(Ha-shaqranìt ve-haʻir, 2018)
di Ayelet Gundar-Goshen
Traduzione di Raffaella Scardi
Casa Editrice Giuntina, 2019
pp. 260
€ 14,45 (cartaceo)
€ 9,99 (e-book)
Le bugie, secondo il detto popolare, hanno le gambe corte.
Vero, ma non solo. Una bugia diffusa incautamente, soprattutto se coinvolge
persone ignare o addirittura innocenti, porta con sé una serie di conseguenze
potenzialmente simili a un inarrestabile effetto domino. Diventa quindi indispensabile
sostenere a tutti i costi la bugia raccontata, affidandosi alle capacità
mnemoniche per non tradirsi con quelle piccole o grandi differenze nella
versione fornita, che inevitabilmente provocherebbero lo sgretolamento di tutta
la struttura edificata su un falso presupposto.
Questa è la condizione in cui viene a trovarsi la giovane
Nufar, protagonista di Bugiarda, l’ultimo romanzo di Ayelet Gundar-Goshen,
scrittrice israeliana già comparsa sulle pagine di Critica Letteraria per il
precedente Una notte soltanto, Markovitch.
Nufar, adolescente insicura e timida, viene aggredita
verbalmente da un adulto nella gelateria dove lavora; sopraffatta dalla
vergogna e dallo spavento, la ragazza scappa nel cortile retrostante dove viene
raggiunta dall’uomo che la insegue per avere il resto di quanto pagato;
sentendosi afferrare per il braccio, Nufar inizia a gridare e a chiedere aiuto.
Alle tante persone che accorrono e che le domandano se l’uomo abbia tentato di
aggredirla fisicamente, Nufar risponde che sì, il pervertito ha tentato di
violentarla. Questa affermazione, causata dalla rabbia per il comportamento
sgradevole dell’aggressore e dalla pressione psicologica esercitata su Nufar
dalle persone intervenute, dà inizio a una vicenda che vede la ragazza invischiarsi
sempre di più in quella che diventa la verità ufficiale, una trappola da cui
sembra impossibile fuggire.
Una trappola che, per la verità, offre vantaggi
ragguardevoli: Nufar diventa un’icona, il simbolo delle donne che si ribellano
alla violenza maschile, che sanno far valere i propri diritti, che non hanno
paura di denunciare gli abusi. La ragazza viene invitata a numerosi talk show
televisivi e compare sulle prime pagine di rotocalchi e quotidiani.
Con il trascorrere delle settimane, tuttavia, la situazione
diventa insostenibile, anche perché l’uomo accusato dell’aggressione, detenuto
in attesa del processo, rischia una condanna severa. Nufar dovrà quindi
prendere una decisione in merito, sapendo che dovrà raccontare la verità ai
genitori e, soprattutto, affrontare gli strali di un’opinione pubblica
pericolosamente instabile.
Romanzo interessante e curioso, Bugiarda travalica la mera
vicenda per offrire, su un piano di lettura più elevato, l’occasione di
riflettere su cosa sia verità e cosa sia menzogna, ampliando il discorso a un
livello macrosociale. I due concetti, infatti, sono sempre filtrati dalla
soggettività e dalle circostanze, e in definitiva non è possibile trovare
verità assolute in alcun ambito umano. Tutti i personaggi che ruotano intorno
alla storia hanno una verità “adattata” come asse portante delle proprie
esistenze, e di conseguenza la gravità della bugia (infamante e pericolosa)
raccontata e sostenuta dalla protagonista viene in qualche modo diluita in una
sorta di “così fan tutti”.
Personaggi credibili, umani, di notevole spessore e
profondità, un registro narrativo sempre sul filo del surreale o addirittura
del fiabesco: sono questi i tratti caratteristici dello stile di Ayelet
Gundar-Goshen; in particolare il tono apparentemente leggero permette
all’autrice di affrontare temi difficili, anche in questo lavoro come nel
precedente. In particolare, fino a che punto possiamo modellare la verità
oggettiva di un fatto occorso quando questo riguarda anche altre persone? E
quanto è lecito permettere che le altre persone paghino per colpe più grandi di
quelle che effettivamente hanno? E quanto è dannoso un pubblico istintivo e
superficiale, pronto a portare in trionfo e immediatamente dopo a condannare,
in entrambi i casi senza cognizione di causa?
In definitiva, il dubbio che Gundar-Goshen instilla nel
lettore è proprio relativo alla condizione effimera e ambigua della verità,
costantemente filtrata attraverso la menzogna tanto radicata nell’animo umano
da rappresentare essa stessa una possibile diversa prospettiva del reale.
L’unica nota non proprio positiva (ma solo se vogliamo
essere esageratamente pignoli) riguarda il ritmo un po’ discontinuo nella
narrazione: dopo un inizio dinamico e abbastanza coinvolgente, la storia sembra
rallentare e arenarsi un po’, non ci sono sviluppi particolari e tutto rimane
sospeso in attesa di sapere quale sarà la decisione presa dalla protagonista,
terrorizzata dal prevedibile disastro conseguente allo svelamento della realtà
dei fatti (quella oggettiva). Peraltro si può obiettare che questo improvviso
rallentamento segue, in qualche modo, il processo cognitivo seguito dalla
protagonista, teso a trovare una soluzione che le permetta di limitare i danni
e uscire non troppo acciaccata dalla situazione che lei stessa ha creato.
Stefano Crivelli