di Viola Ardone
Einaudi, 2019
pp. 240
€ 17,50 (cartaceo)
€ 8,99 (ebook)
Ci sono pagine di storia del nostro Paese che vengono ricordate improvvisamente grazie alla potenza della narrazione. Ne Il treno dei bambini Viola Ardone ci porta nel 1946, quando il suo piccolo protagonista di sette anni viene mandato dalla madre al Nord, per partecipare al progetto di solidarietà organizzato dal Partito Comunista per strappare i bimbi alla povertà delle loro case, almeno per un po'. Amerigo Speranza, infatti, non ha che sua madre, a Napoli, e la speranza che porta nel cognome: porta scarpe bucate e la sua unica ricchezza è una scatola in cui tiene oggetti residuali che oggi butteremmo via senza neanche un rammarico, ma che per lui sono un tesoro. Anche comprare una pizza o una focaccia è difficile, per mamma Antonietta: ecco perché Amerigo se la cava come può, vendendo pezze al mercato o cercando lavoretti per portare qualche soldo a casa. Quindi il piccolo non si sottrae al viaggio, sebbene un po' impaurito e soprattutto imbottito di pregiudizi sul Nord e sui comunisti mangia-bambini. La realtà che si trova davanti, dopo il lungo viaggio, è ben diversa: la sua madre affidataria, Derna, è una donna sola, sindacalista, che non pensava di occuparsi di un bambino, ma che presto si affezionerà ad Amerigo.
Accanto a loro, la chiassosa famiglia di Derna, dove il piccolo troverà almeno per un po' dei "fratelli" e un "babbo". Farsi accettare non è subito facile, così come adattarsi a quella che ad Amerigo pare una ricchezza straordinaria, eppure presto lui diventa il beniamino di casa, impara il mestiere di accordatore con "babbo" Alcide e scopre una smodata passione per la musica. Tra marachelle, assaggi furtivi di mortadella e di parmigiano, buoni voti in matematica, carezze alle mucche e scarpe nuove, il piccolo protagonista si trova a pensare con nostalgia alla sua Napoli, sì, ma anche a temere il giorno della ripartenza. Lo stupore di Amerigo davanti del benessere modenese diventa il nostro, così come la passione per le nuove scoperte, e gioiamo con lui per l'affacciarsi di un sorriso sul suo viso, prima sempre impegnato a osservare le espressioni di mamma Antonietta, per captarne l'umore e mendicare un po' di affetto. Come sarà poi possibile riadattarsi alla miseria di casa e ai malumori di mamma Antonietta?
La seconda parte del romanzo ci fa saltare avanti di quasi cinquant'anni: nel 1994 è un Amerigo maturo quello che ritroviamo per le vie di Napoli, ora con un lavoro e una nuova vita, eppure porta con sé il ricordo estremamente caldo delle vedute, degli odori e dei rumori del suo quartiere. Cosa è successo nel frattempo?
Se la prima parte del romanzo è quella che più commuove e fa sorridere il lettore, la seconda è altrettanto necessaria: mette il protagonista davanti alla resa di conti che sono rimasti decisamente irrisolti. Eppure va proprio detto che la narrazione dell'infanzia (che occupa anche la maggior parte del romanzo) è straordinaria, senza mezze misure: Viola Ardone abbassa lo sguardo all'altezza degli occhi di un bambino di sette anni, gli lascia la parola, piegando la sintassi alle conoscenze di Amerigo e alla sua napolanità. Pur muovendo alla commozione in più punti, come già detto, il libro non assume mai toni patetici, ma - anzi - riporta in fretta il sorriso, perché Amerigo è pieno di vitalità e di energie per riprendersi e trovare soluzioni. Forse anche per questo Il treno dei bambini si conferma in ogni pagina una storia veramente tersa, mai ingenua per quanto costellata di brave persone (è così raro in un romanzo!), dagli ideali alti e altrettanto concreti. I lettori che hanno amato L'arminuta di Donatella Di Pietrantonio ritroveranno nelle pagine di Viola Ardone la stessa capacità di dar vita a un mondo, rendendocelo verosimile e avvincente, al punto da non volerlo più abbandonare.
GMGhioni