La colomba sul pino e la vecchia sotto il fico
di Ferruccio Parazzoli
Aboca, 2019
pp. 224
€ 14,00
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“Può darsi che le mie storie siano soltanto dei sogni che tu mi aiuti a sognare, può darsi anche che qualche volta io confonda una storia con un’altra, ma non dico mai bugie, semmai, come dici tu, invento, ma inventare non è dire bugie: non potrei ora sognare di essere qui legata a te e di sognare tutto questo? Chi sei tu per rispondermi sì o no? Sei soltanto un fico che non dà frutti." (p. 175)
Due sono le favole. La prima, quella di un pino della pineta del Monaco Bianco sotto il quale non è bene dormire. La seconda, quella di un fico senza frutti che si oppone alla speculazione edilizia. O forse sono le storie di un giovane che abbandona il proprio lavoro stagionale per rifugiarsi in uno spazio-tempo lontano dalla modernità e di una vecchia così sola da dover parlare con un albero mentre i bulldozer minacciano di buttarle giù la casa. Nei boschi e vicino agli alberi, il tempo non sembra mai passare, cristallizzato nel "c'era una volta": e se l'uomo vi si rifugia, può ancora sperare di salvarsi.
La colomba sul pino e la vecchia sotto il fico di Ferruccio Parazzoli fa parte della collana Il bosco degli scrittori, romanzi che prendono il via da una pianta e vi inanellano intorno storie. Olmi, faggi e fichi fanno da scenario per viaggi reali, nella memoria, nella tradizione.
L'idea, suggestiva, vincola la narrazione a un aspetto favolistico.
Ne La colomba sul pino, assistiamo alla storia di un ragazzo che, stanco del lavoro stagionale in un hotel e del contatto con le persone, decide di abbandonare e viaggiare per i boschi liguri. Lì, nella pineta del Monaco Bianco, si imbatte in personaggi che sembrano usciti direttamente dal mondo delle fiabe. Il Cacciatore, lo Zio zoppo che vivono in difesa del bosco e intrisi di malinconia. La casetta sperduta, le leggende che la circondano ci fanno quasi scordare che ci troviamo in una vicenda reale e contemporanea. Quando sentiamo parlare del precedente lavoro del Cacciatore, prima assicuratore e poi scrittore di un certo successo, percepiamo la stonatura del brusco ritorno alla realtà. Sentire che la figlioccia del Cacciatore sta preparando il corredo per sposarsi e andare in città e che ha il cellulare per parlare con il fidanzato disorienta.
Più riuscita la commistione di reale e favolistico nella seconda novella dove la vecchia Olga si lega a un grosso fico sterile che sta di fronte alla sua finestra, in un caseggiato di Lambrate, per evitare che lo taglino e distruggano la sua casa. In preda alla solitudine e alla nostalgia, fa del fico il suo confidente, raccontandogli della figlia, morta in fasce e per lei cresciuta fino a cristallizzarsi all'età di otto anni. O della sua origine ebraica e del padre dai quarti nobiliari. In un dialogo con la pianta che, molto umanamente, lamenta delle corde nella corteccia, assistiamo a chiacchiere tra vecchi amici che spettegolano dei vicini, della dirimpettaia troppo lenta a preparare la caffettiera o del dottor Colosino e della cuoca Peruviana, si raccontano i propri dolori e momenti felici, pronti a condividere, in caso, lo stesso destino di essere tagliati e bruciati.
Entrambe le storie sono un invito alla comunione e al ritorno alla natura. Il fico, unito a Olga, sente il formicolio che lo porta a fare frutti per la prima volta e il pino che, protetto dal Cacciatore, si salva dall'abbattimento mostrano che la sopravvivenza di entrambe le specie è possibile se viviamo in armonia. Come dice la vecchia Olga,
Forse neppure io ti salverò, sono solo una vecchia qualunque e un po’ pazza, come dicono. Ma, forse, i tuoi fichi ti salveranno. Non è una cosa che capita tutti i giorni che un fico sterile faccia improvvisamente fichi in non più di dodici ore. (p. 202),
a testimonianza che a lavorare con la natura, abbiamo tutti da guadagnare. Finché ci saranno storie da raccontare e alberi sotto il quale farlo, ci sarà sempre speranza per tutti.
Giulia Pretta
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