Il Mostro e altre storie
di Agota Kristof
Edizioni Casagrande, 2019
Traduzione e introduzione di Marco Lodoli
Traduzione e introduzione di Marco Lodoli
pp. 136
€ 18,00
Agota Kristof è una scrittrice che ci obbliga a guardare negli occhi il dolore.
La sua stessa vita è stata una narrazione dolorosa: la nascita in Ungheria, poi la fuga prima del drammatico 1956, il rifugio in Svizzera e l'adozione del francese come lingua della scrittura, "lingua nemica" adottata da una profuga che deve ricostruire un'identità.
Per questo, ma non solo, perché oltre alle ragioni biografiche ci deve essere stato un nucleo di ispirazione molto resistente, le sue opere nascono dall'esigenza di dire il male, raccontarlo senza retorica e divagazioni, andando dritto al punto come una freccia su un arco in tensione. Molti lettori conoscono Agota Kristof per quello che viene considerato il suo capolavoro, Trilogia della Città di K., un'oscura fiaba contemporanea che racconta la storia di due bambini, Lucas e Claus, soli nella realtà della guerra, dove tutto è il contrario di ciò che sembra e non ci sono aiutanti né maghe buone a salvarli.
La sua stessa vita è stata una narrazione dolorosa: la nascita in Ungheria, poi la fuga prima del drammatico 1956, il rifugio in Svizzera e l'adozione del francese come lingua della scrittura, "lingua nemica" adottata da una profuga che deve ricostruire un'identità.
Per questo, ma non solo, perché oltre alle ragioni biografiche ci deve essere stato un nucleo di ispirazione molto resistente, le sue opere nascono dall'esigenza di dire il male, raccontarlo senza retorica e divagazioni, andando dritto al punto come una freccia su un arco in tensione. Molti lettori conoscono Agota Kristof per quello che viene considerato il suo capolavoro, Trilogia della Città di K., un'oscura fiaba contemporanea che racconta la storia di due bambini, Lucas e Claus, soli nella realtà della guerra, dove tutto è il contrario di ciò che sembra e non ci sono aiutanti né maghe buone a salvarli.
Ma in realtà l'autrice ci ha regalato tanti altri preziosi testi letterari, alcuni dei quali da scoprire proprio nel catalogo di Edizioni Casagrande, come Dove sei Mathias? e la raccolta poetica Chiodi.
Con Il Mostro e altre storie vengono adesso alla luce delle pièce teatrali scritte tra il 1970 e il 1980 in Svizzera.
Quattro commedie nere - inedite in Italia - che, come scrive Marco Lodoli nell'introduzione, "hanno la forza concentrata dei proverbi, dei salmi, dei sogni."
Con Il Mostro e altre storie vengono adesso alla luce delle pièce teatrali scritte tra il 1970 e il 1980 in Svizzera.
Quattro commedie nere - inedite in Italia - che, come scrive Marco Lodoli nell'introduzione, "hanno la forza concentrata dei proverbi, dei salmi, dei sogni."
Così in effetti si sente il lettore, come se camminasse sul filo invisibile di un sogno inquieto, mentre tenta di raggiungere la salvezza scappando da qualcosa.
I quattro testi sono ambientati in un futuro indefinito che coincide a volte con una sorta di età primitiva, l'uomo è solo di fronte alla distruzione che ha creato. Indefinito anche lo spazio.Questa circolarità è tipica di Kristof: futuro e primitivo si incontrano nel punto più oltre in cui ci siamo spinti, laddove il senso ultimo dell'esistenza ci è rivelato con forza.
Diversi per ambientazione e trama, hanno, però, un'unità compositiva e di ispirazione notevole. Terminato l'ultimo, l'impressione è che un sottile insieme di rimandi li leghi in un'unica grande narrazione.
Il primo testo, Il Mostro, è il racconto di un'umanità alle prese con l'arrivo di un Mostro che si ciba degli uomini e delle loro speranze. Un orribile bestia ripugnante col dorso pieno di fiori che stordiscono e avvelenano. È la storia eterna di come domare le nostre paure, ma soprattutto di un interrogativo: uccidere i mostri o convivervi?
La strada ci conduce, invece, in un futuro in cui la terra è completamente ricoperta di cemento. Ovunque, a perdita d'occhio, solo strade, strade che non portano da nessuna parte.
L'uomo le ha edificate selvaggiamente coprendo ogni albero esistente e ogni pianta nascente per circolare in macchina senza più ostruzioni e andare chissà dove.
Ma adesso neanche le macchine funzionano più e l'uomo vaga raccontando e raccontandosi leggende su quello che ha perso: i fiori, il verde, le case.
Su queste strade il lettore incontra personaggi che sembrano essersi persi, ma sopratutto incontra domande: dove portano le strade? Hanno una fine? Esistono delle uscite?
La terza opera, L'epidemia, mette i brividi. Nel mondo si è diffuso un morbo suicida che apparentemente ha origini inspiegabili. Ciò spinge la gente a impiccarsi nei boschi, i paesi a popolarsi. Dietro il fenomeno, in realtà, c'è ancora una volta l'uomo stesso, con una folle organizzazione che pianifica e organizza la fine programmatica della propria specie.
Il volume si chiude con L'espiazione, un testo dal titolo emblematico che ci pone di fronte al tema della colpa e della salvezza. Siamo trascinati nei bassifondi di una città, tra barboni, mendicanti ciechi e sordi, suonatori di armonica, vecchie affittuarie avide.
A un primo incontro sembra che loro, gli ultimi, siano davvero i portatori definitivi di valori perduti, ma scopriamo poi che terribili colpe sono ancora da espiare.
Leggendo queste pièce si ha come la certezza di essere di fronte alla nostra evoluzione, ma non è un avvertimento che nasce, come per molti testi letterari, semplicemente da un effetto distopia, è più una sensazione interiore, un timore che la Kristof sembra conoscere bene e fare insorgere.
Ogni pagina è intrisa di un senso di solitudine primordiale, ha un'attualità fuori dal tempo.
L'effetto è amplificato di fronte a testi nati per il teatro, corredati da alcune indicazioni di natura scenografica come quelle che anticipano Il Mostro ("sei quadri", la possibilità di recitare "senza scenografie") ma che vivono solo su pagina scritta. Sono rappresentazioni in potenza, minimali nella loro struttura, incompiute non perché non concluse ma perché il lettore leggendo immagina la vita che prenderebbero su una scena, i mille e oltre panorami umani su cui proiettare le storie.
In qualche modo, come per Trilogia della città di K., la scrittura è il significato ultimo delle cose, la possibilità di comprenderle e tramandarle, ma forse non è abbastanza, non è salvezza.
Lo stile di Kristof anche in questo libro è parte del racconto, è un'espressione di significati: come una lama affilata taglia fuori ciò che è inessenziale per arrivare al cuore delle cose.
Una prosa “che ha l’andatura di una marionetta omicida”, come ha scritto Manganelli.
Questa prosa diventa voce guida in un futuro in cui ci siamo persi.
È di questo, in fondo, che parla il libro.
Ora come mai abbiamo bisogno di capire a cosa tenerci stretti per salvarci, quali strade distruggere e quali costruire. Chissà se alla fine ne saremo capaci.
Claudia Consoli
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