La
trasparenza del camaleonte
di Anita Pulvirenti
DeA Planeta, 2020
pp. 220
€ 15,00 (cartaceo)
€ 7,99 (ebook)
Si affaticavano per farsi capire a gesti e bigliettini, trasformavano la pietà per il diverso in tentativi di inclusione. Lei non voleva essere inclusa, chiedeva soltanto di sentirsi libera nel suo silenzio, un posto in cui poteva muoversi da sola, di cui sapeva a memoria spazi e pareti. (p. 32)
Carminia, la protagonista dell’esordio
in narrativa di Anita Pulvirenti, curatrice del blog Chili di libri, soffre della sindrome di Asperger. Essendo una
sindrome dall’eziologia non ancora definita e non una malattia per la quale sia
possibile rinvenire una cura, il romanzo più che parlare dell’uscita da una
situazione di disagio attua l'arco di trasformazione del personaggio in modo indiretto, attraverso il tema dell’accettazione di
sé. In una società in cui ancora a volte si fa fatica ad accettare la reale esistenza delle malattie mentali e dei disturbi psichiatrici – si pensi alla
depressione, spesso ritenuta da chi non la vive in prima persona una forma solo
un po’ più grave di tristezza –, e in cui in generale si è inclini a non
empatizzare col prossimo, a non voler comprendere cosa accade nella mente dell’altro,
ecco che il tema dell’accettazione di sé e dell’altro trova spazio narrativo.
Pulvirenti affronta questo tema in
modo drastico, presentando nelle prime novanta pagine – poco meno della metà
del libro – la settimana tipica di Carminia, la quale a quarant’anni ha
imparato come gestire le proprie ansie e le proprie difficoltà da un punto di
vista logistico-organizzativo ma è ancora lontana dal riuscire ad avere una
qualsivoglia relazione col prossimo. La chiave di volta è proprio la mancata
comprensione del suo problema di fondo: ciò che viene percepito come elitismo,
spocchia e narcisismo è in realtà una impossibilità di riconoscere espressioni
facciali, sfumature dei toni di voce, ironia. È da qui, da questo
riconoscimento, che si può partire per ritrovare il proprio spazio nel mondo,
che non necessariamente passa attraverso una socializzazione forzata e un’accettazione
dei ruoli. Ognuno ha i propri tempi e i propri spazi, sembra affermare
Pulvirenti.
La narrazione è diretta e
accessibile, la trama ben strutturata a parte un paio di occasioni in cui è possibile
intuire cosa sta per accadere – anche, o forse soprattutto, a causa del riutilizzo
dello stesso trick narrativo a cui si
ricorre nell’affrontare il rapporto con due personaggi importanti –, e l’uso
della terza persona incentrata sulla protagonista consente una totale
immedesimazione.
C’è da dire che in un paio di
frangenti le situazioni sembrano trattate un po’ troppo alla svelta,
soprattutto dal punto di vista emotivo: l’evento accade, il lettore ne diviene
consapevole nello stesso momento della protagonista, tuttavia lei, che
teoricamente lo vive in prima persona, sembra riuscire a disfarsene prima di
chi legge. Ci si chiede se la reazione non sia troppo blanda, soprattutto in
riferimento a ciò che accade alla fine del romanzo; tuttavia, sebbene la terza
persona possa far sorgere il dubbio al riguardo, è plausibile pensare che il
mancato riconoscimento emotivo degli eventi abbia a che fare proprio con la
sindrome di cui Carminia soffre. Se così fosse, e sono più propenso al sì che
al no, lo stratagemma funzionerebbe perché rappresenterebbe bene uno dei tratti fondamentali della sindrome di Asperger.
La scrittura di Pulvirenti è fresca
e piacevole, sebbene sia necessario sottolineare una certa acerbità della voce.
Confido in un prossimo suo libro per valutare l’eventuale maturazione dell’autrice,
che in ogni caso ha saputo superare una prova notevole affrontando un tema per
niente semplice e portando, in fin dei conti, soluzioni per niente scontate. Soprattutto quando facile sarebbe stato scadere in psicologismi e teorie pseudo freudiane sul rapporto madre-figlia (rischio per fortuna scongiurato).
David Valentini