Il
colibrì
di Sandro Veronesi
La Nave di Teseo, 2019
pp. 368
€ 20,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Il fatto è che dietro al movimento è facile capire che c’è un motivo, mentre è più difficile capire che ce n’è uno anche dietro l’immobilità. Ma questo è perché il nostro tempo ha conferito via via sempre più valore al cambiamento, anche a quello fine a se stesso, e il cambiamento è quello che vogliono tutti. Così, non c’è niente da fare, alla fine chi si muove è coraggioso e chi resta fermo è pavido, chi cambia è illuminato e chi non cambia è un ottuso. È ciò che ha deciso il nostro tempo. (p. 312)
È vero, si pensa leggendo queste
parole mentre siamo già in dirittura d’arrivo di un romanzo che vede al centro
la vita del dottor Marco Carrera – e dunque, essendo in dirittura d’arrivo,
siamo nella fase in cui il protagonista sta facendo i conti con la propria
esistenza, accettando che tutto ciò che è accaduto ha contribuito a renderlo
quello che è, nel bene e nel male –, è vero, si pensa: il nostro è un tempo che
considera fondamentale apprendere la delicata arte del cambiamento, anche di un
cambiamento a tutti i costi, sempre e comunque, persino al punto di rinunciare
alla propria identità e di manipolare la narrazione che si fa del nostro
passato e della nostra memoria.
Eppure ci vuole coraggio anche a
restare mentre tutti se ne vanno, a mantenersi saldi nelle convinzioni – su se stessi, sugli altri, sull’idea
che ci è fatti di ciò che è giusto e sbagliato – mentre il mondo che
abbiamo conosciuto muta davanti ai nostri occhi. Marco Carrera, classe 1959
come Veronesi, è l’esempio di una generazione che ha
visto stravolgerlo questo nostro mondo: sono cambiati i costumi, è cambiata la
musica, sono cambiati i rapporti umani, ma soprattutto è esplosa la tecnologia che pur coprendo
in pochi istanti distanze ritenute incolmabili spesso rende più distanti.
O forse, ci si chiede leggendo
questo Colibrì, non è la tecnologia a rendere più distanti, ché in effetti non si può non dar
ragione al protagonista quando scrive al fratello che «Le cose sono innocenti»
(p. 50): sono le persone a creare dei muri di silenzio, a vestire il rancore
come fossero abiti alla moda, per poi ritrovarsi dopo una vita a chiedersi
perché si è trascorsa l'esistenza a spendere tante energie per odiarsi quando si avrebbe potuto amare senza restrizioni e senza freni.
Il contrario del cambiamento, si sa,
è la stasi. Ma sarebbe sbagliato affermare che Marco Carrera sia rimasto immobile nel corso della sua vita. Saldo, sì, fermo, ma non statico. La
sua è in effetti l’arte della resilienza – altra parola, insieme a “empatia” e “cambiamento”, di cui tendiamo ad abusare, ma che qui ci sta bene, è il termine adeguato –, ossia la capacità di resistere agli urti e anzi di
trarre vantaggio da questi scossoni in grado di travolgere interi universi. Se
consideriamo che qui abbiamo a che fare con un normale essere umano, e non con
un super eroe, bensì qualcuno come noi, come il nostro vicino o il nostro
medico, ecco che allora la resistenza diventa una qualità superomistica:
perché se il corpo, ma soprattutto la mente, sono progettati per
resistere a un certo numero di onde d’urto e a volte basta un colpo in più per
mandare in pezzi una persona, ecco allora che saper resistere è fondamentale.
Sapersi reinventare pur rimanendo fedeli a se stessi è un atto di eroismo. Saper
rimanere degli esseri buoni è un gesto divino.
Il
colibrì è il romanzo di una vita e Sandro Veronesi sa leggerla bene questa
vita di cui ci racconta. Porta davanti ai nostri occhi lo spettacolo dell’esistenza
con la delicatezza di un gran narratore e la cordialità di un amico. Rende ossa,
nervi e carne le pagine bianche del libro. La sua è una scrittura grandiosa,
che non sbava mai, che non cade in fallo, che resta limpida anche davanti al
nubifragio.
Il
colibrì è un romanzo semplicemente perfetto.
David Valentini
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