Liuba Gabriele e il suo Amy |
Abbiamo conosciuto Liuba Gabriele per la sua biografia illustrata di Amy Winehouse (Amy) pubblicata da Hop! Edizioni lo scorso anno. Talento poliedrico – è pittrice, illustratrice e fumettista ma si dedica anche alla scrittura (pubblicando racconti illustrati, poesie e carnet di viaggio) – ci ha colpito per la delicatezza con cui ha affrontato la vita tormentata e dal tragico epilogo di una delle più grandi interpreti della scena musicale dei primi anni Duemila. La nostra redattrice Cecilia Mariani, che per noi ha letto e recensito l’albo, le ha fatto sei domande per conoscerla meglio.
1) Ciao Liuba, e di nuovo complimenti per il tuo bellissimo lavoro per Hop!. La prima cosa che vorrei chiederti è di presentarti ai lettori e alle lettrici di Critica Letteraria scegliendo una o più canzoni di Amy Winehouse: insomma, una specie di playlist che ci riveli un po’ chi sei o chi sei diventata nel lavorare a questo libro!
Ti ringrazio molto. Scelgo, per cominciare, un pezzo solenne come Back to black, con la sua corsa di battiti irregolari protesa verso qualcosa che si desidera terribilmente e non si raggiunge. Oscillo in un ultimo ballo, abbracciando tutta la delicatezza amara della canzone Love is a losing game, atemporale e bella come lo sono i gesti finali. Con You Know I'm No Good sono per strada a fare a spintonate con le emozioni che sono un po' troppo cruente, quasi insopportabili. Per finire prendo in prestito una frase tratta da Wake Up Alone: “If I was my heart I'd rather be restless”. Purché ci sia vita. Piacere.
1) Ciao Liuba, e di nuovo complimenti per il tuo bellissimo lavoro per Hop!. La prima cosa che vorrei chiederti è di presentarti ai lettori e alle lettrici di Critica Letteraria scegliendo una o più canzoni di Amy Winehouse: insomma, una specie di playlist che ci riveli un po’ chi sei o chi sei diventata nel lavorare a questo libro!
Ti ringrazio molto. Scelgo, per cominciare, un pezzo solenne come Back to black, con la sua corsa di battiti irregolari protesa verso qualcosa che si desidera terribilmente e non si raggiunge. Oscillo in un ultimo ballo, abbracciando tutta la delicatezza amara della canzone Love is a losing game, atemporale e bella come lo sono i gesti finali. Con You Know I'm No Good sono per strada a fare a spintonate con le emozioni che sono un po' troppo cruente, quasi insopportabili. Per finire prendo in prestito una frase tratta da Wake Up Alone: “If I was my heart I'd rather be restless”. Purché ci sia vita. Piacere.
2) «Cristallo puro. / Lo squarcio. / Ciò che era integro si è rotto. / Spade di luce pazza, preziosissima, brillano. / Entra la notte, tra punte di lama. / Spillata una stella a ogni guglia». Il volume si apre con questi tuoi versi che firmi semplicemente come “Liuba”, quasi fossero pensieri rivolti da te a Amy oltre i vostri rispettivi ruoli artistici. Ci dici qualcosa di più sul perché di questa bella epigrafe?
Sono pensieri dedicati a lei e alla fragilità più in generale. Nascono da un’immagine che avevo in mente e che ho disegnato nel libro, accanto ai versi: quella di un cristallo danneggiato, qualcosa di pregiato e sottile, trasparente, senza schermature, che non sa proteggersi, che è facile a frangersi. Qualcosa che è attraversato e moltiplica una luminosità rara quanto furiosa, la stessa che resta e continua a irradiare anche dopo che il buio ha fatto irruzione. Brilla sulle ferite scoperte, immaginate come lame aguzze. Ciò che è ferito ferisce.
3) Immagino che ovviamente conoscessi già Amy Winehouse prima di dedicarti a lei in veste di illustratrice, ma come è cambiata la tua percezione nei suoi confronti quando hai dovuto documentarti sulla sua vita oltre che sulla sua musica? Quali aspetti ti hanno colpito più profondamente nel relazionarti a lei come donna e non solo come cantante e interprete?
Conoscevo musicalmente Amy, ne apprezzavo moltissimo il talento e non ero a digiuno d’informazioni circa la sua vita, avevo letto articoli, molti dei quali non necessari, visto servizi più o meno crudeli, interviste e, in seguito alla sua scomparsa, documentari a lei dedicati. Durante la realizzazione del libro ho guardato soprattutto le sue esibizioni, un po' per “avvicinarmi” ancora di più a quest’artista, e un po' perché, presa dall’incantesimo di Amy sul palco, un filmato chiamava l’altro. Mi piaceva il suo modo diretto e scomposto di esprimersi, a dispetto di come sarebbe stato più opportuno apparire, la trovavo autentica. Ho pensato avesse quel coraggio cieco di mettersi a nudo che forse l’arte, nelle sue forme più riuscite, ti chiede. Amavo la fiamma dell’urgenza che alimentava la sua musica e il suo vivere in maniera totale e viscerale ma mi amareggiava molto che l’estrema conseguenza di questo fosse il voltarsi verso l’autodistruzione. L’accanimento persecutorio che poi si è scatenato nei suoi confronti è stato orrendo. Il suo essere tanto vulnerabile quanto poco protetta è l’aspetto della sua storia che mi ha più dolorosamente colpito.
4) Anche nel toccare le corde più drammatiche del percorso biografico di Amy ti muovi sempre con rispetto e delicatezza, quasi a volerti porre dall’altra parte rispetto alla macchina mediatica che tanta parte ha avuto nel processo di autodistruzione e nel tragico epilogo della sua esistenza. È una scelta di campo, soprattutto se si pensa a come il maledettismo venga spesso sfruttato in modo commerciale per vendere meglio un’immagine o un prodotto anche e soprattutto post-mortem. Come ti sei mossa per evitare di cadere anche involontariamente in questa trappola?
Ho sperato che qualcuno riuscisse davvero a frapporsi tra lei e un sistema vorace e senza scrupoli. Invece è stato come assistere al macabro sacrificio di una donna, già in evidente difficoltà, esposta all’attenzione morbosa e al linciaggio mediatico. Chi potrebbe farcela in tali condizioni? Ho illustrato questo libro con l’idea di offrire un omaggio a una persona che oltre ad avere un dono d’eccezione, al di là delle proprie scelte o debolezze, ha subito una violenza che non è giustificabile. È un abbraccio che le dedico. Tutto qui.
5) Parlare di Amy Winehouse significa parlare di un rapporto controverso con l’amore: amor proprio, innanzitutto, ma anche amore inteso nel senso della vita di coppia. C’è una tavola in cui il profilo di Blake Fielder-Civil diventa un’ombra minacciosa e incombente sulla sua compagna, triste e attuale metafora di tante relazioni che finiscono nella cronaca nera. Quanto è stato importante, per te, evidenziare questo aspetto così doloroso e purtroppo così determinante della vita di Amy?
Ci sono rapporti che del senso della misura non sanno proprio che farsene. Non li sto esaltando. Immagino che l’oscurità possa essere seducente per qualcuno o che lo possa essere in un momento particolare, che si possa essere portati a cadere in dinamiche distruttive o semplicemente molto fortunati a non averne avuto esperienza. Ci sono incontri fatali e quello con Blake per Amy lo è stato in modo definitivo, sentimentalmente ma anche artisticamente; era inevitabile rappresentarlo nella sua biografia. Mi fa uno strano effetto pensare che questa storia travagliata sia diventata, così ci raccontano, sostanza della musica migliore di Amy Winehouse. Una sublimazione che è romantica in un modo straziante.
6) Se pensi ai volumi della collana Per Aspera Ad Astra già pubblicati, quale altra biografia ti sarebbe piaciuto illustrare? E su quale altra cantante o musicista ti piacerebbe lavorare? Infine: ti va di darci qualche anticipazione sui tuoi progetti in corso e per il futuro?
Sarei stata felice di illustrare la vita di Virginia Woolf, le devo il metro di paragone che, sulla base della sua poeticità e sull’“attraversamento delle apparenze” (come lei lo definisce) ho applicato a qualsiasi scrittore, anche inavvertitamente, dalla mia adolescenza in poi. Marina Abramovic sarebbe stata un’altra affascinante personalità da raffigurare. Alla faccia dei limiti. Se dovessi scegliere una cantante sulla quale lavorare punterei sull’eclettica Lady Gaga. Tra i progetti in corso c’è un fumetto che sta nascendo, vorrei illustrare una serie di racconti brevi che ho scritto e poi c’è un certo un gesto d’amore che aspetta d’essere realizzato.
Sono pensieri dedicati a lei e alla fragilità più in generale. Nascono da un’immagine che avevo in mente e che ho disegnato nel libro, accanto ai versi: quella di un cristallo danneggiato, qualcosa di pregiato e sottile, trasparente, senza schermature, che non sa proteggersi, che è facile a frangersi. Qualcosa che è attraversato e moltiplica una luminosità rara quanto furiosa, la stessa che resta e continua a irradiare anche dopo che il buio ha fatto irruzione. Brilla sulle ferite scoperte, immaginate come lame aguzze. Ciò che è ferito ferisce.
Amy di Liuba Gabriele Hop!, 2019 pp. 88 € 18 (cartaceo) CLICCA PER COMPRARE IL LIBRO |
Conoscevo musicalmente Amy, ne apprezzavo moltissimo il talento e non ero a digiuno d’informazioni circa la sua vita, avevo letto articoli, molti dei quali non necessari, visto servizi più o meno crudeli, interviste e, in seguito alla sua scomparsa, documentari a lei dedicati. Durante la realizzazione del libro ho guardato soprattutto le sue esibizioni, un po' per “avvicinarmi” ancora di più a quest’artista, e un po' perché, presa dall’incantesimo di Amy sul palco, un filmato chiamava l’altro. Mi piaceva il suo modo diretto e scomposto di esprimersi, a dispetto di come sarebbe stato più opportuno apparire, la trovavo autentica. Ho pensato avesse quel coraggio cieco di mettersi a nudo che forse l’arte, nelle sue forme più riuscite, ti chiede. Amavo la fiamma dell’urgenza che alimentava la sua musica e il suo vivere in maniera totale e viscerale ma mi amareggiava molto che l’estrema conseguenza di questo fosse il voltarsi verso l’autodistruzione. L’accanimento persecutorio che poi si è scatenato nei suoi confronti è stato orrendo. Il suo essere tanto vulnerabile quanto poco protetta è l’aspetto della sua storia che mi ha più dolorosamente colpito.
4) Anche nel toccare le corde più drammatiche del percorso biografico di Amy ti muovi sempre con rispetto e delicatezza, quasi a volerti porre dall’altra parte rispetto alla macchina mediatica che tanta parte ha avuto nel processo di autodistruzione e nel tragico epilogo della sua esistenza. È una scelta di campo, soprattutto se si pensa a come il maledettismo venga spesso sfruttato in modo commerciale per vendere meglio un’immagine o un prodotto anche e soprattutto post-mortem. Come ti sei mossa per evitare di cadere anche involontariamente in questa trappola?
Ho sperato che qualcuno riuscisse davvero a frapporsi tra lei e un sistema vorace e senza scrupoli. Invece è stato come assistere al macabro sacrificio di una donna, già in evidente difficoltà, esposta all’attenzione morbosa e al linciaggio mediatico. Chi potrebbe farcela in tali condizioni? Ho illustrato questo libro con l’idea di offrire un omaggio a una persona che oltre ad avere un dono d’eccezione, al di là delle proprie scelte o debolezze, ha subito una violenza che non è giustificabile. È un abbraccio che le dedico. Tutto qui.
5) Parlare di Amy Winehouse significa parlare di un rapporto controverso con l’amore: amor proprio, innanzitutto, ma anche amore inteso nel senso della vita di coppia. C’è una tavola in cui il profilo di Blake Fielder-Civil diventa un’ombra minacciosa e incombente sulla sua compagna, triste e attuale metafora di tante relazioni che finiscono nella cronaca nera. Quanto è stato importante, per te, evidenziare questo aspetto così doloroso e purtroppo così determinante della vita di Amy?
Ci sono rapporti che del senso della misura non sanno proprio che farsene. Non li sto esaltando. Immagino che l’oscurità possa essere seducente per qualcuno o che lo possa essere in un momento particolare, che si possa essere portati a cadere in dinamiche distruttive o semplicemente molto fortunati a non averne avuto esperienza. Ci sono incontri fatali e quello con Blake per Amy lo è stato in modo definitivo, sentimentalmente ma anche artisticamente; era inevitabile rappresentarlo nella sua biografia. Mi fa uno strano effetto pensare che questa storia travagliata sia diventata, così ci raccontano, sostanza della musica migliore di Amy Winehouse. Una sublimazione che è romantica in un modo straziante.
6) Se pensi ai volumi della collana Per Aspera Ad Astra già pubblicati, quale altra biografia ti sarebbe piaciuto illustrare? E su quale altra cantante o musicista ti piacerebbe lavorare? Infine: ti va di darci qualche anticipazione sui tuoi progetti in corso e per il futuro?
Sarei stata felice di illustrare la vita di Virginia Woolf, le devo il metro di paragone che, sulla base della sua poeticità e sull’“attraversamento delle apparenze” (come lei lo definisce) ho applicato a qualsiasi scrittore, anche inavvertitamente, dalla mia adolescenza in poi. Marina Abramovic sarebbe stata un’altra affascinante personalità da raffigurare. Alla faccia dei limiti. Se dovessi scegliere una cantante sulla quale lavorare punterei sull’eclettica Lady Gaga. Tra i progetti in corso c’è un fumetto che sta nascendo, vorrei illustrare una serie di racconti brevi che ho scritto e poi c’è un certo un gesto d’amore che aspetta d’essere realizzato.
Ringraziamo ancora Liuba Gabriele per questa intervista, e se non l'avete ancora letta vi rimandiamo alla recensione della sua Amy.
Cecilia Mariani
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