di Alessandro Baronciani
BAO Publishing, 2020
pp. 128
€ 17,00 (cartaceo)
€ 6,54 (ebook)
Sono passati pochi giorni dal Blue Monday, il giorno che convenzionalmente viene considerato il più deprimente dell’anno, uno dei più brevi, dei più lontani dalle feste, uno di quelli in cui peserebbe di più tornare a lavorare dopo il week-end. Poco importa che, quest’anno, questo specifico lunedì sia stato nella mia città inondato di sole e quindi il titolo si sia rivelato poco calzante... l’ondata di articoli che hanno circondato l’evento è stata un’occasione per tornare a parlare della malinconia che a tratti ci affligge, della difficoltà di affrontarla da soli, della necessità di ricordarsi che, dopo ogni Blue Monday, arriverà presto un normalissimo martedì.
Calza dunque a pennello la scelta di Bao Publishing di far uscire proprio ora Quando tutto diventò blu, il nuovo romanzo a fumetti di Alessandro Baronciani che, dopo Negativa (trovate qui la recensione), torna a parlare di un argomento delicato, scendendo nelle pieghe dell’anima di un personaggio femminile complesso e sfaccettato.
Il graphic novel si apre, e non a caso, con un’immersione, che è al tempo stesso reale e metaforica: la protagonista non è mai arrivata a una simile profondità (nettissimo è l’esordio: “Oggi è la mia prima volta a 30 metri di profondità”); conosce le regole, l’attesa, la decompressione... ma improvvisamente tutto è troppo, il cuore inizia a palpitare, il respiro manca, diventa urgente la necessità di riemergere alla superficie: “Da qualche parte, nell’oscurità profonda, ti sembra di sentire una voce. Una voce nera. Come un’eco”.
Baronciani ci racconta una storia che non deriva la sua forza dalla tortuosità dell’intreccio, ma accompagna una giovane donna attraverso la discesa e la risalita nell’abisso degli attacchi di panico, un fenomeno spesso nascosto, ma molto più diffuso di quanto non si creda.
Non ci sono colori nel volume, perché il panico è pervasivo, invade ogni fibra del tuo essere, domina la tua mente – così come il Pantone Classic Blue utilizzato per tutte le tavole. La descrizione delle sensazioni, delle reazioni, delle scelte della protagonista è essenziale e per questo tanto più incisiva: poche parole, a tratti sconnesse, come i pensieri nel momento della crisi; parole che feriscono, che paralizzano, che a volte impediscono di cercare aiuto e troppo spesso inficiano la regolarità dell’esistenza, destabilizzano ogni routine, prima rassicurante e data per certa. Tutto inizia in un giorno qualunque, su un treno di ritorno da Bologna, e poi non smette più: la paura, la paura continua, che neanche il Lexotan al gusto di fragola riesce a placare. Si cercano le cause fisiologiche (forse un problema cardiaco, forse polmonare), perché sarebbe una soluzione comunque più rassicurante della possibilità di non avere il controllo sul proprio corpo e sulla propria mente. Si accettano gli psicofarmaci, perché sono il rimedio più rapido, quello che interrompe forzosamente il circolo vizioso (il terrore del terrore stesso che la notte ti porta a sbarrare gli occhi nel buio, o che ti impedisce di uscire durante il giorno, per il timore che la paralisi ti possa cogliere in un luogo pubblico).
Baronciani interrompe la narrazione per lasciare spazio alle domande assillanti che, a loro volta, non accettano intrusioni, si dilatano a soffocare ogni altro pensiero e disarmano nella difficoltà a trovare una risposta: “Che cosa è il mal di testa? Da dove viene? Non è una domanda stupida: il mal di pancia viene dallo stomaco ed è qualcosa che ho mangiato che mi ha fatto male... ma il mal di testa? Cos’ha mangiato?”. Il mal di testa certamente divora le relazioni, le riduce in minuscoli frammenti impossibili da rimettere insieme. Il mal di testa fa della vita una eterna attesa di un segnale che non arriva. Ammettere la propria condizione, abbandonarsi alla parola e aprirsi all’altro è il primo passo, il primo di una serie lunga, ma che improvvisamente non appare più infinita, verso la guarigione. E già questa consapevolezza è per la protagonista l’inizio della salvezza. Ecco perché è possibile tornare a immergersi, in un blu che non è più incombente ma luminoso, trasfigurato e pulsante di vita; un blu che ti avvolge, ti sorregge, ti dà l’illusione – finalmente – di volare.
Dalla lettura, dall’osservazione delle tavole, dalle atmosfere spesso cupe e nebbiose, dal senso di deragliamento e vertigine che riesce a fuoriuscire dalla pagina, dalla solitudine che avvolge anche graficamente la protagonista, si trae l’impressione che Baronciani conosca bene l’argomento e lo affronti con piena consapevolezza, con la sensibilità di chi non vuole solo tematizzarlo attraverso la trama, ma anche restituirne il senso più profondo, innescare l’immedesimazione, e così facendo va a toccare tutti i punti nevralgici del problema, senza risparmiarne nessuno. Affrontare Quando tutto diventò blu implica calarsi nelle profondità marine – e in quelle della psiche – insieme alla protagonista, provare a leggere la realtà dietro i simboli di cui il testo è cosparso, confermando a sé stessi il valore sempre crescente dei graphic novel come strumenti di conoscenza e di adesione al reale, anche nei suoi aspetti più dolorosi.
Carolina Pernigo