La città senza cielo
di Jean Malaquais
(titolo originale: Le Gaffeur)
(titolo originale: Le Gaffeur)
Traduzione di Elisabetta Garieri
Cliquot, 2019
prima edizione: 1953
pp. 288
€ 20 (cartaceo)
€ 4,99 (ebook)
Quando si arriva all'esasperazione, sbattere le porte è una conseguenza naturale; è come intimare al mondo di lasciarci in pace, idea che mi è sempre sembrata assurda, perché è proprio quando ci rinchiudiamo a doppia mandata che inizia la guerra (p. 32).
La città senza cielo (Cliquot, 2019) è stato il mio primo approccio con lo scrittore polacco (ma francese di adozione) Jean Malaquais (1908-1998), il cui vero nome era Wladimir Jan Pavel Malacki Malacki, e non appena ho iniziato a sfogliare le pagine della nuova edizione di questo libro, la mia attenzione è stata subito attratta dalla citazione che lo apre e che appartiene a una delle mie storie predilette: quella di Jane Eyre, dell'autrice inglese Charlotte Brontё.
Va da sé che ho iniziato a nutrire fin da subito aspettative altissime verso quest'opera distopica, definita come un "1984 francese".
La vicenda ha pere protagonista Pierre Javelin, un venditore di prodotti cosmetici che vive in una Città senza nome e in un tempo del quale non abbiamo certezza. Un giorno Pierre sigla dei documenti con una firma che non riconosce come sua e si rende conto che, quella che inizialmente aveva considerato come una banale distrazione, è in realtà il segno di un disagio ben più profondo:
La sera in cui ha luogo questo episodio Pierre rientra a casa, ma scopre che con la sua chiave non può aprire la porta. Richiamati dal frastuono, due estranei escono dalla porta: sono il signor Bomba e sua moglie Kouka.
Mentre l'uomo prova a destreggiarsi tra i meandri di una burocrazia disumana finendone spesso inghiottito senza scampo, incomincia una discesa nel tormento e nella sofferenza, e al contempo si ritrova a considerare come da questa assurda Città non sia possibile vedere nemmeno il cielo:
I romanzi di Malaquais, però, riscossero poco successo all'epoca, così egli si dedicò allo studio e alla pubblicazione di opere di filosofia.
Fu solo nel 1935 che conobbe e lavorò per André Gide, il quale ne percepì il talento.
Nel 1953 scrisse La città senza cielo (Le gaffeur), opera che venne pubblicata in Italia solo nel 1958 con il titolo Il venditore di fumo.
Per quasi settant'anni questo libro è rimasto per lo più sconosciuto al grande pubblico, ma nella prefazione di Norman Mailer si leggono i motivi per i quali La città senza cielo riesce giustamente ad appassionare i lettori di oggi:
La vicenda ha pere protagonista Pierre Javelin, un venditore di prodotti cosmetici che vive in una Città senza nome e in un tempo del quale non abbiamo certezza. Un giorno Pierre sigla dei documenti con una firma che non riconosce come sua e si rende conto che, quella che inizialmente aveva considerato come una banale distrazione, è in realtà il segno di un disagio ben più profondo:
Però, mentre lei mi guardava fare, persona senza età, piatta di busto e di anche, mi successe una cosa ancora più incongrua del mio accesso di collera: sbagliai a firmare. Non me ne resi conto immediatamente; fu solo dopo aver passato i documenti alla signorina Limbert, dopo aver colto un accenno di sorriso sulle sue labbra, che mi accorsi della mia sbadataggine. Le mie firme, come le vedevo sfilare al contrario sulle distinte che la signorina Limbert sfogliava a una a una con studiata lentezza, mi apparvero come altrettanti scarabocchi apertamente buffoneschi - astrazioni aeree munite di elica per volare (p. 33).
Una foto di Jean Malaquais |
Erano quasi le sette quando introdussi la chiave nella serratura del mio appartamento, e quella si rifiutò di girare. Scivolava nella toppa e non girava. Non sembrava danneggiata, era la mia chiave di sempre, ed ecco che non funzionava più (...). Ricominciai ad armeggiare con la chiave e a scuotere la maniglia, quando la porta si socchiuse e sulla soglia apparve un uomo, un gigante calvo con i baffi alla russa (p. 44).Da quel momento Pierre si ritrova ad aggirarsi per le vie della sua Città con un senso di estraniamento paragonabile a quello provato dal signor K ne Il processo (1925), romanzo dello scrittore ceco Franz Kafka.
Mentre l'uomo prova a destreggiarsi tra i meandri di una burocrazia disumana finendone spesso inghiottito senza scampo, incomincia una discesa nel tormento e nella sofferenza, e al contempo si ritrova a considerare come da questa assurda Città non sia possibile vedere nemmeno il cielo:
Peraltro nella mia mento ho sempre associato l'idea di avvenire alla visione di un grande lembo di cielo ritagliato, e di cielo non se ne vede più qui da noi, neanche la domenica. A volte - dimenticanza o riflesso - mi capita ancora di sollevare la testa, come se bastasse uno sguardo a riscoprire, al di là di mille piani di cemento, il luogo unico dove tanti viaggiatori hanno cercato la loro strada; ma con la Città che continua a schizzare in alto come una freccia e a bardarsi di parafulmini, il cielo ha preso un'altezza tale che, per scorgerne un angolo, bisogna distendersi schiena a terra sul marciapiede e aspettare l'ispirazione. Sarebbe un bell'idiota, del resto, chi ci trovasse qualcosa da ridire, considerato quanti cinema e quante chiese dispongono di volte celesti assai ben riuscite, e che dal punto di vista della difesa nazionale meno cielo si ha, meno si è esposti agli attacchi aerei (p. 35).Ciò che maggiormente mi ha colpita del libro è stata la vita appassionante del suo autore, dalla quale a sua volta si potrebbe trarre una storia avvincente: Jean Malaquais era un emigrato polacco di origine ebraica che perse la famiglia nei campi nazisti e che si trasferì in Francia. Qui si dedicò ai mestieri più disparati (come quello di minatore in Provenza) e imparò il francese, lingua nella quale avrebbe scritto le sue storie.
I romanzi di Malaquais, però, riscossero poco successo all'epoca, così egli si dedicò allo studio e alla pubblicazione di opere di filosofia.
Fu solo nel 1935 che conobbe e lavorò per André Gide, il quale ne percepì il talento.
Nel 1953 scrisse La città senza cielo (Le gaffeur), opera che venne pubblicata in Italia solo nel 1958 con il titolo Il venditore di fumo.
Per quasi settant'anni questo libro è rimasto per lo più sconosciuto al grande pubblico, ma nella prefazione di Norman Mailer si leggono i motivi per i quali La città senza cielo riesce giustamente ad appassionare i lettori di oggi:
Mi sono accorto, nel rileggerlo, che La città senza cielo è un romanzo più vivo di quanto non fosse all'epoca della sua stesura (...). Perché il romanzo di Malaquais è uscito con vent'anni di anticipo, e descrive un mondo che ci sta apparendo all'orizzonte soltanto adesso: un orrendo mondo di palazzoni altissimi, sessi indistinti, computer e incorporea appariscenza, dove ciascuno è la superstar di sé stesso, dove le molecole d'aria graveolenti di plastica sono costrette a girare perennemente in circolo nelle bocche dei condizionatori, e dappertutto è mestizia irrancidita di materiali torturati, deodoranti e luci fatiscenti (p. 16).Sebbene le righe che abbiamo riportato possano apparire come la descrizione di una delle tante periferie moderne, sono state scritte da un autore che ancora era ben lontano dal conoscere quelle città oggi a noi così familiari caratterizzate da strade tutte uguali, sovrabbondanza di plastica e scarsità di spazi verdi.
La città senza cielo si colloca a metà strada tra un romanzo Orwelliano e Il processo di Franz Kafka.
Quello che però differenzia il romanzo da quelli più noti scritti dai due autori citati, è lo stile quasi visivo che contraddistingue le descrizioni contenute al suo interno, basti pensare alla raffigurazione degli enormi palazzi che ricordano dei parallelepipedi cubisti.
La schematicità urbana fa da contraltare ad una censura governativa dettagliata e pervasiva, una sorta di Grande Fratello, un mostro tentacolare e multiforme che trova il proprio "nutrimento" nella totale assenza di libertà, nella limitazione del pensiero e della cultura (Pierre scrive poesie, forma d'arte malvista), nel conformismo imperante, nell'assuefazione e nella condanna dei sentimenti.
La città senza cielo è un romanzo che parla al cuore di noi tutti, sempre rinchiusi nelle nostre "scatole" (case, uffici, centri commerciali...), e ci invita a preservare il nostro individualismo, la ricerca costante della diversità e dell'emancipazione.
Non è nella rassegnata tolleranza che potremo trovare la chiave della nostra felicità, ma nell'integrazione delle diversità, nella consapevolezza che solo dall'amalgama delle nostre differenze può fiorire la vera ricchezza.
Quello che ha scritto Jean Malaquais è un testo modernissimo, un libro che dovrebbe essere letto tra i banchi di scuola per insegnare che la vera ribellione consiste nel non accettare quello che ci viene silenziosamente imposto dall'alto, nel non piegarsi con cieca rassegnazione, ma nel ragionare, nel confrontarsi, nell'avere uno sguardo curioso e rispettoso verso tutto ciò che è "altro" da noi.
È questa una delle lezioni più importanti e universali non solo della letteratura, ma di tutta l'arte.
Ilaria Pocaforza