Se c'è un aggettivo che si può usare per definire il Pereira di Antonio Tabucchi è: immortale. Immortale nella sua estrema imperfezione, nella sua finitezza.
Vecchio giornalista vedovo di educazione cattolica, perennemente stanco, in sovrappeso, cardiopatico, affaticato dal lavoro e dalla vita, Pereira dirige la pagina culturale del Lisboa - giornale del pomeriggio - legge e traduce, è interessato alla morte e all'immortalità dell'anima.
Scruta con uno sguardo dolcissimo, nostalgico e vivo una Lisbona sfavillante d'estate e accarezzata dalla brezza atlantica, una città immersa in un azzurro così nitido che quasi ferisce gli occhi. Ed è soprattutto questo suo sguardo ferito, quest'anima bella imprigionata in un corpo che soffre, a renderlo immortale.
Siamo nel Portogallo del 1938, sotto il regime di António de Oliveira Salazar. La nube nera dei fascismi si è posata sull'Europa e Pereira, relegato alla pagina culturale di un giornale minore dopo anni nel giornalismo di cronaca, procede stancamente nella sua quotidianità fatta di sudati saliscendi per le vie di Lisbona (non è un caso che lui abiti in alto, vicino alla Cattedrale, in Rua da Saudade), di limonate piene di zucchero e di frittate alle erbe aromatiche, di pensieri soffocati come viene soffocata la libertà di pensiero in Portogallo.
Pereira sa che nel suo paese la polizia controlla e uccide, che la gente muore di nascosto agli angoli delle strade quando il sole cala, che le portiere ascoltano le telefonate e fanno le spie, che "tutta l'Europa puzza di morte", ma nessuno, neanche lui, ha il coraggio di darne notizia sulle pagine dei giornali. E per questo, sostiene Pereira di sentirsi già morto dentro, di vivere fingendo di vivere.
Spesso, per sfuggire al presente, si rifugia nel passato, nel ricordo della moglie defunta o nell'idea del giovinetto che era stato un tempo, accanto a lei, nei ridenti giorni di Coimbra. Continua a parlare con la sua fotografia a cui racconta le proprie giornate accennando ai turbamenti della sua anima.
A un tratto una serie di incontri cambia la vita di Pereira: in primis quello con Monteiro Rossi, un giovane di origine italiana che diventa suo collaboratore. Un collaboratore un po' bizzarro, per la verità, perché non si fa mai vedere in redazione, scrive necrologi di scrittori che hanno in vario modo lottato per libertà e che sono quindi impossibili da pubblicare sulle pagine del Lisboa di quei tempi. Ogni tanto si palesa misteriosamente, insieme alla sua fidanzata Marta, chiedendo aiuto economico per una causa che non si può dire. Anche Monteiro lotta per la libertà.
Accanto a quello con Monteiro, altri incontri e altri dialoghi come quelli con il Dottor Cardoso, specialista di una clinica talassoterapica che ha studiato a Parigi e che racconta a Pereira l'interessante dottrina della confederazione delle anime per la quale "credere di essere 'uno' che fa parte a sé, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione." L'anima è in realtà una confederazione di varie anime, poste sotto il controllo di un io egemone che si è imposto sugli altri. I vari io si impongono e spodestano a vicenda più volte nel corso di una vita, dirigendo questa corte di anime che alberga dentro di noi.
Sostiene Pereira è il romanzo di una presa di coscienza che avviene nel protagonista grazie agli incontri, agli scontri, agli sguardi sul suo presente offeso.
Ma non è semplicemente una presa di coscienza politica, è una presa di coscienza interiore, dell'anima plurale.
Anche Pereira, come il Silvestro della Conversazione in Sicilia di Elio Vittorini (altro grande romanzo nato dalla ferita dei fascismi), è a suo modo in preda ad astratti furori, "non eroici, non vivi; furori, in qualche modo per il genere umano perduto", anche lui come il protagonista di Vittorini tiene il capo chino e la vita gli appare un "sordo sogno", una "non speranza".
Ma, a differenza di quello vittoriniano che è un viaggio di ritorno alle origini, quello di Pereira è tutto interiore e ordinario, sta nei piccoli gesti di libertà e nel riscatto dell'io.
Attraverso il dialogo con gli altri, Pereira dialoga con i tanti altri che albergano in lui: la cattolica educazione alla repressione di sé e all'unitarietà dell'io viene sconvolta dallo sdoppiamento e dalla moltiplicazione. Pereira alza la testa, mai eroicamente ma sempre nostalgicamente, e scopre se stesso.
Pereira sostiene, sostiene, sostiene... ma a chi? Questo Tabucchi non ce lo dice.
Usa una terza persona che, incredibilmente, non crea mai il distacco egemone del narratore, ma suona come una voce in prima persona, piena di umanità e immedesimazione.
La ripetizione ossessiva di quel "sostiene Pereira" scandisce il tempo interiore e dà al libro la musicalità di un fado portoghese, la musica per eccellenza dell'amore perduto, della nostalgia e del tempo che fugge.
E il verbo "sostiene" è carico di significati: ci ricorda che non c'è nulla di oggettivo quando si parla delle ragioni del cuore, ci può essere solo sentimento, percezione, impressione.
Vecchio giornalista vedovo di educazione cattolica, perennemente stanco, in sovrappeso, cardiopatico, affaticato dal lavoro e dalla vita, Pereira dirige la pagina culturale del Lisboa - giornale del pomeriggio - legge e traduce, è interessato alla morte e all'immortalità dell'anima.
Scruta con uno sguardo dolcissimo, nostalgico e vivo una Lisbona sfavillante d'estate e accarezzata dalla brezza atlantica, una città immersa in un azzurro così nitido che quasi ferisce gli occhi. Ed è soprattutto questo suo sguardo ferito, quest'anima bella imprigionata in un corpo che soffre, a renderlo immortale.
Siamo nel Portogallo del 1938, sotto il regime di António de Oliveira Salazar. La nube nera dei fascismi si è posata sull'Europa e Pereira, relegato alla pagina culturale di un giornale minore dopo anni nel giornalismo di cronaca, procede stancamente nella sua quotidianità fatta di sudati saliscendi per le vie di Lisbona (non è un caso che lui abiti in alto, vicino alla Cattedrale, in Rua da Saudade), di limonate piene di zucchero e di frittate alle erbe aromatiche, di pensieri soffocati come viene soffocata la libertà di pensiero in Portogallo.
Pereira sa che nel suo paese la polizia controlla e uccide, che la gente muore di nascosto agli angoli delle strade quando il sole cala, che le portiere ascoltano le telefonate e fanno le spie, che "tutta l'Europa puzza di morte", ma nessuno, neanche lui, ha il coraggio di darne notizia sulle pagine dei giornali. E per questo, sostiene Pereira di sentirsi già morto dentro, di vivere fingendo di vivere.
Spesso, per sfuggire al presente, si rifugia nel passato, nel ricordo della moglie defunta o nell'idea del giovinetto che era stato un tempo, accanto a lei, nei ridenti giorni di Coimbra. Continua a parlare con la sua fotografia a cui racconta le proprie giornate accennando ai turbamenti della sua anima.
A un tratto una serie di incontri cambia la vita di Pereira: in primis quello con Monteiro Rossi, un giovane di origine italiana che diventa suo collaboratore. Un collaboratore un po' bizzarro, per la verità, perché non si fa mai vedere in redazione, scrive necrologi di scrittori che hanno in vario modo lottato per libertà e che sono quindi impossibili da pubblicare sulle pagine del Lisboa di quei tempi. Ogni tanto si palesa misteriosamente, insieme alla sua fidanzata Marta, chiedendo aiuto economico per una causa che non si può dire. Anche Monteiro lotta per la libertà.
Accanto a quello con Monteiro, altri incontri e altri dialoghi come quelli con il Dottor Cardoso, specialista di una clinica talassoterapica che ha studiato a Parigi e che racconta a Pereira l'interessante dottrina della confederazione delle anime per la quale "credere di essere 'uno' che fa parte a sé, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione." L'anima è in realtà una confederazione di varie anime, poste sotto il controllo di un io egemone che si è imposto sugli altri. I vari io si impongono e spodestano a vicenda più volte nel corso di una vita, dirigendo questa corte di anime che alberga dentro di noi.
Sostiene Pereira è il romanzo di una presa di coscienza che avviene nel protagonista grazie agli incontri, agli scontri, agli sguardi sul suo presente offeso.
Ma non è semplicemente una presa di coscienza politica, è una presa di coscienza interiore, dell'anima plurale.
Anche Pereira, come il Silvestro della Conversazione in Sicilia di Elio Vittorini (altro grande romanzo nato dalla ferita dei fascismi), è a suo modo in preda ad astratti furori, "non eroici, non vivi; furori, in qualche modo per il genere umano perduto", anche lui come il protagonista di Vittorini tiene il capo chino e la vita gli appare un "sordo sogno", una "non speranza".
Ma, a differenza di quello vittoriniano che è un viaggio di ritorno alle origini, quello di Pereira è tutto interiore e ordinario, sta nei piccoli gesti di libertà e nel riscatto dell'io.
Attraverso il dialogo con gli altri, Pereira dialoga con i tanti altri che albergano in lui: la cattolica educazione alla repressione di sé e all'unitarietà dell'io viene sconvolta dallo sdoppiamento e dalla moltiplicazione. Pereira alza la testa, mai eroicamente ma sempre nostalgicamente, e scopre se stesso.
Pereira sostiene, sostiene, sostiene... ma a chi? Questo Tabucchi non ce lo dice.
Usa una terza persona che, incredibilmente, non crea mai il distacco egemone del narratore, ma suona come una voce in prima persona, piena di umanità e immedesimazione.
La ripetizione ossessiva di quel "sostiene Pereira" scandisce il tempo interiore e dà al libro la musicalità di un fado portoghese, la musica per eccellenza dell'amore perduto, della nostalgia e del tempo che fugge.
E il verbo "sostiene" è carico di significati: ci ricorda che non c'è nulla di oggettivo quando si parla delle ragioni del cuore, ci può essere solo sentimento, percezione, impressione.
Più che diventare consapevole della brutalità dei fascismi, cosa che dentro di sé infondo ha sempre saputo, Pereira impara a conoscere e ascoltare le ragioni del cuore che sono le più difficili, le più nascoste, le più indomabili.
Il capolavoro di Tabucchi è una storia d'amore, prima di tutto verso Lisbona, città di sogni e di fantasmi che lo riaccoglierà anche in punto di morte - qui risuonano le parole di Pessoa: Un’altra volta ti rivedo (Lisbona) ma, ahimè, non mi rivedo! - ma anche verso un certo modo di scrivere e di operare, che era quello di Tabucchi che cercava la vita a occhio nudo: "né troppo lontana né troppo vicina, ad altezza d'uomo."
Il capolavoro di Tabucchi è una storia d'amore, prima di tutto verso Lisbona, città di sogni e di fantasmi che lo riaccoglierà anche in punto di morte - qui risuonano le parole di Pessoa: Un’altra volta ti rivedo (Lisbona) ma, ahimè, non mi rivedo! - ma anche verso un certo modo di scrivere e di operare, che era quello di Tabucchi che cercava la vita a occhio nudo: "né troppo lontana né troppo vicina, ad altezza d'uomo."
Sostiene Pereira contiene le tante anime di Antonio Tabucchi: quella che aveva nostalgia dell'io, quella che indagava incessante il rapporto della vita con la morte, quella che cercava di rappresentare il tempo come materia inafferrabile ("non c'è tempo da perdere", scrive alla fine).
L'anima dell'intellettuale profondamente europeo che ha viaggiato nutrendosi dell'Europa e dei suoi scrittori. Negli anni '90, alle soglie dell'era berlusconiana, scrivendo Sostiene Pereira ci fa risentire viva la tensione di un continente minacciato e assediato dai fascismi.
L'anima dell'intellettuale profondamente europeo che ha viaggiato nutrendosi dell'Europa e dei suoi scrittori. Negli anni '90, alle soglie dell'era berlusconiana, scrivendo Sostiene Pereira ci fa risentire viva la tensione di un continente minacciato e assediato dai fascismi.
E poi l'anima battagliera che affida alla letteratura una testimonianza (il sottotitolo di questo libro), per ricordarci quello che dice il personaggio del Convitato nel finale di Requiem: "Non crede che sia proprio questo che deve fare la letteratura, inquietare?".
Infine l'anima egemone su tutte, quella sognante che fa pensare anche a un altro suo bellissimo testo: Sogni di sogni.
Infine l'anima egemone su tutte, quella sognante che fa pensare anche a un altro suo bellissimo testo: Sogni di sogni.
Se Pereira era restio a raccontare i sogni perché suo padre gli ha insegnato "che sono la cosa più privata che abbiamo e che non bisogna rivelarli a nessuno", Tabucchi invece ci ha portato a spasso tra i suoi e al sogno ha affidato la stessa funzione della letteratura: indagarci, rappresentarci, capirci.
Edizione di riferimento: Antonio Tabucchi, Sostiene Pereira, Feltrinelli, 1^ edizione: 1994
A cura di Claudia Consoli
Sostiene Pereira che da un po' di tempo aveva preso l'abitudine di parlare al ritratto della moglie. Gli raccontava quello che aveva fatto durante il giorno, gli confidava i suoi pensieri, chiedeva consigli. Non so in che mondo vivo, disse Pereira al ritratto, me lo ha detto anche padre António, il problema è che non faccio altro che pensare alla morte, mi pare che tutto il mondo sia morto o che sia in procinto di morire. E poi Pereira pensò al figlio che non avevano avuto. (p. 16)
Ma non disse niente di tutto questo. Accese un sigaro, si asciugò col tovagliolo il sudore che gli colava sulla fronte, si sbottonò il primo bottone della camicia e disse: le ragioni del cuore sono le più importanti, bisogna sempre seguire le ragioni del cuore, questo i dieci comandamenti non lo dicono, ma glielo dico io, comunque bisogna stare con gli occhi aperti, nonostante tutto, cuore, sì, sono d'accordo, ma anche occhi bene aperti, caro Monteiro Rossi. (p.45)
Non è questo, sostiene di aver ammesso Pereira, il fatto è che mi è venuto un dubbio: e se quei due ragazzi avessero ragione? In tal caso avrebbero ragione loro, disse pacatamente il dottor Cardoso, ma è la Storia che lo dirà e non lei, dottor Pereira. Sì, disse Pereira, però se loro avessero ragione la mia vita non avrebbe senso, non avrebbe senso avere studiato lettere a Coimbra e avere sempre creduto che la letteratura fosse la cosa più importante del mondo, non avrebbe senso che io diriga la pagina culturale di questo giornale del pomeriggio dove non posso esprimere la mia opinione e dove devo pubblicare racconti dell'Ottocento francese, non avrebbe senso niente, e è di questo che sento il bisogno di pentirmi, come se io fossi un'altra persona e non il Pereira che ha sempre fatto il giornalista, come se io dovessi rinnegare qualcosa. (p. 122)
Era caduta la notte e le candele diffondevano una luce tenue. Non so perché faccio tutto questo per lei, Monteiro Rossi, disse Pereira. Forse perché lei è una brava persona, rispose Monteiro Rossi. È troppo semplice, replicò Pereira, il mondo è pieno di brave persone che non vanno in cerca di guai. Allora non lo so, disse Monteiro Rossi, non saprei proprio. Il problema è che non lo so neanch'io, disse Pereira, fino ai giorni scorsi mi facevo molte domande, ma forse è meglio che smetta di farmele. Portò in tavola le ciliegie sotto spirito e Monteiro Rossi se ne fece un bicchiere pieno. (p.177)
A cura di Claudia Consoli