Venerdì pomeriggio, mentre correvo per le vie di Alba, come una novella Alice in lotta con il tempo, avevo solo due cose in mente, speravo di non far scoccare le 17, ora dell'ultimo ingresso a teatro, e pensavo che da lì a poco avrei sentito Murakami dal vivo.
La letteratura ci insegna tante cose; alcune sono legate alle storie che incontriamo, altre sono legate alle persone che le creano, e che ci fanno sentire parte di un mondo in cui noi siamo i destinatari e anche il messaggio. Nella serata di premiazione del premio Lattes Grinzane, dedicata alla sezione "La Quercia", ovvero quello alla carriera, una platea impaziente e composta aspettava al Teatro Sociale di Alba, dopo aver atteso per mesi la tanto agognata conferma alla prenotazione.
Finalmente, alle 18, saliva sul palco un emozionato e inedito Marcello Fois, che presentava la giuria, salutava il pubblico, per l’occasione in entrambi i lati del proscenio, con le due anime del Sociale aperte, e ci regalava le meravigliose parole dei due traduttori dello scrittore.
Avevo preso al volo il foglio su cui si leggeva la traduzione della Lectio, ma non ho voluto sbirciare, per non togliermi il piacere dell’ascolto. E posso dire di aver imparato anche oggi dalla letteratura. Ed è con voi che voglio condividere cosa ho imparato.
Ho imparato che, se a un pubblico che non vede l’ora di urlare al mondo che è lì in prima fila a vedere Murakami dal vivo chiedi con gentile fermezza di non fare foto perché è una richiesta dello scrittore, che essendo molto riservato non vuole essere fotografato, il pubblico fotograferà anche le sedie, i cartelli, la tappezzeria, ma poi spegnerà il cellulare e non penserà nemmeno per un secondo di cercare di rubare uno scatto, anche perché la magia dell'ascolto non dava spazio a molto altro (le foto che vedete sono state infatti pubblicate dalla stessa Fondazione Lattes nella sua pagina fb, credits: Murialdo).
Ho imparato che la "voce" italiana dei libri di Murakami, Antonietta Pastore, riesce a farci vivere l'essenza degli scritti di un autore giapponese, che vuole arrivare al cuore dei suoi lettori.
"Il cuore dei giapponesi - ha precisato la bravissima traduttrice - ha delle tonalità diverse da quelle passionali degli italiani, quindi a volte devo inventare delle sfumature per riuscire a rendere, non nella forma, ma nella sostanza, il messaggio dell'autore".
Molti dicono che tradurre sia quasi una riscrittura; la Pastore ha ribadito che in quei "quasi" regna la bellezza del suo lavoro, e io ne sono convinta.
Ho imparato che si può essere lettori e nel contempo traduttori di uno scrittore e aspettare con impazienza ogni nuovo capitolo, per quella speciale felicità che ci danno le parole di chi amiamo, come ha confessato l'altra voce italiana di Murakami, ovvero Giorgio Amitrano.
"Il fatto è che alla mia giovane età adoravo autori come Balzac, Dostoevskij, Dickens, Franz Kafka, e non era concepibile che qualcuno come me potesse mai essere alla loro altezza. Era una cosa del tutto evidente, quindi non nutrivo il desiderio insensato di diventare uno scrittore".
Ho imparato che l'idea di scrivere come quella di comporre sono due cose che vanno di pari passo, perché scrivere qualcosa che funzioni nella mia testa equivale a comporre una musica che abbia un giusto ritmo, e sentire che la stessa osservazione è anche quella di Murakami mi fa credere ancora di più che tutti coloro che hanno a che fare con le parole, a vario titolo, siano come parte di una comunità di eletti, che pensano e sentono nello stesso modo, e questo non ti permette di sentirti solo.
Ho imparato che non esistono schemi nel fare letteratura, perché quello che conta è voler comunicare, sebbene poi non tutti ci riescono come Murakami Haruki:
"Quale metodo usino altri scrittori non lo so. Per quel che mi riguarda, penso che la mia scrittura abbia diversi aspetti caratteristici. Il più importante, è il fatto che non stabilisco un piano prima di iniziare un nuovo romanzo. Nella maggior parte dei casi, comincio col buttare giù alcune pagine. In questa fase, non ho quasi idea di quale sarà la trama della storia, non ci ho ancora pensato".
Ho imparato che un uomo giapponese può davvero amare cucinare spaghetti ascoltando Rossini, senza che questo debba essere per forza innaturale, come un critico una volta disse a Murakami; se poi quello stesso uomo si presenta con un sorriso limpido ai suoi lettori italiani, si emoziona e corre dal suo pubblico, da una parte all'altra della sala, per ricevere i suoi applausi e ci consente di sognare, ascoltando incantati come si crea la letteratura, dalle caverne ai giorni nostri, non esiste più l'irrealtà, perché i sogni sono reali.
Ho imparato che il rapporto di Murakami con la musica, con cui ha lavorato per oltre dieci anni, gli ha donato tre fattori fondamentali, che sono quelli che rendono magico ogni suo romanzo: la libera improvvisazione (infatti ama il Jazz), l'importanza del ritmo, e nella misura del possibile una bella melodia che animi la scrittura.
Ho imparato infine che ci sono state delle tenebre dentro le caverne della nostra storia, che un giorno qualcuno ha deciso di illuminare con un piccolo falò e una storia da raccontare, e quelle tenebre ancora esistono, ma esistono anche quelle persone, che noi chiamiamo narratori, e venerdì sera io ho incontrato il mio piccolo falò, che ha concluso, con queste parole la sua splendida Lectio Magistralis:
Samantha VivaPer quarant'anni, tenendo a mente quei falò, ho continuato a scrivere senza interruzione. Se con le storie che ho scritto sono riuscito, anche solo un pochino, a illuminare gli angoli oscuri di tante caverne in tanti posti del mondo, e se potessi continuare a farlo anche d'ora innanzi, non ci potrebbe essere per me gioia più grande.