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"Bisogna vivere come le stelle, e splendere": il cuore dell'uomo secondo Stefánsson

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Il cuore dell’uomo
di Jón Kalman Stefánsson
Iperborea, 2018

pp. 441  
€ 19,00 (cartaceo)
€ 9,49 (ebook)



Titolo originale: Hjarta mannsins
Traduzione di Silvia Cosimini



Credevo che la vita fosse finita, dice Snorri, 
e invece forse non è mai cominciata.
Il ragazzo: Non so molto della vita.
Snorri: Probabilmente non c'è bisogno di sapere 
molto della vita, basta entrarci dentro. 
E saperla accogliere quando arriva.

C'è qualcosa di epico e grandioso, in ogni romanzo di Jón Kalman Stefánsson. Così è anche per la trilogia che si apre con Paradiso e inferno (Debora ce ne ha parlato qui), prosegue con La tristezza degli angeli e si conclude con Il cuore dell'uomo. Il protagonista è il Ragazzo, senza famiglia e senza nome, che si avventura nella vita, avanzando a tentoni, in balia di domande troppo grandi per lui, e che pure chiedono risposte. Lo abbiamo visto, nel primo volume, anche in balia del mare, quel mare che – insieme alla letteratura, a un verso troppo amato – gli ha strappato il suo più caro amico; in balia della neve, del gelo d'Islanda, nel secondo – quando insieme al postino Jens ha intrapreso un viaggio che era prima di tutto un percorso di crescita. Lo troviamo infine cresciuto – in balia di un cuore capriccioso e difficile da domare – un cuore che palpita per una testa di capelli rossi e due occhi così verdi che non si sanno dire. Il tempo si dilata all'infinito in una prosa che fluisce in continue onde e mareggiate, tornando più volte su se stessa: è passata solo una settimana, ma anche centododici anni, da quando il Ragazzo e Jens sono partiti; poco più di un mese da quando Bárđur è morto inseguendo un verso di Milton. È del resto trasversale e onnipresente, non solo nella trilogia ma nell'intera opera di Stefannson, la riflessione metatestuale sul peso delle parole, la responsabilità di chi le pronuncia, o le scrive
Che diritto aveva di scriverle quelle cose, che diritto aveva di comporre parole che potevano cambiare un'esistenza, che responsabilità ha, lui; chi preme un grilletto è responsabile del proiettile, del dolore che probabilmente andrà a causare, e allora non vale lo stesso per le parole? (p. 131)
La parola, soprattutto la parola scritta, ti si incide dentro l'anima e continua a scavare inavvertita, a tracciare solchi in grado di determinare le esistenze altrui. Ecco perché nel romanzo hanno tanto peso le lettere: quelle scritte dal ragazzo, ma anche quelle da lui ricevute. Le missive hanno il potere di sconvolgere il presente, smuovere interrogativi, tutti vorrebbero non averle mai ricevute, eppure alla fine tutti sono profondamente grati per le occasioni che queste schiudono, in termini di possibilità di vivere una vita più piena e più vera ("sarebbe più facile vivere se non mi avessi scritto quella lettera, ma grazie comunque, non credo che potrò mai ricevere niente di altrettanto bello", p. 143). Perché proprio a questo dovrebbe servire la letteratura, per questo il protagonista e chi lo circonda sono disposti a rischiare, come già aveva fatto Bárđur: "la vita diventa più grande quando leggi, dice il ragazzo, diventa di più, dice, è come se possedessi qualcosa che nessuno ti potrà mai togliere, dice, si diventa più felici" (p. 151). Mai come in questo volume la letteratura tesse trame, agisce da perno e scintilla narrativa da Omero a Dickens, da Whitman a Hölderlin. E ritorna anche Milton, con quel verso mortale – o forse salvifico, lanciato verso il cielo nel momento più nero: "Nulla mi è delizia, tranne te".
Non è tanto ciò che capita loro, o ciò che fanno, ma soprattutto ciò che sono a rendere i personaggi profondamente commoventi. Sono spesso semplici, talvolta meschini, a volte imprigionati in esistenze che non desiderano ma non possono cambiare, o nei vincoli rigidi imposti da una società alle soglie della modernità eppure ancora governata da leggi antiche. Sono ribelli, o arresi. E tutti contribuiscono però a creare un potente, ineludibile, inno alla vita. È il ragazzo a smuovere le coscienze, a risvegliare con la sua innocenza, con il suo sguardo trasparente sulle cose, sentimenti mai provati, inquietudini nuove. Anche il narratore corale, il coro dei morti – forse dei morti in mare, con ancora tanti conti in sospeso, sente il bisogno di narrare perché nel racconto, nel tessuto di un discorso ricchissimo e vero, si nasconde la salvezza per chi resta, e per loro forse una speranza di pace. Sono i loro sguardi ormai lontani, ma sempre nitidi, a ritrarre uno per uno gli abitanti del Villaggio, ma soprattutto quella famiglia sgangherata, inclusiva, che si costruisce intorno alla figura straordinaria di Geirþrúđur, con gli occhi neri come le tenebre e le ali di corvo dei suoi capelli. La sua casa si fa nido per i diseredati, per gli infelici, per chiunque chieda una seconda possibilità al proprio stare al mondo. E se pure gli altri non capiscono e giudicano, mormoranti e sentenziosi, malevoli nei confronti di una donna che vuole essere libera, di un ragazzo a cui interessa la poesia più della pesca, quello diventa il luogo in cui si coagula un messaggio universale, di cui la storia narrata diventa esempio, incarnazione:
Possiamo chiamarlo desiderio, amore, sete di vita, voglia di felicità, ma in qualsiasi modo lo si chiami, qualsiasi siano i termini che scegliamo, era stata proprio la ragione per cui si era distratto, per cui non si era accorto, se non quando era troppo tardi, che la nave beccheggiava in maniera anormale, ed era annegato. Insieme a tutti gli altri. Ecco quant'è pericoloso [...] permettersi di sognare anziché pensare a lottare per rimanere in vita. È proprio così. Uno pensa troppo alla poesia, dimentica la cerata e muore di freddo. [...] Magari questo dovrebbe insegnarci qualcosa. Qualcosa a proposito dei pericoli dei sogni, dei pericoli della poesia. Eppure. Chi si ricorda di chi non si è mai distratto, o solo di rado, chi non si è mai perso nei sogni, non ha mai sentito la scintilla ed è diventato grigio a poco a poco, pallido, ed è andato incontro alla monotonia senza lottare, è diventato lui stesso monotonia, ed è sparito molto prima che la morte venisse a prenderlo? Allora, meglio pregare per sentire questa scintilla, anche se può costarci prematuramente la vita – corriamo il rischio, piuttosto, e viviamo.
Se solo l'avessimo fatto. (p. 220)
Il modo per non fare la fine del coro – tragico nel senso più originario e profondo del termine –, per non restare sospesi in una condizione di non-vita, e quindi di non-morte, è seguire quel cuore a cui rimanda il titolo, e che è motore immobile delle vicende: se il cuore detta, il ragazzo deve obbedire, perché "chi non obbedisce al proprio cuore diventa un'ombra grigia" (p. 398). Ha capito, alla fine di un viaggio eterno, che per ottenere tutto bisogna giocarsi tutto e lo fa con lo slancio generoso di chi sa che è l'unica scelta possibile.
Nel commentare un romanzo come Il cuore dell'uomo, il lettore si deve ammettere vinto in partenza: è impossibile inquadrare nello spazio ristretto di una recensione la vastità degli spunti offerti dal testo, la complessità della narrazione, o dell'impasto linguistico che è la vera forza di questo autore islandese (dice bene Alessandro Zironi nella Postfazione, quando osserva che "la ricerca stilistica di Jón Kalman è quella del poeta"). È impossibile soprattutto restituire l'emozione, completa e disarmante, che coglie alla lettura – come se non si fossero letti prima altri libri, come se ci si trovasse di fronte a qualcosa di nuovo, a un senso prima appena intuito, e che pure si scopre, improvvisamente, fondamentale.

Carolina Pernigo










@quinquilia non ha mai creduto nei colpi di fulmine, ma ha dovuto ricredersi: quello con#jónkalmanstefánsson è scattato per caso, in seguito a un incontro fortuito, e l'amore è divampato immediato e prosegue tuttora. Adesso è la volta de #ilcuoredelluomo, ultima tappa della #trilogia iniziata con #paradisoeinferno. Troviamo nuovamente il Ragazzo, appena scampato alla morte e come sempre in balia di interrogativi più grandi di lui, che richiedono sempre più urgentemente una risposta. Lo accompagniamo quindi nel suo vagare inquieto, nel suo pensare tormentato, grazie a una prosa impastata di poesia che non delude chi abbia letto altre opere di questo straordinario autore islandese. Lo accompagniamo in questa mattinata fresca, tra i fiordi inospitali e un gelido inverno dove l'uomo fatica a trovare un suo spazio di sopravvivenza. Anche voi amate i romanzi @iperborea? Qual è il vostro autore nordico (o il vostro titolo) preferito? #iboreali #bookbreakfast #bookbreak #breakfastbooks #bookforbreakfast #instabook #instalibro #bookstagram #bookoftheday #bookish #igreads #igbooks #readingnow #newbook #bookaddict #booklover #cover #bookcover #inlettura #cosebelle #iperborea #morningcake
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