Paris
di Robert Doisneau
Traduzione dal francese di Vera Verdiani
L'Ippocampo, 2019
pp. 393
€ 19,90 (copertina flessibile)
«Con il suo continuo strusciarsi contro l'arredo urbano, la popolazione di Parigi ha conferito alla città quella patina che abbiamo finito per amare. Anch'io, con il mio continuo passare in su e in giù, ho talmente contribuito alla lucidatura delle suppellettili stradali che, per la prima volta nella mia vita, provo un vago senso di possesso. Intendo tuttavia situarmi nella rara specie dei proprietari liberali e spalancare a tutti le porte della città».
E davvero in questa città, che vanta ancora il primato di principale meta turistica, viene dischiusa dagli scatti di Robert Doisneau, che, da pedone esemplare, cammina per le sue vie, nascondendo la macchina fotografica e cogliendo immagini, senza ostentare il suo ruolo di fotografo. Ci sono le sue attenzioni ai dettagli della città, talvolta agli accostamenti paradossali, che rendono ora ironica ora struggente la fotografia. Troviamo soprattutto i parigini: caratteristici nella loro quotidianità straordinaria, tutti con una storia da raccontare stretta tra gli occhi, nel loro vestiario o nell'espressione che portano con sé, e che Doisneau coglie in bianchi e neri che a dir poco rapiscono:
«Vedere, a volte, significa costruirsi, con i mezzi a disposizione, un teatrino e aspettare gli attori. Aspettare chi? Non lo so, però aspetto.»
Chissà quali storie hanno questi uomini e queste donne?!, viene da chiedersi, immergendosi nelle diverse situazioni parigine, che sia lo stupore di chi guarda la Tour Eiffel, o la gioia di tanti studenti che corono al Parc Monceau, mentre un signore di mezza età legge compìto il suo giornale, senza prestare loro attenzione. Ci sono anche le statue, ora invase dai piccioni, ora trasportate beffardamente da operai che non prestano attenzione a cosa stringono tra le mani, ora osservate da prospettive singolari, come quando nel giardino delle Tuileries, sopra le statue, volano quattro elicotteri.
Giochi di simmetrie (bellissimi gli scatti sulla Tournelle), contrasti cromatici e capacità straordinaria di cogliere l'attimo sono solo alcuni degli aspetti formali che colpiscono; il mio sguardo di osservatrice non professionista si sofferma soprattutto sugli sguardi, perché è nel ritratto che Doisneau mi conquista ogni volta. Pezzi di quotidianità individuale, da un ragazzino che porta una baguette contando i soldi del resto fino a pedoni che attraversano fortunosamente strade colme di traffico, si accostano a foto che rappresentano la comunità:
«Non solo ci si parlava, ma anche si cantava insieme - ricorda Doisneau in una delle tante didascalie che costellano il libro - Agli angoli delle strade c'erano gruppi composti da una fisarmonica, un violino, una batteria e una cantante. Il musicista capo vendeva al pubblico dei "formati ridotti" con le parole, e la gente cantava il ritornello. Persino nella metropolitana succedeva che qualcuno intonasse una canzone e che dieci persone la canticchiassero insieme a lui».
Per quanto concerne l'ambientazione, Doisneau predilige soprattutto la Parigi aperta, con le sue vie tempestate di passanti, o i suoi bar che mettono in mostra ai tavolini personalità eccentriche e sguardi pensosi. Gli interni sono rivolti di solito a momenti collettivi, da balli in locali che sembrano testimoniare il chiasso e il divertimento nelle fotografie.
La guerra, la Liberazione di Parigi vengono immortalate da Doisneau, che accompagna agli scatti le sue memorie di quei giorni concitatissimi. E questi fanno da contraltare alla Parigi che si diverte, dove sale da ballo prendono piede, insieme a espressioni rapite:
«Si chiama aura quella specie di tubo al neon che si accende intorno a certe persone, isolandole per un breve momento. Bisogna sbrigarsi a registrarla, perché non regge il movimento. "La prego, ferma così, non si muova, poi le spiego". Doveva rendersi conto dell'effetto prodotto perché, senza neanche alzare gli occhi, mantenne quell'atteggiamento di ostinata modestia che tanto le donava. Sperava in un ballerino, e invece le è capitato un fotografo. E da quel giorno del 1951, Anita non si è più mossa».
Ed è anche grazie a simili commenti alle fotografie che ci sembra di veder rivivere momenti, di risentire voci e profumi. Doisneau è un occhio sul mondo, e ringraziamo L'Ippocampo, che ha portato in Italia questa preziosa raccolta, peraltro a un prezzo straordinario vista la qualità delle immagini e il numero generoso di scatti qui compresi.
GMGhioni
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