L’incontro con Henri Beyle è avvenuta, in maniera più attenta, nel periodo in cui ho lavorato alla mia tesi di dottorato su Sciascia, soprattutto in rapporto al legame che unisce Stendhal a Leonardo Sciascia attraverso Paul-Louis Courier, un polemista francese di epoca napoleonica. Nei «pamphlet» sciasciani, quei libelli in cui la storia si confronta con il romanzo, in cui la Francia delle letture giovanili e degli ardori illuministi riaffiora prepotentemente, si respirano infatti Stendhal e Courier.
Inoltre, nel 1811, lo stesso anno in cui Stendhal viaggiava in Italia, ma non spingendosi oltre Napoli, Courier era già giunto in Italia da tempo: a Milano ed a Roma, durante la seconda campagna d’Italia, nel 1799, poi nel 1804, partecipando a varie campagne militari e ancora dopo le sue dimissioni, dal 1809, vi era rimasto, sognando un viaggio in Grecia che non riuscirà mai a fare. La Sicilia, il luogo agognato, il mito tanto ricercato gli sarà però negata; analogo destino di Stendhal.
In questo ambito, quindi, il mio amore per Stendhal è nato e cresciuto. In rapporto a degli studi che mi hanno fatto ricostruire un periodo e un universo, ecco che ho incrociato l’universo stendhaliano. Ed è altresì interessante come la forma del romanzo non fosse nei piani di Stendhal, che scrisse all’inizio solo saggi, pamphlet e opere teatrali. Nello stesso modo nel suo destino si insinuerà l’Italia, e poi la scelta dello pseudonimo Stendhal, che ritroviamo per la prima volta nel 1817, e che deriva dalla città tedesca in cui passò durante il soggiorno a Brunswick. Figura affascinante e poliedrica, anima inquieta e passionale, Stendahl ha concepito delle opere universali, la prima delle quali non può che essere, in una mia classifica personale, per quella ambivalenza tra il richiamo alle armi e quelle alla vita clericale, per quel personaggio meraviglioso che è Julien Sorel, per lo studio del caso da cui muove il libro, ovvero l’Affaire Berthet, che parla appunto dell’uccisione della figlia di un notaio da parte dell’amante, il figlio di un fabbro. Sto ovviamente parlando dell’opera Il Rosso e il Nero. A cui segue il romanzo incompiuto Lucien Leuwen.
Il Rosso e il Nero. Capitolo XI, Una serata
[…]La signora de Rênal non riuscì a chiudere occhio. Le sembrava di non aver mai vissuto fino ad allora. Non poteva distogliere il suo pensiero dalla gioia di sentire Julien coprire la sua mano di baci infuocati. D’improvviso le apparve la terribile parola: adulterio. Tutto ciò che di disgustoso il vizio più basso può imprimere all’idea dell’amore dei sensi si presentò in tumulto alla sua fantasia. Quei pensieri tentavano di offuscare l’immagine nobile e divina che si era fatta di Julien e della felicità di amarlo. Il futuro le si dipingeva a fosche tinte. Si sentiva spregevole. Fu un momento spaventoso; la sua anima attraversava paesi sconosciuti. Il giorno prima avevaassaporato una gioia mai provata; ora, si trovava di colpo tuffata in un dolore atroce. Non aveva idea alcuna di sofferenze simili, che turbarono la sua ragione.
Lucien Leuwen, Capitolo XXIX
Se Lucien avesse avuto un po’ di esperienza, quelle dispute provocate senza un motivo plausibile da una donna così intelligente, che per modestia ed equità naturali era ben lontana dall’esagerare i torti degli altri, quelle dispute gli avrebbero rivelato di quali lotte era teatro il cuore che assediava. Ma il cuore politico di Leuwen aveva sempre disprezzato l’amore e ignorava l’arte di amare, che è tanto necessaria. Fino all’episodio casuale che gli aveva fatto notare la signora de Chasteller e al moto di vanità che gli aveva reso spiacevole l’idea che una delle più belle donne della città potesse avere qualche ragione per ridere di lui, si era detto: “Cosa potremmo pensare di un uomo che, in presenza di un’eruzione del Vesuvio, continuasse a giocare con un bilboquet?”.
Passione e dovere, due estremi che tornano spesso nelle opere del grande scrittore; i suoi testi sono spesso delle riscritture, di casi giudiziari, come nel Rosso e il Nero o di un’opera precedente, come nel caso del Lewuen, quindi abbiamo una mediazione prima di giungere all’opera compiuta. Una sorta di raggiungimento di un’acme poetica, per gradi. E poi un’indagine che ci porta da fattori esterni al cuore degli uomini e alle ragioni profonde di ogni scelta. Nel primo caso si tratta di un protagonista con una forte ascesa sociale, nel secondo caso di un parallelismo opposto, che porta Leuwen alla caduta, figlio di un banchiere paralizzato nella sua vita, per uno scandalo, ma anche nella sua capacità di scelta politica. Entrambi si ribellano ad un sistema, ad una certezza, e si perdono nell’estremo gesto, di azione o di rinuncia. Non ci sono mezze tinte per Stendhal, ci sono solo scelte assolute e richiami irresistibili. Ed è per questo che è impossibile non amarlo.
Selezione a cura di Samantha Viva
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