di Valeria Luiselli
La Nuova Frontiera, 2019
Traduzione di Tommaso Pincio
pp. 448
€ 20,00 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)
Il deserto si apre attorno a loro, vasto e invariabile, mentre il treno avanza verso ovest, parallelo al lungo muro di ferro. Il sole sta sorgendo lontano a est, alle spalle una catena montuosa, una massa imponente blu e viola dai contorni frastagliati che fanno pensare ai colpi incerti di pennello. Sono silenziosi, i sei bambini, più silenziosi del solito. Rinchiusi nei loro terrori [...] Il deserto è un'enorme clessidra immobile: la sabbia scorre in un tempo arrestato. (p.353)
Archivio dei bambini perduti di Valeria Luiselli può essere considerato uno dei romanzi del 2019. Non solo perché l'ha detto il New York Times, che l'ha inserito nella sua attesa lista dei libri di fiction e non fiction scelti dalla redazione come i più significativi, ma perché è stato discusso, acclamato e citato su giornali e riviste di settore sia all'estero che in Italia come una prova letteraria originale e innovativa.
Luiselli è una scrittrice messicana cresciuta in Sud Africa che oggi vive a New York dove collabora da anni con testate come New York Times e The New Yorker, e riviste letterarie come Granta, Freeman's e McSweeney’s.
Le sue opere, tradotte in oltre venti lingue, hanno vinto importanti riconoscimenti internazionali come il Los Angeles Times Book Prize e l’American Book Award.
Dopo i romanzi Volti nella folla e La storia dei miei denti, in Italia tradotti da La Nuova Frontiera, con Archivio dei bambini perduti l'autrice compie una nuova rivoluzionaria sperimentazione sulla materia del romanzo americano contemporaneo, portando avanti una riflessione avviata anche con l'esperimento di Sidewalks, una raccolta nata dall'idea di riunire i suoni della città contemporanea, proprio come se li registrasse da un qualunque marciapiede, per capire come cambia il paesaggio umano, come si intrecciano le voci, le lingue, le identità.
Il suo ultimo romanzo, come dichiara il titolo, indaga la storia dei "bambini perduti", i protagonisti del terribile fenomeno della Border Crisis, l'emergenza migratoria che ogni giorno conduce centinaia di bambini ad attraversare i paesi e i deserti del Centramerica per raggiungere il confine con gli Stati Uniti. Un'odissea che non comprende solo viaggi disumani, ma la separazione dalle famiglie d'origine, la detenzione nei centri governativi, le ispezioni della polizia di frontiera corrotta, il traffico di esseri umani.
La crisi è scoppiata concretamente nel 2014, anno in cui Luiselli ha iniziato a concepire il suo romanzo e che ha segnato un primo picco di bambini non accompagnati che hanno cercato di varcare la frontiera. 68.000 le famiglie coinvolte quell'anno, 84.000 quelle a maggio 2019. Solo a maggio 2019.
Archivio dei bambini perduti è il viaggio on the road di una famiglia - due giovani genitori che vivono una crisi del loro rapporto, e i due bambini avuti rispettivamente da precedenti relazioni - lungo le strade americane.
Lasciano New York diretti nell'angolo sudorientale dell'Arizona: il padre cerca le tracce degli ultimi apache, la madre vuole vedere con i suoi occhi e documentare l'emergenza dei bambini perduti. Le due storie si intrecciano; attraversando deserti, città di frontiera, piane desolate e canyon rocciosi, la famiglia rivive da un lato le battaglie degli ultimi guerrieri tra gli indiani d'America, riscoprendo il senso della loro resistenza e omaggiandone le tombe, mentre dall'altro percorre in parallelo il tragitto dei tanti bambini che cercano di arrivare negli Stati Uniti.
Dopo i romanzi Volti nella folla e La storia dei miei denti, in Italia tradotti da La Nuova Frontiera, con Archivio dei bambini perduti l'autrice compie una nuova rivoluzionaria sperimentazione sulla materia del romanzo americano contemporaneo, portando avanti una riflessione avviata anche con l'esperimento di Sidewalks, una raccolta nata dall'idea di riunire i suoni della città contemporanea, proprio come se li registrasse da un qualunque marciapiede, per capire come cambia il paesaggio umano, come si intrecciano le voci, le lingue, le identità.
Il suo ultimo romanzo, come dichiara il titolo, indaga la storia dei "bambini perduti", i protagonisti del terribile fenomeno della Border Crisis, l'emergenza migratoria che ogni giorno conduce centinaia di bambini ad attraversare i paesi e i deserti del Centramerica per raggiungere il confine con gli Stati Uniti. Un'odissea che non comprende solo viaggi disumani, ma la separazione dalle famiglie d'origine, la detenzione nei centri governativi, le ispezioni della polizia di frontiera corrotta, il traffico di esseri umani.
La crisi è scoppiata concretamente nel 2014, anno in cui Luiselli ha iniziato a concepire il suo romanzo e che ha segnato un primo picco di bambini non accompagnati che hanno cercato di varcare la frontiera. 68.000 le famiglie coinvolte quell'anno, 84.000 quelle a maggio 2019. Solo a maggio 2019.
Archivio dei bambini perduti è il viaggio on the road di una famiglia - due giovani genitori che vivono una crisi del loro rapporto, e i due bambini avuti rispettivamente da precedenti relazioni - lungo le strade americane.
Lasciano New York diretti nell'angolo sudorientale dell'Arizona: il padre cerca le tracce degli ultimi apache, la madre vuole vedere con i suoi occhi e documentare l'emergenza dei bambini perduti. Le due storie si intrecciano; attraversando deserti, città di frontiera, piane desolate e canyon rocciosi, la famiglia rivive da un lato le battaglie degli ultimi guerrieri tra gli indiani d'America, riscoprendo il senso della loro resistenza e omaggiandone le tombe, mentre dall'altro percorre in parallelo il tragitto dei tanti bambini che cercano di arrivare negli Stati Uniti.
Una grande mappa, aperta sulle ginocchia per tutto il viaggio da New York, li guida. Il libro stesso è una riflessione sul concetto di "mappa". Tra gli appunti sparsi - che si alternano alla parte narrativa vera e propria - si legge:
Qui una mappa c'è, ma è nuova, libera, emozionale e dominata dai sensi.
La famiglia si muove infatti portando nel portabagagli delle scatole piene di oggetti, materiali e non: libri, testi vari, giocattoli e cianfrusaglie, ma anche suoni e frammenti sparsi di pensieri.
Ma soprattutto viaggia campionando i suoni raccolti nell'abitacolo della macchina, agli angoli delle strade, a bordo delle piscine dei motel, tra la natura selvaggia. Un compito che padre e madre avevano già avviato a New York dove si erano occupati, da ricercatori, di un progetto sonoro che registrava le lingue parlate in città per rilevare l'anima della metropoli linguisticamente più disomogenea del pianeta.
Soundscapes, dunque: l'America di Luiselli è quella che si costruisce ascoltando la terra, le periferie, i confini, i pianti dei bambini, i gridi apache in lontananza.
Sono echi, fantasmi, immagini dolorose, inserite in un archivio che è questo romanzo.
Il libro è polifonico nel senso che intervalla la voce della madre - personaggio e narratrice in cui si sente potentemente la personalità di Valeria Luiselli - e degli altri componenti della famiglia.
Ma soprattutto è polifonico perché si apre a comprendere le voci di tutti quelli, i bambini per primi, che sono stati privati di voce.
Rivoluzionaria è la parola dei due figli, il loro tono di racconto, il modo con cui nel loro viaggio si confrontano, come in un controcanto, con i bambini costretti a partire da soli. A differenza dei rifugiati, i due bambini del romanzo viaggiano accompagnati, quando hanno paura possono rifugiarsi in un abbraccio, quando hanno fame possono fermarsi in un'area di servizio, quando sono stanchi possono adagiarsi a riposare.
Archivio dei bambini perduti contiene anche una sofferta riflessione sulla genitorialità:
Una mappa è una sagoma, un contorno che raggruppa elementi disparati di qualunque natura. Mappare vuol dire includere quanto escludere. Mappare è inoltre un modo di rendere visibile ciò che solitamente non viene visto. (Appunto sparso, scatola V)Luiselli costruisce quindi un romanzo-mappa alternativo alle carte ufficiali, quelle nate con la colonizzazione, la conquista e l'imposizione arbitraria dei confini.
Qui una mappa c'è, ma è nuova, libera, emozionale e dominata dai sensi.
La famiglia si muove infatti portando nel portabagagli delle scatole piene di oggetti, materiali e non: libri, testi vari, giocattoli e cianfrusaglie, ma anche suoni e frammenti sparsi di pensieri.
Ma soprattutto viaggia campionando i suoni raccolti nell'abitacolo della macchina, agli angoli delle strade, a bordo delle piscine dei motel, tra la natura selvaggia. Un compito che padre e madre avevano già avviato a New York dove si erano occupati, da ricercatori, di un progetto sonoro che registrava le lingue parlate in città per rilevare l'anima della metropoli linguisticamente più disomogenea del pianeta.
Soundscapes, dunque: l'America di Luiselli è quella che si costruisce ascoltando la terra, le periferie, i confini, i pianti dei bambini, i gridi apache in lontananza.
Sono echi, fantasmi, immagini dolorose, inserite in un archivio che è questo romanzo.
Il libro è polifonico nel senso che intervalla la voce della madre - personaggio e narratrice in cui si sente potentemente la personalità di Valeria Luiselli - e degli altri componenti della famiglia.
Ma soprattutto è polifonico perché si apre a comprendere le voci di tutti quelli, i bambini per primi, che sono stati privati di voce.
Rivoluzionaria è la parola dei due figli, il loro tono di racconto, il modo con cui nel loro viaggio si confrontano, come in un controcanto, con i bambini costretti a partire da soli. A differenza dei rifugiati, i due bambini del romanzo viaggiano accompagnati, quando hanno paura possono rifugiarsi in un abbraccio, quando hanno fame possono fermarsi in un'area di servizio, quando sono stanchi possono adagiarsi a riposare.
Archivio dei bambini perduti contiene anche una sofferta riflessione sulla genitorialità:
Ciò che i genitori possono davvero trasmettere ai figli sono piccole cose: così ci si taglia le unghie, questo è calore di un vero abbraccio, così ci si sbroglia i capelli, questo è quanto ti voglio bene. E ciò che i figli trasmettono in cambio ai loro genitori è qualcosa di meno tangibile ma al tempo stesso più grande e durevole, una sorta di stimolo ad abbracciare la vita con pienezza e comprenderla, per conto loro, così da poter provare a spiegarla, a tramandarla "con accettazione e senza rancore", come scrisse una volta James Baldwin, non senza una certa dose di rabbia e ferocia. (pp.220-221)
La critica ha esaltato la rivoluzione compositiva di questo libro, un archivio fatto di scatole e di frammenti di realtà - come i veri archivi sanno essere - che restituisce in pieno la varietà del reale attraverso l'accumulazione di registri (elegia, ironia, poesia, resoconto di viaggio...) e di linguaggi.
Oltre a quella sulle mappe, emerge una riflessione sulle lingue propria dell'intera produzione di Luiselli, scrittrice che problematizza l'adozione della lingua americana come lingua dominante (un tema di cui aveva parlato anche al Festivaletteratura di Mantova e che abbiamo raccontato qui).
C'è un appunto sparso sul linguaggio che recita:
Oltre a quella sulle mappe, emerge una riflessione sulle lingue propria dell'intera produzione di Luiselli, scrittrice che problematizza l'adozione della lingua americana come lingua dominante (un tema di cui aveva parlato anche al Festivaletteratura di Mantova e che abbiamo raccontato qui).
C'è un appunto sparso sul linguaggio che recita:
Gli eufemismi nascondono, cancellano, coprono. Gli eufemismi ci inducono a tollerare l'inaccettabile. E, infine, a dimenticare. Contro un eufemismo, la memoria. Al fine di non ripetere. Ricordare termini e significati. La loro assurda sconnessione. Termine: La nostra istituzione peculiare. Significato: schiavismo. (Epitome di tutti gli eufemismi.)Termine: Trasferimento. Significato: esproprio ed espulsione di persone dalla loro terra. (Appunto sparso, scatola V)Il libro invita ad abbandonare il linguaggio dominante e le espressioni di conquista per nominare e mappare il mondo in modo nuovo. È un lavoro di ri-traduzione della realtà.
Non mentirò: Archivio dei bambini perduti non è un libro semplice.
In certi punti il narrato è scorrevole e avvolgente, in altri è un procedere segmentato e faticoso.
Ci sono momenti in cui l'autrice si dilunga deviando dalla strada principale dell'intreccio e aprendo così tante strade secondarie che sembrano portare sempre più lontani dalla meta (così la mescolanza dei sotto intrecci). Ho idea che con le ripetizioni volesse quasi rendere il rumore incessante di un treno che avanza, con le deviazioni la frustrazione di perdere l'orientamento in un paesaggio sempre uguale.
Ci sono tanti sottotesti (anche visivi e audiovisivi) che si intrecciano perché l'archivio, oltre che spaziale e temporale, è letterario. Luiselli ci mostra in filigrana i testi di cui si è nutrita, ricostruisce la struttura a strati delle letture e delle tradizioni confluite in questa narrazione. Non a caso, chiude il libro una nota sulle fonti fondamentale per capire un romanzo che forse non è solo un romanzo.
È una bibliografia, un saggio, una raccolta di voci, un'antologia.
Se lo si legge solo come un romanzo Archivio dei bambini perduti probabilmente vi stancherà.
Questo l'ho capito a metà del libro, quando ho iniziato a godermi le parti puramente narrative e a indagare invece con occhio diverso quelle bibliografiche e documentariste.
Ci sono pagine superbe, come quella che racconta l'attesa dei bambini rifugiati ai margini degli scali ferroviari con la descrizione dell'umanità varia che lì staziona, circondando i bambini perduti di suoni e di paura: "venditori di cibo, che in cambio di soli cinque centesimi ti davano una bottiglia d'acqua riciclata e una forma di pane imburrato, "commercianti di abiti, scrittori di lettere, spidocchiatori e pulitori di orecchie, ma anche preti con lunghe vesti nere che leggevano parole della Bibbia, chiromanti, intrattenitori e penitenti."
È un libro non semplice non solo alla luce della sua struttura compositiva, ma più di tutto perché è come se chiedesse di cambiare il nostro modo di vedere il mondo.
E si sa, gli uomini in genere non amano cambiare mappe su cui hanno costruito la loro intera esistenza.
In certi punti il narrato è scorrevole e avvolgente, in altri è un procedere segmentato e faticoso.
Ci sono momenti in cui l'autrice si dilunga deviando dalla strada principale dell'intreccio e aprendo così tante strade secondarie che sembrano portare sempre più lontani dalla meta (così la mescolanza dei sotto intrecci). Ho idea che con le ripetizioni volesse quasi rendere il rumore incessante di un treno che avanza, con le deviazioni la frustrazione di perdere l'orientamento in un paesaggio sempre uguale.
Ci sono tanti sottotesti (anche visivi e audiovisivi) che si intrecciano perché l'archivio, oltre che spaziale e temporale, è letterario. Luiselli ci mostra in filigrana i testi di cui si è nutrita, ricostruisce la struttura a strati delle letture e delle tradizioni confluite in questa narrazione. Non a caso, chiude il libro una nota sulle fonti fondamentale per capire un romanzo che forse non è solo un romanzo.
È una bibliografia, un saggio, una raccolta di voci, un'antologia.
Se lo si legge solo come un romanzo Archivio dei bambini perduti probabilmente vi stancherà.
Questo l'ho capito a metà del libro, quando ho iniziato a godermi le parti puramente narrative e a indagare invece con occhio diverso quelle bibliografiche e documentariste.
Ci sono pagine superbe, come quella che racconta l'attesa dei bambini rifugiati ai margini degli scali ferroviari con la descrizione dell'umanità varia che lì staziona, circondando i bambini perduti di suoni e di paura: "venditori di cibo, che in cambio di soli cinque centesimi ti davano una bottiglia d'acqua riciclata e una forma di pane imburrato, "commercianti di abiti, scrittori di lettere, spidocchiatori e pulitori di orecchie, ma anche preti con lunghe vesti nere che leggevano parole della Bibbia, chiromanti, intrattenitori e penitenti."
È un libro non semplice non solo alla luce della sua struttura compositiva, ma più di tutto perché è come se chiedesse di cambiare il nostro modo di vedere il mondo.
E si sa, gli uomini in genere non amano cambiare mappe su cui hanno costruito la loro intera esistenza.
Claudia Consoli