Modigliani il principe
di Angelo Longoni
Giunti Editore, 2019
pp. 600
€ 19,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Amedeo per l’anagrafe, Dedo per i familiari e specialmente per la madre, Modigliani per i critici e i collezionisti; e ancora Modì per i sodali della bohéme parigina, che con pari esattezza e per omaggiarne l’origine e l’aura lo definirono nondimeno “l’italiano” e “il principe”. Stiamo parlando evidentemente del bel pittore delle belle donne dai bei colli lunghi, che voleva essere scultore e che per tutta la vita dovette fare i conti con le frustrazioni date da una salute cagionevole (era affetto da tubercolosi, il “mal sottile” simbolo di un’epoca e che gli fu, alla lunga, fatale) e da una vocazione plastica mai del tutto risolta. Unico e riconoscibile già tra i suoi colleghi e amici nella temperie creativa del primo Novecento, l’artista nato a Livorno nel 1884 e morto nella capitale d’oltralpe nel 1920 a soli trentasei anni è passato alla storia anche per il presunto maledettismo, forse profeticamente presente nel cognome – che privato delle ultime due sillabe suona proprio come la parola francese maudit – ma anche esasperato da narrazioni non poco stereotipate, che spesso hanno indugiato nel binomio "genio e sregolatezza" senza troppo badare all’aderenza storica di certi collage biografici. Quasi bastassero un po’ di libertinaggio, eccessi e indigenza a restituire l’identikit trito e ritrito del perfetto artista debosciato, buono per ogni occasione. Come quella di tanti personaggi destinati al successo non appena passati a miglior vita, anche la bibliografia su Modigliani conta innumerevoli pubblicazioni, tra cataloghi di mostre, saggi critici e biografie; per non parlare dell’influenza esercitata dal suo stile nelle arti visive e delle suggestioni della sua esistenza nel campo della musica, del cinema e addirittura della moda. Per questo, nell’apprendere che Angelo Longoni ha appena pubblicato per Giunti un romanzo biografico sul pittore, in molti potrebbero pensare che non si sentisse il bisogno di un ennesimo contributo in volume a lui dedicato. Ma sarebbero in errore: perché Modigliani il principe non è il virtuosismo di un solista alla ricerca di un po’ di gloria facile e riflessa, ma il tentativo originale di restituire in prosa la polifonia di voci che accompagnò l’artista nel suo percorso esistenziale e artistico, in patria come all’estero.
di Angelo Longoni
Giunti Editore, 2019
pp. 600
€ 19,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Amedeo per l’anagrafe, Dedo per i familiari e specialmente per la madre, Modigliani per i critici e i collezionisti; e ancora Modì per i sodali della bohéme parigina, che con pari esattezza e per omaggiarne l’origine e l’aura lo definirono nondimeno “l’italiano” e “il principe”. Stiamo parlando evidentemente del bel pittore delle belle donne dai bei colli lunghi, che voleva essere scultore e che per tutta la vita dovette fare i conti con le frustrazioni date da una salute cagionevole (era affetto da tubercolosi, il “mal sottile” simbolo di un’epoca e che gli fu, alla lunga, fatale) e da una vocazione plastica mai del tutto risolta. Unico e riconoscibile già tra i suoi colleghi e amici nella temperie creativa del primo Novecento, l’artista nato a Livorno nel 1884 e morto nella capitale d’oltralpe nel 1920 a soli trentasei anni è passato alla storia anche per il presunto maledettismo, forse profeticamente presente nel cognome – che privato delle ultime due sillabe suona proprio come la parola francese maudit – ma anche esasperato da narrazioni non poco stereotipate, che spesso hanno indugiato nel binomio "genio e sregolatezza" senza troppo badare all’aderenza storica di certi collage biografici. Quasi bastassero un po’ di libertinaggio, eccessi e indigenza a restituire l’identikit trito e ritrito del perfetto artista debosciato, buono per ogni occasione. Come quella di tanti personaggi destinati al successo non appena passati a miglior vita, anche la bibliografia su Modigliani conta innumerevoli pubblicazioni, tra cataloghi di mostre, saggi critici e biografie; per non parlare dell’influenza esercitata dal suo stile nelle arti visive e delle suggestioni della sua esistenza nel campo della musica, del cinema e addirittura della moda. Per questo, nell’apprendere che Angelo Longoni ha appena pubblicato per Giunti un romanzo biografico sul pittore, in molti potrebbero pensare che non si sentisse il bisogno di un ennesimo contributo in volume a lui dedicato. Ma sarebbero in errore: perché Modigliani il principe non è il virtuosismo di un solista alla ricerca di un po’ di gloria facile e riflessa, ma il tentativo originale di restituire in prosa la polifonia di voci che accompagnò l’artista nel suo percorso esistenziale e artistico, in patria come all’estero.
Non è certo una prova timida quella dell’autore, drammaturgo e regista milanese: seicento le pagine, centosette i capitoli. Ma dopotutto, se è vero che la vita di Modigliani è stata breve, ciò non implica equivalenze di sorta per ciò che concerne le prose scaturite dal suo vissuto, specialmente se queste vogliono fare in modo che a parlare siano lui stesso e un gruppo scelto di familiari, compagni d’arte, amanti. Niente trucchi o artefici retorici fini a se stessi: Angelo Longoni racconta l’uomo e l’artista in modo cronologico, alternandone la prima persona a quella – tra le molte altre – della madre Eugénie Garsin, dei mecenati e mercanti che credettero nel suo lavoro (Paul Alexandre e Leopold Zborowski) e ovviamente delle donne con cui ebbe modo di sperimentare la complessità del rapporto amoroso. Perché in quello che fu un processo di crescita caratterizzato da una profonda sensualità, l’elemento femminile giocò sempre un ruolo determinante: sia nella scoperta del mondo sia nella propria attitudine a rielaborarlo in immagini, vale a dire soprattutto attraverso ritratti e nudi di donna. Se è vero che Modigliani divenne tale solo grazie all’atmosfera di Parigi e agli incontri fatti in città – Brancusi, Utrillo, Picasso, Soutine, Cocteau… – anche ogni mademoiselle con cui ebbe modo di legarsi lo aiutò a scoprire aspetti fondanti di sé come artista oltre che come uomo: da Kiki de Montparnasse – regina della bohéme e qui restituita liberamente come ineguagliabile compagna di giochi – alla poetessa russa Anna Andreevna Gorenko – con cui visse un amore fedifrago non privo di una profonda comunione spirituale; dalla giornalista Beatrice Hastings – che ne esasperò la carica erotica ma ne mortificò l’ideale estetico gravandolo di cinismo e competizione – per arrivare alla mite e adorata Jeanne Hébuterne, compagna devota e madre della sua prima primogenita Giovanna, cui toccò un’infelice destino ancillare e che reagì alla sua morte suicidandosi di lì a poche ore, incinta di una seconda bambina. Angelo Longoni dà la parola a tutti: ad Amedeo, principalmente, ma senza che le sue “voci di dentro” risultino più efficaci di quelle altrui. Senza mai cadere nella tentazione del bozzetto o del caratteristico – e sì che sarebbe fin troppo facile in rapporto a un contesto saturato da nostalgia critica e rappresentativa come quello della Parigi all’alba del Ventesimo secolo – la sua scrittura risulta efficace e credibile sia per gli episodi prescelti sia, soprattutto, per la vivacità dei dialoghi, costruiti senza manierismi di sorta.
Artista tra i più “mitologici” del Novecento, fonte di ispirazione per creativi di ogni settore e uomo carismatico ancora capace di determinare innamoramenti post mortem, Modigliani è non di meno induttore di forti tentazioni letterarie, critiche e finzionali. Anche questo libro, pertanto, potrebbe sembrare a tutta prima un ennesimo sfizio d’autore, esito di un desiderio – magari un po’ fanatico – finalmente soddisfatto. Ma non è così, o perlomeno non è certo questa l’impressione finale data dalle centinaia e centinaia di pagine scritte in bella prosa. Del resto, già scegliere la forma del “romanzo biografico” invece che della “biografia romanzata” rivela un approccio intenzionalmente più rischioso, animato da una peculiare intimità e devozione nei confronti di un personaggio che fin dal titolo viene presentato a chi legge con caratteristiche di eccellenza e nobiltà. Dunque, sebbene estremamente popolare o addirittura pop, la vita dell’artista appare rinnovata dalle scelte stilistiche, dunque animata da quella focalizzazione multipla che consente una vicinanza inedita alle vicissitudini modiglianesche, al suo habitat e al suo humus; senza moralismi, senza giudizi, senza interferenze onniscienti. Così non è casuale che l’unica concessione a una presunta oggettività giunga in coda, quando una nuova istanza narrativa si stacca dal flusso di voci fino ad allora percepite. Ed è una cesura anche grafica, che nel suo carattere tondo e grassetto sa inevitabilmente di cronaca nera e di epitaffio: Amedeo è morto, Jeanne è morta, e con la coppia è tristemente morto il sogno che li aveva uniti in vita. In una mezza paginetta scorrono i titoli di coda di un’esistenza conclusa senza autentica gloria terrena, con le cifre a molti zeri ricordate quasi a schiaffeggiare beffardamente i defunti e gli eredi. Il mito, quello sopravvivrà: con tutto i misteri e le nebbie che nemmeno i bei libri come questo avranno la pretesa di disvelare completamente.
Cecilia Mariani
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