Galateo per ragazze da marito.
Come non concedersi quasi mai, quasi a nessuno e riuscire a non sposarsi lo stesso
di Irene Soave
Bompiani, 2019
pp. 379
€ 17,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Sulla copertina deliziosamente rétro del Galateo per ragazze da marito di Irene Soave, appena pubblicato da Bompiani, ci sono tre sorridenti signorine del secolo scorso impegnate in una lezione di portamento. Con l’insegnante in mezzo a loro a fare da quarta "tra cotanto senno", le giovinette parimenti vestite procedono ordinate in fila indiana: pancia in dentro, petto in fuori, braccia appena basculanti distese lungo i fianchi e piedi l’uno davanti all’altro come a seguire la linea immaginaria che le condurrà dritte verso un grazioso avvenire, a prova di sfilata come di struscio strategico. Ad aiutarle nella postura, manco a dirlo, c’è un libro. Sulla testa. Chi non conosce, del resto, il famigerato stratagemma tramandato dalle antenate più erette, l’esercizio che ancora oggi viene consigliato di fare e rifare nei tempi morti tra le mura domestiche andando avanti e indietro per stanze, corridoi e rampe di scale senza mai far cadere il tomo (o i tomi, per le più allenate)? Collo in allungo, spalle in ribasso, mento in alto e via alle scommesse su quanti uomini avrebbero capitolato al primo sguardo (ma anche al secondo, al terzo, insomma prima o poi). Perché lo scopo di tanta applicazione nella posa e nella falcata era ovviamente sempre e solo uno: rendersi gradevoli al migliore partito, farsi corteggiare il giusto e farsi impalmare al più presto. Un’ambizione non da poco, anzi un vero e proprio progetto di vita, ma per la cui realizzazione spesso non sarebbero bastati il bel sembiante e il bell’incedere. E dunque – à la guerre comme à la guerre – ai volumi da equilibrista andavano affiancati quelli da leggere a capo chino e con uguale accanimento per diventare delle magnifiche prede da cacciare e a cui infilare la fede al dito: vale a dire i manuali di seduzione e di buone maniere, proprio quelli che Irene Soave ha collezionato e studiato per una vita.
Come non concedersi quasi mai, quasi a nessuno e riuscire a non sposarsi lo stesso
di Irene Soave
Bompiani, 2019
pp. 379
€ 17,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Sulla copertina deliziosamente rétro del Galateo per ragazze da marito di Irene Soave, appena pubblicato da Bompiani, ci sono tre sorridenti signorine del secolo scorso impegnate in una lezione di portamento. Con l’insegnante in mezzo a loro a fare da quarta "tra cotanto senno", le giovinette parimenti vestite procedono ordinate in fila indiana: pancia in dentro, petto in fuori, braccia appena basculanti distese lungo i fianchi e piedi l’uno davanti all’altro come a seguire la linea immaginaria che le condurrà dritte verso un grazioso avvenire, a prova di sfilata come di struscio strategico. Ad aiutarle nella postura, manco a dirlo, c’è un libro. Sulla testa. Chi non conosce, del resto, il famigerato stratagemma tramandato dalle antenate più erette, l’esercizio che ancora oggi viene consigliato di fare e rifare nei tempi morti tra le mura domestiche andando avanti e indietro per stanze, corridoi e rampe di scale senza mai far cadere il tomo (o i tomi, per le più allenate)? Collo in allungo, spalle in ribasso, mento in alto e via alle scommesse su quanti uomini avrebbero capitolato al primo sguardo (ma anche al secondo, al terzo, insomma prima o poi). Perché lo scopo di tanta applicazione nella posa e nella falcata era ovviamente sempre e solo uno: rendersi gradevoli al migliore partito, farsi corteggiare il giusto e farsi impalmare al più presto. Un’ambizione non da poco, anzi un vero e proprio progetto di vita, ma per la cui realizzazione spesso non sarebbero bastati il bel sembiante e il bell’incedere. E dunque – à la guerre comme à la guerre – ai volumi da equilibrista andavano affiancati quelli da leggere a capo chino e con uguale accanimento per diventare delle magnifiche prede da cacciare e a cui infilare la fede al dito: vale a dire i manuali di seduzione e di buone maniere, proprio quelli che Irene Soave ha collezionato e studiato per una vita.
Una passione, questa della giornalista e scrittrice, decisamente singolare, quasi monomaniacale, che negli anni ha fatto sì che nella sua personale biblioteca si accumulasse una quantità di pubblicazioni a tema tale da fare invidia a un dipartimento universitario (non a caso l’argomento “galateo” è stato al centro della sua tesi di laurea). Una manualistica, peraltro, con caratteri di internazionalità, dal momento che l’origine delle autrici (moltissime) e degli autori (pochissimi) è di area tanto italiana quanto anglosassone. Isolando l’intervallo temporale che va dall’Unità d’Italia fino al 1968 – ovvero dallo sventolamento fondativo del tricolore all’agitazione di ben altre e rivoluzionarie bandiere, non ultime quelle della liberazione sessuale – Irene Soave ha voluto restituire un ritratto delle abitanti del bel paese osservandole attraverso le lenti del rapporto uomo-donna finalizzato al fidanzamento e al matrimonio. E proprio scandagliando la pubblicistica di settore la giornalista vi ha rintracciato la coesistenza di preoccupanti sintomi di “disevoluzione” del genere femminile e di tradizionalismi assortiti di sorprendente attualità. C’est à dire: il matrimonio, incoraggiato in passato quale principale strumento di affermazione personale per una donna conseguentemente appagata dai ruoli di moglie e madre (forse un po’ meno da quello di nuora), non sarebbe poi così fuori moda, al contrario e a dispetto di decenni di lotte per l’emancipazione e l’autodeterminazione. Non c’è mica bisogno di un trattato di “sociologia del talamo nuziale” per rendersene conto: se i format televisivi a tema non vi bastano e le parcelle dei wedding planner non vi impressionano, pensate a quanto la spettacolarizzazione delle nozze sia stata favorita dal recente avvento dei social network, con la compiaciuta autopromozione di serenate e proposte in diretta, cerimonie e ricevimenti, grani di riso e tagli della torta, lanci di bouquet e ricerche di giarrettiere. Per non parlare del business che ruota attorno agli addii al nubilato (idem per il celibato) e all’altrettanto fiorente mercato fotografico che non vede l’ora di immortalare le coppie con album che ne certifichino promesse di fidanzamento, Gran Giorno e addirittura gravidanze in corso. Niente di nuovo davanti agli altari? Eppure mai come adesso crisi economica e ricerca del buon partito sono andate a braccetto lungo la navata centrale di chiese o sullo sfondo di altre location non altrimenti specificate (perché pare che oggi, previa autorizzazione, ci si possa unire in matrimonio un po’ dove pare e piace). Troppo cinismo? Beh, anche in questo caso non ci staremmo allontanando troppo dalla tradizione: dopotutto non sono stati il sano calcolo e il giusto tornaconto a fare la fortuna di vademecum comportamentali appositamente compilati e messi in commercio per oltre un secolo?
Certo: da più di cent’anni a questa parte sono cambiati i costumi, sono cambiate le donne. Sono cambiati, evidentemente, anche gli uomini. Epperò, mutatis mutandis, ci sarà pure un motivo per cui il libro di Irene Soave si sfoglia senza fare troppo appello alla “sospensione dell’incredulità”, e non solo perché non appartiene all’ambito della fiction: nel leggere le cinque parti in cui l’autrice ha articolato la trattazione – Teorie e tecniche del beau mariage, Caratteristiche della ragazza da marito, Condotta della ragazza da marito, Dove farsi trovare e Il treno è partito (dedicato alla categoria delle “non maritate”, altrimenti dette “zitelle”) – la sensazione di déjà vu è dominante, nel senso che non poche norme e convinzioni sono arrivate fino ai nostri giorni senza dare segni di particolare invecchiamento: chi può dire con certezza se di volta in volta si tratta di pregiudizi duri a morire, condizioni ontologiche, verità scientifiche o rivelate? Se è vero che non si tratta di faccende di poco conto – dopotutto, nel caso ce ne importasse qualcosa, ne andrebbe del nostro savoire faire e del nostro successo in società – l’autrice è bravissima anche nel trattare tutte le questioni di facile sconfinamento nella crisi esistenziale: in più di un’occasione si sorride e si ride molto, ironia e autoironia sono ottimamente dosate dalla giornalista, e la sua soavità (che è di cognome e di stile) va a posarsi quasi sempre sugli estremi temporali, ovvero quando il commento cade su precetti che andrebbero evidentemente sottoposti all’esame del carbonio radioattivo o su racconti in prima persona circa episodi grotteschi o esilaranti riguardanti la cronaca della propria vita da single. D’altra parte la domanda di fondo, quella che veramente sembra contare oltre ogni aspetto folkloristico, resta quella sull’amore, ovvero sul desiderio di amare e di essere amati, e su quanto questo stesso sentimento debba fare i conti con criteri di “sostanza” e di “apparenza” condizionati dal contesto sociale e culturale in cui si nasce e si cresce; su quanto, in fin dei conti, ne valga davvero la pena. Per non parlare del fatto che alle ragazze ancora oggi convinte che un buon matrimonio sia l’unica vera chance per “esistere”, bisognerebbe ricordare come la loro controparte maschile potrebbe non sempre corrispondere allo stereotipo più ottimistico.
Come avvicinarsi, dunque, a codesto Galateo per ragazze da marito? Irene Soave propone tre tipi di approccio: 1) «come un documento»; 2) «come una Stele di Rosetta un po’ intuitiva di modelli e aspettative sentimentali forse superati, ma non remoti (…) e non certo estinti»; 3) «alla lettera, come un manuale» (pp. 17-18). Forse, a pensarci bene, la migliore chiave di lettura del libro, quella che un po’ meglio delle altre suggerisce l’atteggiamento più rilassato e che riassume i precedenti, è offerta già dal suo sottotitolo: Come non concedersi quasi mai, quasi a nessuno, e riuscire a non sposarsi lo stesso. Un concetto apparentemente paradossale, ma con effetti molto simili se applicato sia al passato che al presente: perché non solo rivela come il perseverare in pudicizia, modestia e prudenza (insomma: la famosa e presunta passività della magnifica preda sopra citata) non fosse garanzia di happy wedding nemmeno quando il senso comune idolatrava e incoraggiava questi atteggiamenti, ma dimostra come anche oggi, con le donne evidentemente più libere di rifiutare avances facili e ubique e di decidere con cura con chi coricarsi, le strategie di attacco-difesa-contrattacco-ritirata abbiano un’efficacia tutt’altro che assicurata quando l’obiettivo sono le nozze. Al punto che, pur guardando con bonomia ai sogni di gloria della lettrice che già si immagina in abito bianco e alla sua predisposizione alla fioritura delle rose (purché di rose si tratti, e non di crisantemi), il suggerimento tra le righe sembra quello di volersi sposa solo in un secondo (ma anche ultimo, ma anche estremo) momento. Molto meglio, nel frattempo, farsi un’idea del concetto di mariage e di come esso sia riuscito a condizionare il rapporto tra i sessi fino ai decenni più recenti. Molto meglio ripassare quelli che furono usi e costumi delle italiane per almeno un secolo, e decidere quale sia l’eredità più meritevole di essere raccolta. Perché dopotutto, Divina Commedia alla mano, lo sosteneva anche Dante: siamo “le genti del bel Paese là dove ‘l sì” – e non il “sì, lo voglio” – “suona”. Per tutto il resto, e specialmente sulle sue nozze mancate con Beatrice, rimandiamo a ben altra bibliografia.
Cecilia Mariani
Social Network