Se pensiamo ai personaggi dei racconti di Carver è come se pensassimo alla vita di noi lettori, fotografati nell'attimo in cui stiamo per leggere un racconto di Carver. Tutto quello che c’è nella scrittura di Raymond Carver è tutto quello che non c’è nella scrittura degli altri. Ovvero la vita, non sempre mirabolante e degna di nota, spesso assolutamente anonima e non rilevante.
La descrizione dell’attesa, in queste periferie americane senza personalità, è anche la descrizione di noi stessi che guardiamo agire il nostro essere antieroici nella vita quotidiana di tutti giorni. Questo modo di essere "normali", di metterci dall'altra parte, alla finestra a guardare la vita, rappresenta al meglio quello che Carver ha dipinto all’interno dei suoi racconti.
Per queste stesse ragioni da sempre lo scrittore americano è un esempio di scrittura, anche Murakami lo definisce tale e non esistono aspiranti scrittori che non guardino ai suoi racconti con ferocia e con ammirazione. Carver riesce a raccontarci di queste vite senza un obiettivo, di questi uomini e donne persi nell'anonimato americano, proprio perché anch’egli viene da questo mondo. Lo stesso spazio domestico diventa parte della narrazione, e a sua volta lo spazio è il limite della storia, il limite entro cui quella storia può esistere ed essere raccontata. Raccontando dei loro fallimenti i personaggi si autodefiniscono, si prendono il loro spazio o esistono in uno nuovo, colonizzandolo, come succede ad esempio nel racconto Vicini (Vuoi star zitta, per favore? 1976):
Non aveva appetito. Neanche lei mangiò molto. Si scambiarono uno sguardo impacciato e un sorriso. Arlene si alzò da tavola e andò a controllare che la chiave dei vicini fosse al suo posto sulla mensola, poi sparecchiò in tutta fretta. Lui rimase in piedi sulla soglia della cucina a fumare, poi la vide prendere la chiave. <Mettiti comodo in tanto che vado di là> disse lei. < Leggiti il giornale o qualcosa del genere.> Strinse la chiave. Aveva un'aria stanca, gli disse lei. Lui cercò di concentrarsi sulle notizie. Lesse il giornale e accese la televisione. Alla fine attraversò il pianerottolo. La porta era chiusa. <Sono io. Sei ancora lì, amore?> chiamò. Dopo un po' la serratura scattò e Arlene uscì e si chiuse la porta alle spalle. <Sono stata via tanto?> chiese.
o La casa di Chef (Cattedrale, 1983):
Poi ho detto qualcosa io. Ho detto: Immagina, immagina soltanto, immagina che non sia successo niente. Immagina che questa sia la prima volta. Immagina soltanto. Immaginare non costa niente. Metti che niente di tutto il resto fosse mai successo. Capisci che voglio dire? Dove saremmo allora?, gli ho detto. Wes ha puntato gli occhi su di me. Poi ha detto: Allora immagino che dovremmo essere altre persone. Persone che non siamo. Non ho più quel genere d'immaginazione. Siamo nati per essere quello che siamo. Capisci cosa sto dicendo?
Ma anche le idiosincrasie definiscono questa lunga battaglia quotidiana, in cui tutto può succedere ma noi restiamo in attesa di una tragedia non consumata, di un momento che non arriva, di un senso di vuoto e nello stesso tempo di perdita, che è del singolo ma anche della comunità.
Sono seduti all'ombra di un patio attorno a un tavolino di ferro battuto e bevono vino da pesanti boccali di metallo. <Perché mai dovresti sentirti così ora?> le chiedo lui. <Non lo so> dice lei. <Sono sempre triste quando arriva questo momento. Quest'anno p'anno, poi, è stato così breve, e non conosco nessuno degli altri>. Si sporge e fa per prendergli una mano, ma lui è più veloce di lei. <Sembrano così...così poco professionali.> Prende il tovagliolo che ha in grembo e si pulisce le labbra in una maniera che nell'ultimo mese lui è arrivato a detestare. <Non parliamone più>, dice lei. <Abbiamo ancora tre ore. Non pensiamoci neanche>.
Gli Aficionados (Se hai bisogno, chiama 2000)
I racconti di Carver si sviluppano secondo un arco cronologico che è anche segnato da un cambio di stile, come è ben evidente nella scelta che si fa all'interno del suo Meridiano. Visto che il suo è anche un continuo lavoro di riscrittura, di rivisitazione delle stesse raccolte di racconti, il compito non è stato facile.
Oltre ai racconti, Carver ha scritto poesia e saggi, ma la short story è quella che si è voluta privilegiare all'interno del Meridiano. In definitiva, vi sono contenuti circa 80 racconti, ordinati secondo la sequenza storica e nella sua forma definitiva.
Vi si trovano otto sezioni, le prime sei corrispondono ad altrettante raccolte di racconti pubblicati da Carver in vita e disposte in ordine cronologico, nella settima sezione vi sono racconti giovanili, mentre nell'ottava sono presenti dei metatesti e dei saggi.
Verso la metà degli anni Settanta, mi sono reso conto che facevo fatica a concentrare l'attenzione su opere narrative di una certa lunghezza. Per qualche tempo ho avuto difficoltà a leggerle, oltre che a cercare di scriverle. la mia capacità di attenzione si era come esaurita; non avevo più la pazienza necessaria a tentare di scrivere romanzi. È una storia complicata e troppo noiosa per raccontarla ora. Però so che ha molto a che fare con la ragione per cui scrivo poesie e racconti. Entra ed esci. Niente indugi. Avanti il prossimo. Può darsi che si successo perché a quell'epoca, mentre mi avviavo verso la trentina, avevo perso qualsiasi ambizione di grandezza. Se questo è vero, credo mi sia andata meglio così. L'ambizione e un po' di fortuna sono buone alleate per uno scrittore. Troppa ambizione e poca fortuna, se non proprio scalogna, possono rovinarlo. Ma il talento, quello ci vuole.
(Il mestiere di scrivere)
Selezione e introduzione a cura di Samantha Viva
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