativa la nota che l’autrice aggiunge su Three Pines:
Potreste obiettare che anche Three Pines è frutto della mia immaginazione, ma avreste ragione solo in parte. È vero che sulle mappe geografiche non esiste, ma la sua realtà si dipana su un livello più potente e significativo. Three Pines è un paesaggio mentale. Si materializza ogni volta che scegliamo la tolleranza al posto dell’odio. La gentilezza al posto della cattiveria. la bontà al posto della prepotenza. Quando scegliamo di avere speranza anziché barricarci nel cinismo. Allora cominciamo a vivere a Three Pines.
Mi auguro di leggere presto altre imprese del commissario Gamache e auguro a ognuno di voi di trovare la vostra personale Three Pines.
Samantha Viva
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