L'estate dell'incanto
di Francesco Carofiglio
Piemme, 2019
pp. 272
€ 17,50 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
"È successo d’estate, molti anni fa.
Tra le
nebbie che affollano, adesso, i miei pensieri di vecchia, una luce rischiara
una piccola porzione di mondo. Chiudo gli occhi e rivedo, intatta, la bellezza
radiosa della campagna. Riesco a distinguere ogni dettaglio, nel fremito delle
ciglia, colpite dai raggi obliqui del mattino.
Avevo
dieci anni, e il mondo stava per affondare nell’abisso. Ma per me era solo
estate e campagna.
La più
bella estate della mia vita”. (p. 7)
Non so
voi, ma per me questo inizio è già poesia. Una voce che irrompe all’improvviso
e, in prima persona, cattura il lettore, portandolo con sé, all’interno dei
suoi ricordi. La voce è quella di Miranda, splendida novantenne, che vive sola,
come verremo a sapere nel corso della lettura, nella sua casa di Firenze. Sola,
perché così ha sempre voluto stare. La sua è stata una vita felice, densa di
esistenze, ricca di esperienze. I suoi ricordi di donna adulta fuggono via
veloci come immagini che sfumano nella nebbia del tempo, da cui affiorano
fotogrammi di case, valigie, letti, abbracci, finestre, paesaggi. Tutto però
sembra immerso in una coltre nebbiosa, tutto scorre velocemente, senza lasciare
traccia. Mentre le uniche immagini che mantengono inalterate nel tempo la loro
concretezza e la loro luminosità sono quelle di una stagione, una sola,
l’estate del 1939, quei tre mesi che, pur brevi, hanno avuto la capacità di
definire e guidare un’intera esistenza e che ancora hanno la potenza della
messa a fuoco. L’unica stagione della vita che Miranda vuole ricordare e che si
staglia ancora nitida ai suoi sensi, con i suoi colori, i profumi, i suoni.
Giugno
1939, Miranda, per mano alla mamma, arriva a Villa Ada, una sontuosa villa
immersa nelle campagne toscane. E’ la dimora del nonno paterno, discendente di
una famiglia di marchesi e pittore, che vive solo in questa magione,
affidandosi alle cure della governante Elda, una donna asciutta e di poche
parole. Miranda e la mamma hanno lasciato la città, ufficialmente per un
periodo di vacanza, almeno questo è quanto hanno detto alla bimba.
“Ma nell’estate del 1939 mi sembrava che tutto fosse in armonia, mentre preparavamo i bagagli per la villeggiatura. Partivamo per la campagna. E invece era la fuga. Lo avrei scoperto solo più tardi” (p. 8).
La guerra
è alle porte, il mondo sta andando in frantumi, anche quello personale di
Miranda, ma lei non lo sa e vive questa stagione come l’estate
dell’incanto, l’ultima estate di una bambina che ancora non ha conosciuto il
dolore della vita. E che può lasciarsi andare alla fantasia e vivere le
avventure della sua età con la magica innocenza dell’infanzia. Anche se il
mondo adulto è lì, dietro l’angolo, che l’aspetta. E lei è in bilico tra due
vite, tra due età, proprio come l'Europa, e il mondo intero. Miranda vorrebbe ancora
tanto credere alle favole che le racconta la mamma, vorrebbe sentire le voci
della Foresta delle Creature Parlanti, all'inizio ancora le pare di sentirle,
ma a poco a poco si rende conto che sta diventando grande e alle favole, forse
forse, non ci crede più. Ma poco importa perché di lì a pochi giorni incontrerà
Lapo, il figlio del fattore, un bambino bellissimo, di cui si innamorerà
all'istante.
Proprio
grazie a questo ragazzino Miranda vivrà le prime scoperte, le prime piccole
marachelle, le fantastiche avventure nel bosco, il primo innocentissimo bacio,
le prime paure. Legate a una creatura fantastica, quasi leggendaria, la lince
Luana che vive nel bosco, scappata anni prima da un circo. E il bosco torna
alla sua magia, vivo grazie agli animali che lo popolano e da cui Miranda si
sente irresistibilmente attratta. Proprio come il nonno che nel suo studio di
pittura, in cui è proibito entrare (ma in cui la bimba si avventura per
curiosità) conserva i suoi dipinti che ritraggono proprio gli animali della
foresta e tra questi, un enorme quadro appeso e nascosto da un sipario, che
rappresenta proprio Luana, la lince che terrorizza chi si avventura nella
selva. Proprio grazie a questa curiosità per la pittura nonno e nipote
troveranno una cifra linguistica, un dialogo sul quale si instaurerà il
loro rapporto.
L'intero
racconto vive e si dipana attraverso una serie di salti temporali, c'è sempre
lei, Miranda anziana, che si guarda allo specchio, si alza, prende il caffè,
esce con le amiche. Ma poi c'è soprattutto il continuo flashback, un rimando costante a quell'estate
del 1939. Alla quale Miranda torna sempre, per trovare un senso alla sua vita,
che lei, consapevolmente e lucidamente, sente andare in frantumi. Lei stessa ha
la sensazione di essere "estinta", di essere in un limbo, di
dividersi, e nei suoi pensieri sono condensati tutto lo stupore e l'incredulità
che un essere umano prova di fronte al sapere di dover morire. E allora l'anziana donna richiama alla mente le persone più lontane, i genitori, Lapo, il nonno che
escono nitide dalla memoria per poi rituffarvisi silenziose come se scendessero
sott'acqua.
Francesco
Carofiglio ci regala una storia delicata, scritta in punta di penna, con uno
stile immaginifico, vivido e concreto e con una sensibilità che sa andare al
fondo del sentimento umano, in un'alternanza ben riuscita tra la gioia
spensierata di una vita all'inizio e la matura rassegnazione di un'esistenza
ormai al termine.
Rosatea Poli
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