Un Pinocchio non del tutto riuscito. Così mi viene da dire del Pinocchio di Matteo Garrone, in questi giorni al cinema.
Attenzione però. Come film, è riuscitissimo. Una regia sapiente, una fotografia emozionante e sontuosa, attori giusti: Roberto Benigni che fa Geppetto, e finalmente!; l'ottimo Federico Ielapi che fa Pinocchio; Massimo Ceccherini e Rocco Papaleo che sembrano nati per fare il Gatto e la Volpe; Gigi Proietti un Mangiafuoco siberiano, e persino Lumaca e Fatine interpretate da Maria Pia Timo la prima e da Marine Vacth / Alida Baldari Calabria le seconde.
Il problema, qui, è proprio in sé con le avventure del burattino di legno narrate fra il 1881 e il 1883 da Carlo Collodi.
Perché finché, come nel Racconto dei racconti (2015 - ne parlavamo qui), si manipolava Gianbattista Basile e quell'impasto coi fratelli Grimm che rendeva plausibile la fiaba gotica - con tutto quello che il cinema moderno può sopravanzare in immaginazione il più feroce e sfavillante potere di oscura evocazione -, il risultato poteva dirsi eccellente.
Invece su Pinocchio gli ordini di problemi sono molteplici.
Anche prima dell'ossessione sovranista, innanzitutto, era una fiaba - mi perdoni Stanis La Rochelle - molto italiana. Forse troppo. C'è stato qualcuno che è riuscito nell'intento (chissà se, poi, così) parodico e sicuramente introspettivo rispetto a usi e costumi del Paese, di leggerlo in parallelo. E ci mancherebbe, era il gigante Giorgio Manganelli. Per non parlare dell'interpretazione di Carmelo Bene.
Ma soprattutto Garrone si è trovato a confrontarsi con l'inimitabile resa di Luigi Comencini che nel 1972 aveva indovinato tutto. Personaggi e interpreti, costumi, luoghi, musiche e pure la forma dello sceneggiato tv.
Erano altri anni, era un'altra Italia, è vero. Sicuramente un'altra tv e un altro immaginario, di cui siamo, spesso anche nostro malgrado, inevitabilmente nostalgici.
Matteo Garrone, intelligentemente, ha giocato su un altro piano. Ma forse l'unico piano giusto per Pinocchio era quello già sperimentato, dunque uscirne si è rivelato un trabocchetto.
E ha confezionato, come un Geppetto della cinepresa, un film-Pinocchio bellissimo da un ceppo preso in prestito e già di per sé parlante. Certo, farne un tale burattino non era per niente facile, eppure ci è riuscito. Rivestito, come la storia racconta, con materiali d' ingegno e con tanto di abbecedario anche a costo di vendere la giubba.
Però quel che non gli è riuscito, è far diventare questo film-burattino, da splendida cartolina qual è, un film-bambinovero.
Giulia Marziali