Le malerbe
di Keum Suk Gendry-Kim
Bao Publishing, 2019
Traduzione di Mary Lou Emberti Gialloreti
pp. 488
€ 25,00 (carteceo)
€ 9,46 (ebook)
«Per quanto modesto, questo libro è dedicato a nonna Yi Okseon, figlia gentile, donna forte, madre devota ai suoi figli, accogliente e calorosa con i propri vicini. A tutte le nonne vittime della schiavitù sessuale dell’esercito giapponese che ci hanno già lasciato, e a tutte le magnifiche persone che resistono e sono ancora qui. Grazie». Estate del 2017 – Keum Suk Gendry-Kim (p. 484)
Corea, Pusan 1934. Yi Okseon è una bambina povera che ha un solo sogno: andare a scuola come i suoi fratelli per scoprire le cose belle del mondo. Ma Okseon sa che questo è impossibile: la sua numerosa famiglia è povera, affamata e riesce a sopravvivere a stento. La situazione è così disperata da costringere i genitori a vendere la bambina, con la maschera dell’adozione, a una famiglia senza figli che gestisce un ristorante di udon. “Almeno il cibo non le mancherà”, pensa la mamma. “Così potrò andare a scuola!”, pensa Okseon. Quello è invece il momento in cui il calvario di sventura e dolore ha inizio, raggiungendo l’apice nel 1942, quando una Yi Okseon ora adolescente viene venduta ai proprietari di una taverna di Ulsan e poi deportata insieme ad altre giovani ragazze e bambine nella Cina nord-orientale occupata dall’esercito giapponese. In questo luogo a lei sconosciuto, Yi Okseon sarà costretta a vivere come comfort woman, carne offerta in pasto ai soldati anche 30-40 volte al giorno, per permettere loro di sfogare i più biechi istinti ed evitare l’insubordinazione. Non c’è alcun dito accusatorio contro un Paese. Quello che viene raccontato da Keum Suk Gendry-Kim è l’orrore della guerra che genere sempre i soliti mostri: lo stupro, la mercificazione del corpo, la morte dell’anima.

Le Malerbe è un romanzo coraggioso nella sua crudeltà; è una lettura difficile da mandar giù. Scuote l’animo, fa tremare, piangere, soffrire. E arrabbiare. Perché questa pagina della Storia, per anni tenuta nascosta e smentita tanto dagli occupanti quanto dagli occupati, continua a essere negata perpetuando la violenza sulle donne che l’hanno subita sulla loro pelle. Un racconto potente che scorre via tra stazioni di conforto, rassegnazione a non poter fuggire, malattie e gravidanze non desiderate.
L’autrice ha un piglio narrativo e grafico di straordinaria incisione. Non c’è scampo al dramma, non si riesce a sfuggire al racconto distraendosi. Le immagini accentuano il grado di coinvolgimento senza eccedere in melodrammi: il primo stupro subito da Yi Okseon è un muto passaggio che cola inchiostro nero dalle pagine. E fa sentire una tremenda stretta al cuore che però continua a pulsare: Okseon ha sempre trovato la forza di andare avanti e non mancano le pagine in cui trapela la sua ironia e in molti dialoghi con la disegnatrice tende a sdrammatizzare scene e momenti che evocano tutt’altro che una risata. Le donne sono così: dure a farsi spezzare, in grado di piegarsi come giunchi di bambù e sopravvivere anche alle più atroci avversità. Proprio come le malerbe.
Federica Privitera
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