Il signore degli anelli - La compagnia dell'anello
di J.R.R. Tolkien
Bompiani, 2019
Traduzione di Ottavio Fatica
pp. 704
€ 24,00 (cartaceo)
€ 14,99 (ebook)
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€ 14,99 (ebook)
Il 30 ottobre è uscita per Bompiani una ritraduzione de Il signore degli anelli, opera fantasy dello scrittore inglese J.R.R. Tolkien. La traduzione appena uscita è stata realizzata da Ottavio Fatica ed è la prima dalla storica fatta da Vicky Alliata di Villafranca e Quirino Principe nel 1967 (poi rivista nel 1970 e nel 2003).
L'incipit così puntuale e asettico è necessario per tutti quelli che non vivono nella bolla social che tocca gli argomenti traduzione-fantasy-editoria. Perché chi vive in questa bolla ha assistito, da un anno a questa parte, a una lotta senza quartiere tra addetti ai lavori e pubblico perché mai traduzione fu più avversata di questa. È stata tirata in ballo la politica, la tradizione, persino l'avallo personale di Tolkien alla precedente traduzione. Perdendo di vista, purtroppo, la sola cosa importante: se si tratti o meno di una buona traduzione, fa sì che anche le nuove generazioni possano fruire di questo immenso capolavoro della letteratura mondiale.
Si è sentito dire di tutto: da "Google translate l'avrebbe fatta meglio" (e anche senza le famose trentamila lire del mio falegname) al "hanno fatto ciò che Cannarsi ha fatto a Evangelion" e via di questo passo. È emerso che per la ri-traduzione di un mostro sacro come Il signore degli anelli, tutti erano pronti a lunghi peana e straccio delle vesti senza darsi la pena di concedere la possibilità e la lettura alla nuova versione.
Ora, chi vi scrive non è una traduttrice, è giusto dirlo. Come non sono traduttori i tanti lettori e i molti che, a poche ore dall'uscita dell'opera e, probabilmente, senza una lettura approfondita del testo, si sono sentiti offesi dal lavoro di Fatica. Chi vi scrive è, come tanti di loro, una grande appassionata dell'opera del Professore, ed è per questo che mi sono messa con le due versioni alla mano e le ho rilette in parallelo, confrontando pezzo per pezzo per cercare di capire i cambiamenti che sono stati apportati; non solo sulla parte poetica e sulla scelta della resa dei nomi, ma anche sulla parte di narrativa. Il risultato del lavoro di Ottavio Fatica è una bella traduzione che non snatura Tolkien e non toglie lustro alla traduzione storica di Alliata-Principe.
Un paio di cose non (mi) sono piaciute: la copertina e la mancata mappa. La copertina riporta il suolo di Marte con una filigrana d'oro a ricordare il metallo dell'Unico Anello. Visto quanto è immaginifico il primo volume con tutte le sue diverse ambientazioni, la scelta di questo paesaggio desolato non è stata la più azzeccata. Ma lunga è la storia delle copertine non riuscite della saga che necessitarono di decisi interventi dell'autore che, da artista formato qual era, aveva idee ben precise su come la sua Terra di Mezzo dovesse presentarsi.
Meno comprensibile è la scelta di omettere la mappa: se questa nuova traduzione dovrà essere la quella della nuova generazione, perché privarli dei riferimenti geografici necessari per la comprensione del viaggio? Chi, come me, ha la sua vecchia e frusta mappa, può correre ai ripari, ma chi compra il testo per la prima volta e non ha riferimenti precedenti si troverà parecchio spaesato. Pare che, da progetto editoriale, la mappa dovrebbe e potrebbe arrivare con la pubblicazione de Il ritorno del re e poi con il successivo tomo unico, ma, fino ad allora, viaggiare senza navigatore potrebbe essere spaesante per chi non conosce la Terra di Mezzo come le vie della sua cittadina natale.
Espresso ciò che a furor di popolo mette d'accordo sostenitori e detrattori, si può passare alle grosse pietre dello scandalo, quelle che hanno fatto nascere le inarrestabili lamentele e la bocciatura della traduzione da parte dei lettori (bocciatura che, è bene notare, è avvenuta pochissime ore dall'uscita del volume quindi un tempo non sufficiente per un giudizio ponderato): la prima è stata la poesia dell'anello. I vecchi appassionati come la sottoscritta canticchiano la poesia dell'anello anche mentre lavano i piatti oppure la usano per scandire il tempo ("Tra tre poesie dell'anello mi alzo, promesso"), ed è innegabile che la nuova versione, più asciutta e più simile all'equivalente inglese abbia generato un grande sgranare d'occhi. La scelta dell'editore di farla uscire con qualche giorno d'anticipo rispetto al volume è stata una mossa commerciale ben ragionata e calibrata che ha di certo, nel bene e nel male, generato un'aspettativa molto alta.
Alla poesia serve metrica, alla poesia serve interpretazione, è risuonato in molti angoli. Il fatto è che nelle liriche e nelle canzoni che si trovano nel volume, Fatica riesce a rendere, a seconda della situazione, il migliore dei toni possibile. E allora la poesia di Tom Bombadil che nella traduzione Alliata-Principe era
Vecchio Tom Bombadil è un tipo allegro;in quella di Fatica diventa
Ha gli stivali gialli e la giacca blu cielo. (p. 171)*
Tom Bombadil è un tipo allegrotto;
Stivali gialli ha e azzurro è il suo giubbotto. (p. 221)
e con la sua rima baciata rende al meglio il carattere naif del nostro Primo che, pur con tutto il suo potere, mantiene caratteristiche infantili nel suo allegro sgambettare e nell'incapacità di comprendere perché l'Anello sia un così grave pericolo.
E ancora la poesia composta da Bilbo riferita a Aragorn che nella traduzione di Alliata-Principe eraNon tutto quel ch'è oro brilla,e in quella di Fatica diventa
Né gli erranti sono perduti;
Il vecchio ch'è forte non s'aggrinza
E le radici profonde non gelano.
Dalle ceneri rinascerà un fuoco,
L'ombra sprigionerà una scintilla,
Nuova la lama ora rotta,
E re quei ch'è senza corona (p. 314)
Non tutto quel che è oro poi risplende,rende meglio l'idea di una lirica più da "hobbit", più cadenzata e propensa alle rime.
Non si smarriscon tutti gli errabondi,
Il vecchio che ha la forza non s'arrende,
Non gelan le radici più profonde.
Rinascerà un fuoco dalle ceneri,
Una favilla dall'ombra sprigiona;
La lama infranta nuova vita ottiene,
Tornerà re chi è senza corona. (p. 425)
Altro grosso campo di scontro è stato quello dei nomi, immediatamente riconoscibili e confrontabili. È innegabile che vedere nomi ai quali ci eravamo abituati e, in alcuni casi, con i quali siamo cresciuti non è di semplice accettazione. Tanto più che non tutti sembrano perfettamente riusciti: emblematico il caso della locanda "Al puledro impennato" che è stato tradotto con "Il cavallino inalberato". Ma a parte qualche eccezione, i nomi, pur suonando a noi ostici, ricalcano maggiormente l'originale inglese. Del resto questo è stato l'intento dichiarato fin dal principio: Omorzo Farfaraccio è più attinente all'originale Barliman Butterbur, così come Passolungo più vicino a Strider o Brea che resta Bree come nell'originale inglese. Ma la questione non sembra essere tanto riferito alla bellezza o meno dei nomi, parametro che comunque rimane soggettivo: pare più legato alla paura del lettore di perdere la conoscenza. Chi conosce il vero nome di una persona o di un oggetto, ne detiene il controllo e il potere e i lettori che da decenni sanno a chi associare il nome di Grampasso temono, con il nuovo Passolungo, di perdere i propri riferimenti. O di non essere più capiti dalle nuove generazioni quando si sentiranno dire "Circonvolvolo" e non capiranno che ci si riferisce al "Sinuosalice".
Ma un elemento rimasto a margine delle varie critiche è la resa della prosa fatta da Fatica: quando ci si prende il tempo di leggerla ci si accorge di essere di fronte a passi di mirabile bellezza. Soprattutto per quanto riguarda i personaggi, è stato fatto un adattamento e una caratterizzazione del loro modo di esprimersi che mancavano nella precedente traduzione.
Gandalf arricchisce la sua prosa con parole desuete: Radagast è descritto come "mago di vaglia", il capo dei Nove è "fero". Elrond, forte della sua maggiore antichità di termini e costrutti antichi e potenti. "Terrò questo come guidrigildo per mio padre e mio fratello" racconta parlando di Isildur.
Di contro, personaggi come Pipino, anzi Pippin, più concreti e meno ricercati, perdono l'ingessatura linguistica e si lasciano andare a considerazioni come
"Anziché buttarlo fuori e metterlo ai ferri, Elron piglia e lo premia per la sua faccia tosta!" (p. 467),
laddove quel "piglia" caratterizza appieno il personaggio. E ancora Sam che al posto del "se riesco a farmi intendere" adotta il più spiccio "non so se ci capiamo". E gli esempi sono innumerevoli e sicuramente un occhio più esperto non mancherà di notarli. La cosa importante è che l'opera non ne è sminuita, non è stata tradita (per quanto ogni traduzione un po' tradisca, come ci hanno insegnato). È migliore di quella vecchia? È peggiore? Non voglio usare un'altra trita citazione sui posteri e il loro giudizio. La vecchia guardia come me probabilmente penserà sempre a Sam come Samvise e sentirà un pizzico di mancanza dei "vieni meco" e del "fuggito nell'Azzurro" di Bilbo (ah, questo è stato reso come "volatilizzato" e con buona ragione). Ma non per questo non può riconosce e ammirare la bellezza di questa nuova traduzione e fare tanto di cappello al coraggio nel riprendere in mano le vicende della Contea.
E, ricordate sempre, puristi intransigenti: la versione in lingua originale non è mai andata da nessuna parte ed è lì ad aspettarvi. Ricordate anche che incontrerete ancora la poesia "Three rings for the Elven-Kings under the sky": e il loro cielo non risplende.
Giulia Pretta
*Si faccia riferimento all'edizione Bompiani del 2002, volume unico
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