Il purgatorio non è eterno
di Claudio Uguccioni
Ronzani Editore, 2019
pp. 363
€ 17,00 (cartaceo)
€ 17,00 (cartaceo)
«Inoltre le nostre stanze sono insonorizzate, teniamo molto alla privacy dei nostri clienti».Appena finì di pronunciare quell'ultima frase fu come se si fosse accorto che con un cadavere steso a terra non era molto opportuno parlare di privacy. (p. 12)
Roma 1995: il professore di storia Émile Martin viene trovato morto. Si è sparato con una Beretta calibro 22 e, visto che la moglie e il figlio sono morti in un incidente d'auto pochi mesi prima, il suicidio pare la risposta più ovvia. Al vice commissario Luigi Ranieri però la cosa non torna: perché uccidersi in un anonimo motel di Roma? Perché prenotare un volo per Washington proprio poco prima di spararsi? Perché il Vaticano e le sue forze dell'ordine si stanno interessando a questo ignoto storico francese?
Se state pensando di essere capitati in un ennesimo codice che prende il nome da qualche genio rinascimentale potete rilassarvi: dietro questo thriller storico non c'è nulla di così sensazionalistico come le storie che ci arrivano da oltre oceano. Ma c'è una ricerca storica accurata, una costruzione dei personaggi ben calibrata e un ritmo sostenuto che aprono lo sguardo su uno degli scenari forse un po' trascurati, narrativamente parlando, della nostra storia contemporanea: la politica della ex Jugoslavia.
Il termine Ustascia significava "ribellarsi" e il capo del gruppo era Ante Pavelić, detto il duce croato. All'inizio della Seconda Guerra Mondiale, le forze dell'Asse, Germania e Italia avevano invaso il regno di Jugoslavia e nell'aprile del 1941 era stato costituito lo Stato Indipendente di Croazia, alleato dei nazisti. (p.56)
Opera prima di Claudio Uguccioni e segnata al XXXI Premio Calvino, Il purgatorio non è eterno si muove tra la spy story, il thriller storico e il più classico dei gialli.
Il romanzo si snoda su tre nuclei temporali. Il primo, brevissimo, nel 1945 durante il regime croato degli Ustascia e la loro pulizia etnica contro la popolazione serba. Il secondo, negli anni Novanta, con l'omicidio di Émine Martin e le indagini del vice commissario Luigi Ranieri e il magistrato Elena Mariani: sono gli anni dell'assedio di Sarajevo, del massacro di Szebrenica e della pulizia etnica da parte delle truppe serbo-bosniache. Infine, nel 2019, quando si giunge alla risoluzione di quasi un secolo guerra e intrighi che non hanno risparmiato due grandi potenze come l'America e Stato Città del Vaticano.
I rischi con questo tipo di romanzi sono in genere legati all'ambientazione e alla pretesa didattica. Anche quando vengono ambientati in Italia, sembra di assistere a indagini di oltreoceano e si tende al sensazionalismo. Qui invece, a parte qualche trascurabile battuta di dialogo un po' stereotipata, abbiamo un'ambientazione ben costruita e calata nel territorio. Non mancano gli intrecci con le realtà mafiose vissute in prima persona da Elena Mariani, giovane magistrato che ha lavorato nella squadra di Borsellino, e incrociate poi da Luigi Ranieri nel presente con l'attualissimo tema dello smaltimento dei rifiuti elettronici in mano a cosche per un fatturato da far girare la testa. Il Vaticano, uno dei protagonisti di questa sanguinosa vicenda sia durante il conflitto mondiale che durante la guerra degli anni Novanta, è gestito e trattato come uno stato sovrano a tutti gli effetti pronto a difendere i propri interessi, i propri conti correnti e i legami con le grandi potenze senza troppi scrupoli. Scevro di qualunque alone mistico, incarnato dalle proprie forze dell'ordine dell'Ispettorato e del corpo della gendarmeria, il Vaticano è una macchina statale come tutte le altre in gioco.
Il secondo rischio è la pretesa didattica. Perché, in storie con un background storico così accurato e fondamentale per lo sviluppo della storia, è normale scivolare nello "spiegone" con cui l'autore sale in cattedra e racconta tutte le coordinate che servono al lettore per orientarsi. I professori dei vari codici di geni rinascimentali sono maestri in ciò. Per fortuna, questa non è una storia americana. Tutto quello che serve sapere si dispiega nel corso della narrazione: ogni personaggio è mancante di determinati tasselli e il lettore, seguendo prima uno e poi l'altro in un perfetto lavoro di squadra, si addentra senza nemmeno accorgersene in una lezione di storia molto completa su argomenti meno noti della nostra storia contemporanea. Se tutti ricordiamo la guerra degli anni Novanta, è più difficile che durante lo studio della seconda guerra mondiale abbiamo analizzato la questione degli Ustascia e dell'impatto che hanno avuto sulla penisola balcanica. E, meno che mai, abbiamo capito di come il Vaticano si sia sporcato le mani durante le guerre del XX secolo. Non si scade però mai nel complottismo. Non ci sono fantasiose teorie, reliquie e manoscritti. Ci sono, di contro, documenti, pizzini, giri di denaro e commercio d'armi.
C'è una profonda rassegnazione di fondo, la sensazione che tutti i personaggi, nonostante possano fare del loro meglio e cercare di sistemare il pezzetto di mondo e di Storia intorno a loro, non riusciranno mai a sconfiggere ciò che di grande, nel male, c'è nel mondo. I soldi, le lotte etniche, il crimine organizzato saranno sempre tenute a bada, ma mai sconfitte, come, d'altra parte, il male dentro di noi. Condannati a scontare un purgatorio sulla terra per le ragioni più svariate, i personaggi vivranno soli e con pochi raggi di speranza a bucare il loro orizzonte. L'inferno, si sa, sono gli altri e tutti gli attori in gioco, Vaticano incluso, paiono aver accettato questa affermazione: le più atroci attività non sono scoraggiate nemmeno dal timore della dannazione eterna.
Giulia Pretta
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