Ai sopravvissuti spareremo ancora
di Claudio Lagomarsini
Fazi Editore, 23 gennaio 2020
pp. 206
€ 10,00 (cartaceo - prezzo promozionale fino al 29 febbraio)
€ 4,99 € (ebook)
A meno che non siate quel tipo di lettore che tiene d’occhio le riviste letterarie italiane, il nome di Claudio Lagomarsini non vi dirà nulla. Ammetto di essere io stessa nuova a questa forma di fruizione della letteratura e di aver rimpianto, nell’esatto istante in cui ne ho colto la potenza, di non essermici accostata prima. Qualche tempo fa avevo deciso di parlarvi dell’importanza e della coerenza ideologica che c’è dietro una rivista letteraria (cogliendo l’occasione di recensire il decimo numero di effe) e grazie alla mia piccola analisi della realtà italiana di queste pubblicazioni, di Claudio Lagomarsini avevo già sentito parlare. Più che il suo cognome particolare, avevo immediatamente associato la sua scrittura al racconto che avevo letto sul numero 26 di Colla, intitolato Il vecchio Kenji (se avete voglia potete recuperarlo qui).
Quando ho saputo che Fazi Editore avrebbe pubblicato il suo primo romanzo, ho provato due sentimenti opposti e in lotta tra di loro: da un lato, infatti, non vedevo l’ora di ritrovare quella scrittura puntuale e potente, dall’evocazione forte perché in grado di parlare della vita vera. Dall’altro, però, conscia che la lunghezza ridotta di un racconto costringe gli scrittori a compiere gesti narrativi estremi mostrando le loro doti in tutta la loro essenzialità, ero terrorizzata dal vedere modificato il mio giudizio nei confronti dello scrittore. Passatemi la similitudine culinaria: mi sentivo come quando nel tuo ristorante preferito ordini sempre lo stesso piatto anche se sai che altre pietanze nel menu potrebbero essere altrettanto (se non più) buone. Non vuoi rischiare di sprecare un’occasione di gustare il massimo che quel locale ha da offrirti. Con Ai sopravvissuti spareremo ancora, per fortuna, nessuna occasione è stata sprecata e di Claudio Lagomarsini vorrò leggere tutte le portate.
Agli albori del XX secolo, uno studente del classico vive insieme al Salice, il fratello minore, alla mamma, al compagno di questa, Wayne, e ogni tanto la sua casa si riempie di altre figure: la nonna, Diego e Ramona (i figli di Wayne), il Tordo, amante ottantenne della nonna, e di altre anonime personalità. Nell’estate del suo diciottesimo compleanno un furto viene compiuto a casa del Tordo, che abita di fianco alla sua, e dal giorno in cui dal comodino dell’anziano scompaiono quindicimila euro e una pistola decide di scrivere un libro. Del resto, quest’attività si confà perfettamente alla sua indole solitaria, da topo da biblioteca che lascia sul muro della sua stanza il segno della schiena appoggiata mentre divora un libro dopo l’altro. Tutto l’opposto del Salice, che invece a giugno è già più abbronzato dei bagnini della costa toscana su cui si adagia l’esistenza silenziosa di questo adolescente strano, come al minimo lo definiscono le persone che lo circondano.
Ai sopravvissuti spareremo ancora è proprio le pagine del romanzo scritto da Marcello in prima persona: ne scopriamo il nome quando a parlarci di lui è il Salice che è tornato in Italia per vendere la vecchia casa in cui abitava la madre. Nel luogo in cui ha trascorso la sua adolescenza trova quei quaderni sbrindellati di cui, sì, aveva cognizione, ma che non aveva mai dotato di peso anche quando il fratello provava a chiedergli consiglio su come procedere con la storia. Inizia così un vortice narrativo che alterna le pagine del libro di Marcello, scritto in prima persona, con la versione del fratello più piccolo, oramai un adulto che guarda al passato con il disincanto di chi ha vissuto e ne ha viste davvero tante. Inclusa una la misteriosa scomparsa del fratello maggiore, nascosta nei dettagli, ma accennata in allusioni talmente forti, in molti punti, da spingere a chiedersi cosa mai sarà successo a questo ragazzo dolce e sensibile, che si immagina novello Lisia per appianare le discordie. Di lui, di Marcello, presente nella storia solo attraverso le pagine del suo romanzo, non conosciamo il destino. O meglio: lo scopriremo solo nell’epilogo. E sì, di storie come questa ne vorrete ancora.
Vorrete ancora relazioni familiari raccontate con un gradiente di verità incredibile per uno scrittore agli esordi (ma che poi tanto esordiente non è vista la gavetta sulle riviste e l’attività di ricercatore e articolista). Vorrete ancora pensieri impuri e veri, scioccanti e indicibili al punto da non confessarli nemmeno a voi stessi, ma dato che la letteratura serve a esorcizzare l’oblio dentro cui lasciamo precipitare i nostri tabù, in questo romanzo la catarsi è assicurata. Vorrete ancora racconti così sul significato della solitudine e di quanto questa sia ancora più profonda se a causarla sono gli individui che ci gravitano intorno pretendo di divulgare affetto. Vorrete ancora, infine, una scrittura così limpida e lineare anche quando affastella lemmi per mimare su carta i pensieri.
Per questo non resta che sperare che Claudio Lagomarsini scriva ancora. Al momento tocca ringraziare una casa editrice che sempre più, negli ultimi anni, ha investito sulla scoperta di nuovi talenti tra gli scrittori nostrani. Con Laura Fusconi, prima, e con Desy Icardi e Aldo Simeone, poi. E adesso con l’autore tra i più promettenti della nostra contemporaneità letteraria.
Federica Privitera
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