Ho il potere di arrivare a dire la realtà vera?
È una delle domande principali che si poneva Virginia Woolf quando scriveva.
Una domanda che da sola contiene una grande, immensa, possibilità: quella di rendere la vita in scrittura, di strappare alla realtà una verità, e questa verità poi comunicarla attraverso una visione. È questo l'aspetto più inquieto della sua personalità, troppo spesso e troppo banalmente rappresentata come inquieta, buia e depressa, quando i diari e le lettere ci dicono tutt'altro raccontandoci invece la vitalità, l'acume, l'ironia, l'attenzione vigile sul mondo.
Se c'è una cosa che rendeva Virginia Woolf inquieta era la sua ricerca, costante e spesso sfibrante, di arrivare alle cose, dentro le cose, nel flusso della vita che acquista un senso solo quando viene messo in forma scritta.
È la ragione per cui a quasi ottant'anni dalla scomparsa è così contemporanea: è l'esempio di una ricerca di senso, ed è una ricerca che non passa mai.
Chi ama Virginia Woolf dal 2016 a questa parte ha l'opportunità di incontrarla non solo nelle letture, ma anche attraverso un festival che chiama a raccolta i suoi lettori per celebrare la sua visione e la bellezza della sua opera.
Chi ama Virginia Woolf dal 2016 a questa parte ha l'opportunità di incontrarla non solo nelle letture, ma anche attraverso un festival che chiama a raccolta i suoi lettori per celebrare la sua visione e la bellezza della sua opera.
Si chiama Il faro in una stanza e si tiene a Monza; noi eravamo lì già dalla prima edizione che abbiamo poi raccontato attraverso una cronaca e un'intervista a Raffaella Musicò, la proprietaria della libreria Virginia e Co di Monza, che insieme a Liliana Rampello, Elisa Bolchi e Sara Sullam da anni lavora all'organizzazione e alla comunicazione dell'iniziativa.
Quattro donne, studiose e professioniste del mondo del libro che amano Virginia e la raccontano per quello che era, una rivoluzionaria, un'equilibrista della parola e del tempo che tutt'oggi si destreggia su una corda immaginaria tra passato, presente e futuro.
Quattro donne, studiose e professioniste del mondo del libro che amano Virginia e la raccontano per quello che era, una rivoluzionaria, un'equilibrista della parola e del tempo che tutt'oggi si destreggia su una corda immaginaria tra passato, presente e futuro.
Nessuno prima di loro ha creato uno spazio simile per raccontare e condividere Woolf, e in tanti (come me) oggi e anno dopo anno si sono incontrati e uniti in nome di un amore comune.
Il formato è quello del dialogo: studiosi di altissimo livello - woolfiani e non solo - si avvicendano sul palco del Faro in una stanza per proporre nuove sfumature del lavoro e del pensiero dell'autrice. L'effetto è quella di una conversazione che dura due giorni su Woolf e sul suo mondo.
Lo sguardo quest'anno si è ulteriormente allargato ad abbracciare alcuni dei suoi contemporanei, a lei legati per rapporti di analogia o per echi letterari. Viene fuori così un ritratto dinamico che ogni anno illumina gli aspetti più noti o inediti della scrittrice.
Dopo l'inaugurazione del festival con una Rapsodia woolfiana condotta da Caroline Patey alla libreria Virginia e Co venerdì sera, la giornata del sabato - la più ricca - ha visto lo sviluppo di questi principali temi:
VIRGINIA WOOLF E LA LETTURA
(una conversazione tra Sara Sullam e Antonio Bibbò)
(una conversazione tra Sara Sullam e Antonio Bibbò)
Che lettrice era Virginia Woolf? Sicuramente onnivora, curiosa e instancabile.
Per lei la scrittura è stata di fatto lo sviluppo di una consistente pratica di lettura articolata in percorsi. Come la sua mente, era una pratica dinamica, di continuo movimento e scoperta. Prima di arrivare alla scrittura del suo primo romanzo (The Voyage Out, 1915) per lungo tempo Virginia ha scritto delle sue letture, regalandoci un'enorme mole di recensioni. Per undici anni, prima di trovare la sua voce da romanziera, si è mossa tra i classici, le biografie, la letteratura di consumo. Non c'era genere che non toccasse. Questo ha fatto sì che la riflessione sulla lettura divenisse una costante della sua storia di scrittrice e trovasse poi compimento nel saggio del 1925 The common reader.
Nel suo intervento How Should One Read a Book? condensò i suoi pensieri sulla lettura come pratica di approccio al mondo e alla vita. E le sue parole sono illuminanti perché, come ricorda Sara Sullam, allora come oggi si parla molto di più di come scrivere che di come leggere. Virginia Woolf ci ha consegnato un'idea della lettura attiva, un vero e proprio esercizio di facoltà creative. La lettura non è assimilazione o gratificazione estetica, richiede immaginazione, intuito molto più che erudizione. Camminando tra i libri (che, lei ci teneva a ribadire, non sono mai troppi), educhiamo il nostro gusto.
Non solo: Woolf ha precorso molte delle correnti critiche del Novecento che poi si sono focalizzate sulla ricezione letteraria (lo strutturalismo, la Scuola di Costanza...) raffigurando il lettore come soggetto partecipe nella nascita di un atto creativo. Non a caso alla prima parte, quella dell'incontro con il testo, segue una seconda, quella dell'impressione, della percezione e del giudizio. Un'attività libera e indipendente, senza regole fisse, eppure controllata e soprattutto consapevole. Sapere cosa si legge significa realmente saper leggere.
VIRGINIA WOOLF E I GENERI DELLA SCRITTURA PRIVATA
(una conversazione tra Liliana Rampello ed Elisa Bolchi)
(una conversazione tra Liliana Rampello ed Elisa Bolchi)
Sempre partendo da Virginia Woolf lettrice approdiamo ai cosiddetti "generi letterari minori", diari, biografie, autobiografie, che la scrittrice lesse in quantità.
Scardinando la divisione formalistica tra generi alti e bassi, diede dignità a queste forme di scrittura privata, a queste scritture dell'io.
L'io è infatti una delle materie che Virginia ha più maneggiato nella sua opera raccontando un'idea di soggettività intermittente, aperta e multiforme (che le derivava non tanto da Freud ma da Montaigne), conducendo una vera e propria battaglia contro l'io identitario.
Nel suo tentativo di indagare la vita, non poteva non scavare dentro le forme di scrittura che la vita la raccontano e la trasformano. Rampello e Bolchi hanno discusso soprattutto il tema delle autobiografie negate delle donne che nell'età di Virginia erano chiuse al mondo e che pudore e castità limitavano nello sviluppo di una loro identità, fosse essa sessuale, sociale, professionale.
Concentrandosi su modelli di biografie che non raccontavano le grandi vite dei condottieri ma le esistenze ordinarie delle donne comuni, Virginia Woolf è stata un faro per le donne che dopo di lei hanno cercato di liberare le proprie stanze dagli ingombranti fantasmi che le abitavano.
Nelle sue esistenze ai margini c'è la dignità delle opere di Jane Austen, la ricerca di una verità che alberga nei giorni qualunque. Con i suoi personaggi ci ha raccontato che la vita narrata ha quasi più senso della vita stessa. È un processo che seguirà lungo tutta la sua produzione e che toccherà gli esiti più alti e rivoluzionari con Orlando e Flush: a biography, la storia di un cane.
VIRGINIA WOOLF E MARCEL PROUST: L'ECO
(una conversazione tra Elisa Bolchi e Davide Vago)
Due fari nella letteratura del '900, Virginia Woolf e Marcel Proust hanno incarnato un rapporto letteratura-vita totale. Ognuno a suo modo ha soggettivizzato e interiorizzato la realtà per poi restituirla in forma scritta. Gli oggetti, le persone, i fenomeni della vita ci sono arrivati diversi grazie alla loro voce, illuminati da una luce nuova. Ma qual è stato realmente il rapporto tra i due? Quali echi li legano?
Bolchi e Vago, rispettivamente studiosi di Woolf e Proust, ne hanno illuminati alcuni dei principali, partendo proprio dalle lettere e dai diari di Virginia nei quali si menziona lo scrittore francese, allora di gran moda in Inghilterra, facendo riferimento ai libri della sua Recherche.
(una conversazione tra Elisa Bolchi e Davide Vago)
Due fari nella letteratura del '900, Virginia Woolf e Marcel Proust hanno incarnato un rapporto letteratura-vita totale. Ognuno a suo modo ha soggettivizzato e interiorizzato la realtà per poi restituirla in forma scritta. Gli oggetti, le persone, i fenomeni della vita ci sono arrivati diversi grazie alla loro voce, illuminati da una luce nuova. Ma qual è stato realmente il rapporto tra i due? Quali echi li legano?
Bolchi e Vago, rispettivamente studiosi di Woolf e Proust, ne hanno illuminati alcuni dei principali, partendo proprio dalle lettere e dai diari di Virginia nei quali si menziona lo scrittore francese, allora di gran moda in Inghilterra, facendo riferimento ai libri della sua Recherche.
La critica ha a lungo sostenuto che ci sia stata una derivazione diretta, che Woolf sia totalmente debitrice a Proust di un certo modo di interpretare e raccontare il reale, ma una lettura attenta dei suoi scritti autobiografici ci restituisce altro, un'eco profonda, un piacere sensuale che la lettura proustiana le provocava. Un'ammirazione sconfinata che quasi la intimoriva e che quindi lei ha cercato per anni di allontanare, di tenere a freno. Woolf sapeva che la scrittura di Proust sarebbe stata immensamente pervasiva se solo lei le avesse permesso di insinuarsi in lei.
E così l'ha letto nel tempo - sappiamo con certezza di almeno due dei sette libri dell'opera - ma poi ha preferito trovare una sua voce, un'espressione realmente singolare. I due autori hanno senz'altro in comune elementi come la sensibilità (intesa come dominio dei sensi nell'esperienza del reale), il dominio dell'impressione come verità dell'io, alcuni momenti di memoria involontaria che ritroviamo sia nella Recherche che nei capolavori woolfiani, la scrittura come ritmo, il rapporto totale e controverso con la figura della madre.
Ma non è una derivazione quella che li lega, è appunto l'eco di un certo sentire.
Ognuno dei due ha condotto in autonomia una propria rivoluzione: in Proust è l'io che dilaga che imprigiona l'opera in un abbraccio; in Woolf è il moment of being, quel momento esatto che tiene assieme i sensi, che scavalla il tempo e lo spazio diventando pura intuizione.
La concretizzazione del suo tentativo di catturare l'essenza della vita.
E così l'ha letto nel tempo - sappiamo con certezza di almeno due dei sette libri dell'opera - ma poi ha preferito trovare una sua voce, un'espressione realmente singolare. I due autori hanno senz'altro in comune elementi come la sensibilità (intesa come dominio dei sensi nell'esperienza del reale), il dominio dell'impressione come verità dell'io, alcuni momenti di memoria involontaria che ritroviamo sia nella Recherche che nei capolavori woolfiani, la scrittura come ritmo, il rapporto totale e controverso con la figura della madre.
Ma non è una derivazione quella che li lega, è appunto l'eco di un certo sentire.
Ognuno dei due ha condotto in autonomia una propria rivoluzione: in Proust è l'io che dilaga che imprigiona l'opera in un abbraccio; in Woolf è il moment of being, quel momento esatto che tiene assieme i sensi, che scavalla il tempo e lo spazio diventando pura intuizione.
La concretizzazione del suo tentativo di catturare l'essenza della vita.
VIRGINIA WOOLF E KATHERINE MANSFIELD: "A LIE IN THE SOUL"
(una conversazione tra Franca Cavagnoli e Sara Sullam)
Dopo Proust, un altro grande nome letterario ha dialogato con Virginia: quello di Katherine Mansfield. Il loro rapporto durò circa sei anni, gli ultimi della vita di Mansfield che morì nel 1923. Nacque un'estate in cui lei conobbe Virginia e tutta la cerchia di Bloomsbury, proseguì poi con la lettura reciproca delle proprie opere. Non fu mai un rapporto semplice, a volte non fu neanche cordiale, ma fu sicuramente fertile. Entrambe scrivevano libri e scrivevano di libri.
(una conversazione tra Franca Cavagnoli e Sara Sullam)
Dopo Proust, un altro grande nome letterario ha dialogato con Virginia: quello di Katherine Mansfield. Il loro rapporto durò circa sei anni, gli ultimi della vita di Mansfield che morì nel 1923. Nacque un'estate in cui lei conobbe Virginia e tutta la cerchia di Bloomsbury, proseguì poi con la lettura reciproca delle proprie opere. Non fu mai un rapporto semplice, a volte non fu neanche cordiale, ma fu sicuramente fertile. Entrambe scrivevano libri e scrivevano di libri.
Specie negli anni più difficili della vita di Mansfield lei si faceva mandare dal marito libri che poi recensiva. Era un'attività che la teneva impegnata allontanando il pensiero della sua malattia.Nel 1917 Mansfield lesse ed elogiò il racconto Kew Gardens di Woolf, ma nel 1919 a proposito di Night and Day invece scrisse: "a lie in the soul". Una vera menzogna, una menzogna nell'anima. Perché?
Facciamo un passo indietro: stiamo parlando del secondo romanzo di Woolf, uno dei suoi più austeniani. Il libro racconta la vita di due amiche, Katherine Hilbery e Mary Datchet, della loro quotidianità, dei rapporti sociali, della ricerca di un marito.
È appena finita la prima guerra mondiale e del conflitto non sembra esserci traccia nel romanzo.
Questo è ciò che Mansfield non perdonò a Woolf: il fatto che non vedesse nel suo testo nessuna influenza di un evento che avrebbe dovuto cambiare non solo la storia, ma anche la vita e il cuore delle persone, e che lei aveva particolarmente sofferto anche per via della perdita del fratello in guerra. Mansfield non avrebbe mai saputo che poi la guerra sarebbe entrata prepotentemente nell'opera dell'amica (da Jacob's Room a Three Guineas), ma quello scambio, quella menzogna di cui lei scrisse è testimonianza di un rapporto conflittuale nel senso più ricco e positivo del termine.
Facciamo un passo indietro: stiamo parlando del secondo romanzo di Woolf, uno dei suoi più austeniani. Il libro racconta la vita di due amiche, Katherine Hilbery e Mary Datchet, della loro quotidianità, dei rapporti sociali, della ricerca di un marito.
È appena finita la prima guerra mondiale e del conflitto non sembra esserci traccia nel romanzo.
Questo è ciò che Mansfield non perdonò a Woolf: il fatto che non vedesse nel suo testo nessuna influenza di un evento che avrebbe dovuto cambiare non solo la storia, ma anche la vita e il cuore delle persone, e che lei aveva particolarmente sofferto anche per via della perdita del fratello in guerra. Mansfield non avrebbe mai saputo che poi la guerra sarebbe entrata prepotentemente nell'opera dell'amica (da Jacob's Room a Three Guineas), ma quello scambio, quella menzogna di cui lei scrisse è testimonianza di un rapporto conflittuale nel senso più ricco e positivo del termine.
La giornata al festival si è chiusa con la presentazione del volume Scrivi sempre a mezzanotte. Lettere di amore e desiderio tra Virginia Woolf e Vita Sackville-West a cura di Elena Munafò, che noi abbiamo recensito qui.
Un'occasione per addentrarci nella parte più intima della scrittrice, nei sentimenti profondi e contrastanti che l'hanno legata all'amica e amante Vita.
Un carteggio inedito appassionato e commovente, durato quasi vent’anni, tra due donne fiere che inventano se stesse e l’altra attraverso la scrittura.
Finisce la mia giornata al festival e torno a Milano con la mente e gli occhi - sì anche gli occhi perché lei scriveva per immagini - pieni di Virginia Woolf.
Un carteggio inedito appassionato e commovente, durato quasi vent’anni, tra due donne fiere che inventano se stesse e l’altra attraverso la scrittura.
Finisce la mia giornata al festival e torno a Milano con la mente e gli occhi - sì anche gli occhi perché lei scriveva per immagini - pieni di Virginia Woolf.
Con la speranza che possa diventare un faro ancora più luminoso per chi già la ama e la cerca nell'esperienza di tutti i giorni, ma soprattutto per chi non la conosce.
Questo è l'augurio che faccio al comitato organizzatore del festival: che il quinto Faro in una stanza possa avvicinare sempre più gente a quella "principessa incantata" o "ragazzina cattiva del tè", come scrisse Cristopher Isherwood. Una creatura rara dalle magnifiche visioni.
Claudia Consoli
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