Onori
di Rachel Cusk
Einaudi, 2020
Traduzione di A. Nadotti
pp. 192
€ 16,50 (cartaceo)
€ 8,99 (ebook)
Bello o brutto? Ben scritto. So che non è una risposta, ma è quanto mi sento di dire di quest'ultimo capitolo della trilogia di Rachel Cusk, Onori, uscito da pochi giorni per Einaudi. Infatti, l'opera (chiamarla "romanzo" è un po' un rischio) rompe con la tradizione e gli amanti dei romanzi con una trama unitaria saranno sicuramente spiazzati: apprezzeranno l'esperimento di Cusk coloro che decidono di mettersi in gioco e tenere salda la concentrazione; si stancheranno gli altri, quelli che hanno bisogno di un unico filo conduttore per tenere desta l'attenzione.
La scrittrice inglese di origine canadese si è distinta fin dall'inizio della trilogia (con Resoconto, seguito da Transiti) per la sua scelta di avere una protagonista piuttosto ritrosa, silente. Faye, questo è il nome dell'io narrante, è una scrittrice, che in Onori si ritrova in viaggio per raggiungere l'Europa in occasione di un convegno. Di lei sappiamo poco: i figli ormai grandi, il marito che se ne è andato, la sua fama. Del suo carattere, invece, emerge la straordinaria capacità d'ascolto, probabilmente accompagnata dall'empatia che porta tanti sconosciuti a condividere con lei, fiduciosamente, momenti cruciali delle loro vite.
La scrittrice inglese di origine canadese si è distinta fin dall'inizio della trilogia (con Resoconto, seguito da Transiti) per la sua scelta di avere una protagonista piuttosto ritrosa, silente. Faye, questo è il nome dell'io narrante, è una scrittrice, che in Onori si ritrova in viaggio per raggiungere l'Europa in occasione di un convegno. Di lei sappiamo poco: i figli ormai grandi, il marito che se ne è andato, la sua fama. Del suo carattere, invece, emerge la straordinaria capacità d'ascolto, probabilmente accompagnata dall'empatia che porta tanti sconosciuti a condividere con lei, fiduciosamente, momenti cruciali delle loro vite.
Nelle prime pagine, un uomo, sull'aereo, confessa a Faye di essere appena andato in pensione, dopo una vita in viaggio, che lo ha portato via dalla sua famiglia; a vegliare i figli e la moglie c'era però Pilot, il cane che per tanti anni è stato il protettore della casa e il beniamino di tutti. E Pilot è stato seppellito poche ore prima del volo. Mentre seguiamo la parabola di quest'uomo, che filtra gli avvenimenti della sua vita per arrivare allo strazio del cane morente, in cui vede una chiara proiezione di sé, Faye interviene appena, fino a dare al suo interlocutore quel senso di libertà che permette di trasformare il dialogo in un monologo interiore. Fitto di sentimenti, talora contrastanti.
In questo primo episodio, ci sono alcuni tratti che si ritroveranno in tutto il libro: l'inclinazione a parlare di sé in particolari momenti di pantano emotivo e concreto, il tentativo di dare una forma narrativa coerente alla propria storia, eppure spesso la contraddizione e l'ambivalenza di chi legge - ahimè, per forza - la vita solo dal suo punto di vista.
Faye non giudica, recepisce, registra, così come accade al convegno, tra organizzatori nel panico, presentatrice spiazzante, convegnisti imprevedibili. Il mondo degli scrittori, d'altro canto, regala parecchie considerazioni interessanti sulla letteratura contemporanea, sul mondo dell'editoria e sui gusti di lettura: si tratta di pensieri spesso negativi, non confortanti. Eppure, la scrittura è per alcuni uscita dal proprio corpo («Quando scriveva non era né dentro né fuori dal suo corpo: lo ignorava, punto e basta», p. 51), esercizio di crudeltà («Tu dici [...] che non intendi più raccontare la storia, in parte forse per le stesse ragioni, perché non credi nei personaggi o in te stesso come personaggio, o forse perché le storie per funzionare hanno bisogno di crudeltà e ti sei lavato le mani anche di questo difficile problema», p. 129).
Questi sono solo alcuni dei passi che ci portano a riflettere, perché in effetti le micronarrazioni di cui cui vive Onori sono entrate e uscite, al contrario di quanto avviene per i romanzi tradizionali: si entra nel libro e poi se ne esce per rifletterci, misurando la portata di certe affermazioni sulla nostra pelle, e poi ci si reimmerge con una curiosità quieta, non impaziente. Probabilmente ciò avviene per l'esilità di una trama così estroflessa, così versata verso gli altri: la trilogia di Rachel Cusk è come un albero molto alto, dal tronco sottile (Faye), che si apre in tantissimi rami e foglie (le vite degli altri). E verdeggia con uno stile asciutto, mai pago di una ricerca che è al tempo stesso lessico esatto (con qualche virgulto elegante) e dall'altro trasparenza sintattica.
GMGhioni