In tempo di guerra
di Concita De Gregorio
Einaudi, 12 novembre 2019
pp. 176
€ 16,50 (cartaceo)
€ 8,99 (ebook)
Chi ha già letto opere di Concita De Gregorio lo sa: al centro della sua scrittura c'è la realtà, che si tratti un tema delicato come la morte (in Così è la vita, Feltrinelli 2011), che ci si soffermi sul lutto di una madre nei confronti delle figliolette scomparse (Mi sa che fuori è primavera, ivi, 2015) o che si affronti un romanzo-inchiesta sugli intrighi politici in Italia (Nella notte, ivi 2019). Il nuovo libro, In tempo di guerra, appena uscito per Einaudi, pone al centro una questione altrettanto scottante: qual è la vita dei trentenni, oggi? Quale congerie di aspettative violate e tuttavia resilienti, quali capisaldi resistono, nonostante la terribile guerra silenziosa che si combatte ogni giorno?
Per non parlarne ex cathedra, Concita De Gregorio dà la parola a uno dei suoi lettori, Marco, che ha colpito particolarmente l'autrice con una lettera in cui le chiedeva una settimana di tempo. Una settimana per presentare la propria vita attraverso lettere, diari, contributi che raccontano chi è Marco, chi è la sua famiglia e perché, a trent'anni, lui si sente così disamorato e solo. E proprio in giorni della settimana si divide quest'opera composita, in cui Concita De Gregorio appone lacerti della vita di Marco - dai suoi diari di quando, da piccolo, immaginava di essere un alieno proveniente da un altro mondo, alle lettere ai e dai nonni amatissimi, fino a lettere molto toccanti al padre, alla madre e alla sorella Anna. La scrittrice risponde, poi, interloquendo con le realtà private di Marco, suggerendo spunti di lettura, articoli di giornale, argomenti per suffragare o contrastare le tesi del giovane.
L'incertezza sul futuro e l'assenza di valori forti sono due costanti che ritmano i contributi di Marco, senza lamenti ostentati e, anzi, talvolta con una preoccupazione vestita d'ironia, forse per questo ancor più angosciante. Da poco di nuovo single, senza un lavoro, con poche prospettive per il futuro, Marco si chiede quale posto occupi nel mondo, perché i suoi nonni avevano le idee ben chiare e così i suoi genitori, che dopo una giovinezza all'insegna del cambiare il mondo, vivendo addirittura in comunità, si sono poi rifugiati nei dettami e nei dogmi dei Testimoni di Geova. Forse anche per questo Marco - colpevolizzato verso il sesso, la normale curiosità per l'altro sesso, costretto a uscire di casa con la camicia bianca ben allacciata fino all'ultimo bottone - si sente estraneo, impantanato in una palude: i suoi pensieri più si dibattono e più affondano in profondi interrogativi, che non trovano risposta.
Eppure la speranza c'è, nonostante la visione disincantata del reale: tanto per cominciare, lo spirito critico di Marco è la prima salvezza di fronte all'"impasticcarsi" di social e bazzecole di tanti suoi coetanei. Poi ci sono gli affetti, perché - per quanto tenuti a distanza da Marco, a portata di lettera o email - spesso dalle loro parole traspare il desiderio di comunicazione. La sorella Anna, in particolare, è uno dei perni della vita di Marco, e viene proprio da pensare che sia lì che i trentenni devono cercare punti di riferimento, ossia in chi amano.
Se a prima vista In tempo di guerra può apparire eccessivamente frammentario, fino a rocamboleschi salti di tempo e di narratore, alla fine del libro si fanno più chiare la struttura e le tematiche, e gli obiettivi dell'opera si intrecciano, dimostrando come i singoli lacerti acquistino ulteriore senso alla luce della conclusione. Dunque, chi dovesse sentirsi spaesato all'inizio prosegua con la lettura, perché niente è lasciato al caso; la stessa frammentarietà dell'opera può dirsi specchio della disgregazione interiore vissuta da chi, a trent'anni, non ha ancora il proprio posto nel mondo, né la possibilità concreta di edificarlo.
GMGhioni
Se a prima vista In tempo di guerra può apparire eccessivamente frammentario, fino a rocamboleschi salti di tempo e di narratore, alla fine del libro si fanno più chiare la struttura e le tematiche, e gli obiettivi dell'opera si intrecciano, dimostrando come i singoli lacerti acquistino ulteriore senso alla luce della conclusione. Dunque, chi dovesse sentirsi spaesato all'inizio prosegua con la lettura, perché niente è lasciato al caso; la stessa frammentarietà dell'opera può dirsi specchio della disgregazione interiore vissuta da chi, a trent'anni, non ha ancora il proprio posto nel mondo, né la possibilità concreta di edificarlo.
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