Il Mahabharata
sceneggiatura di Jean-Claude Carrière
illustrazioni di Jean-Marie Michaud
L’ippocampo, 24 ottobre 2019
traduzione dal francese di Fabrizio Ascari
pp. 446
€ 29,90 (cartaceo)
sceneggiatura di Jean-Claude Carrière
illustrazioni di Jean-Marie Michaud
L’ippocampo, 24 ottobre 2019
traduzione dal francese di Fabrizio Ascari
pp. 446
€ 29,90 (cartaceo)
Il 1985 ha rappresentato un’annata importante per le arti performative: fu difatti in occasione del trentanovesimo Festival del teatro di Avignone che il 7 luglio debuttò il Mahabharata di Peter Brook, spettacolo epico e colossale di nome e di fatto dal momento che portava in scena un adattamento del “grande poema del mondo” per un totale di nove ore di spettacolo. Sono passati più di trent’anni da quell’evento destinato a passare alla storia, e ancora oggi il lavoro del regista inglese – che fino al 1988 lo portò in tournée in tutto il mondo – è studiato, analizzato e celebrato in numerose pubblicazioni. Un destino più che fausto, dunque, e che per certi versi somiglia a quello del testo d’origine, scritto in sanscrito a partire dal IV secolo a. C. e successivamente ampliato fino ad arrivare a una lunghezza quindici volte superiore a quella della Bibbia. Merito di quel successo fu anche di Jean-Claude Carrière, che (insieme a Marie-Hélène Estienne) mise mano all’adattamento del testo operando tagli alle parti non necessarie e inserendo alcune aggiunte di raccordo; un lavoro, quello dello scrittore, che non cessò nemmeno con la messa in scena, ma che andò avanti almeno fino al 1989, quando mise mano alla forma romanzo per rendere l’opera accessibile a un pubblico moderno di lettori oltre che di spettatori. Tre anni fa – tanti ce ne sono voluti per il compimento della sua "impresa" – l’illustratore Jean-Marie Michaud si è a sua volta appropriato di quella sceneggiatura per darle forma e colore sottospecie di fumetto: il risultato è un meraviglioso volume appena pubblicato da L’ippocampo nella sua versione italiana, e che spicca per originalità e imponenza nel sempre ammirevole catalogo della casa editrice.
Sintetizzare il Mahabharata in poche battute è praticamente impossibile: la sua complessità di trame, intrecci e personaggi è tale da mettere alla prova chiunque. Esso è difatti «un poema epico e romanzesco che tratta di religione, politica, legge, morale e cosmologia, ma anche della liberazione dal ciclo doloroso delle ri-nascite e ri-morti, che la tradizione indiana considera il fine ultimo dello sviluppo spirituale». Per avere un’idea del filo conduttore di questa epopea – che è alla base della miriade di miti, leggende e antiche usanze che permeano l’immaginario indiano e che imprime il Dharma, ovvero la sacra legge cosmica, nel cuore degli uomini – sarà sufficiente dire che tutto ruota attorno al duro conflitto dinastico tra i clan cugini dei cinque fratelli Pandava e dei cento fratelli Kaurava, costretti dagli eventi a combattere una serie di sanguinose battaglie per la supremazia in un’epoca risalente a tremila anni prima di Cristo, all’alba della cosiddetta età oscura, l’attuale Kali Yuga. Carrière e Michaud la suddividono in sei capitoli: La nebbia delle origini, Dall’infanzia dei principi al regno in eredità, L’esilio, La scelta delle armi, Amara vittoria, Epilogo.
Guidato dal vecchio narratore Vyasa, che a sua volta è parte in causa e nel contempo spiega la storia a un fanciullo, al lettore non resta che sfogliare una dopo l’altra le pagine di un volume che non risparmierà effetti spettacolari sia negli eventi sia nella loro resa grafica: le tavole di Michaud – tutte giocate sull’alternanza di tagli regolari e irregolari e quasi interamente modulate su una bicromia seppia/ottanio (quasi un sottotono opaco rispetto all’oro e al lapislazzuli del dio Krishna) – sono un’autentica gioia per gli occhi, ricchissime di particolari fedeli e non prive di tocchi sapienti di paradossale ironia; come quando, nel descrivere il dio Ganesha e nel rimarcarne la golosità, lo si mostra con la proboscide immersa in un improbabile vasetto di Nutella; oppure quando accanto al dio Krishna, addormentato in un’alcova provvisoria, trovano posto i paramenti sacri e un flauto poggiato sopra un’altrettanto anacronistica partitura musicale di J. S. Bach! Strizzate d’occhio, si capisce, rivolte a un pubblico contemporaneo, ma talmente discrete e indovinate da non risultare né dissacratorie né fini a se stesse.
Guidato dal vecchio narratore Vyasa, che a sua volta è parte in causa e nel contempo spiega la storia a un fanciullo, al lettore non resta che sfogliare una dopo l’altra le pagine di un volume che non risparmierà effetti spettacolari sia negli eventi sia nella loro resa grafica: le tavole di Michaud – tutte giocate sull’alternanza di tagli regolari e irregolari e quasi interamente modulate su una bicromia seppia/ottanio (quasi un sottotono opaco rispetto all’oro e al lapislazzuli del dio Krishna) – sono un’autentica gioia per gli occhi, ricchissime di particolari fedeli e non prive di tocchi sapienti di paradossale ironia; come quando, nel descrivere il dio Ganesha e nel rimarcarne la golosità, lo si mostra con la proboscide immersa in un improbabile vasetto di Nutella; oppure quando accanto al dio Krishna, addormentato in un’alcova provvisoria, trovano posto i paramenti sacri e un flauto poggiato sopra un’altrettanto anacronistica partitura musicale di J. S. Bach! Strizzate d’occhio, si capisce, rivolte a un pubblico contemporaneo, ma talmente discrete e indovinate da non risultare né dissacratorie né fini a se stesse.
Quasi cinquecento tavole e una gestazione di almeno trentasei mesi fanno del Mahabharata di Carrière e Michaud un libro monumentale, in cui la qualità dal punto di vista sia narrativo che estetico è direttamente proporzionale all’imponenza dei numeri. L’opera di semplificazione svolta dai due autori li ha condotti a una sintesi riuscitissima, scongiurando i rischi di banalizzazione o incompletezza che tanto spesso si corrono in questi casi. Anche chi non conosce “il grande poema del mondo”, e chi magari ha evitato ogni approccio per timore della sua nota complessità, troverà in questa versione illustrata un’ottima intermediazione, in cui la suggestione delle parole ha la sua eco perfetta in immagini altrettanto evocative. Vero e proprio “libro dell’anno” per la casa editrice L’ippocampo, che con esso inaugura una nuova collana dedicata più specificamente al fumetto, è da credere che piacerà a un pubblico adolescente e adulto, e che susciterà in entrambe le categorie la curiosità per nuove uscite altrettanto ambiziose.
Cecilia Mariani
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