di Wu Ming
Einaudi, 2018
pp. 333
€ 18,50 (cartaceo)
Siamo
lontani. Nel tempo, e verrebbe da dire anche nello spazio visti il contenuto e
la copertina, da “Q”. La spia del papa capace di condizionare le vicende
storiche del mondo germanico dopo lo scisma luterano. Adesso il palcoscenico è la rivoluzione d’ottobre, dopo quella
francese dei sonnambuli armati. E il socialismo non è in un solo paese, come
temeva Marx, ma addirittura in un altro pianeta: Nacun.
Da
Nacun arriva il/la protagonista, Denni, per parte del romanzo ragazzo o ragazza, indecifrabile alla ricerca del padre, Voloch,
rivoluzionario della prima ora di cui si sono perse le tracce. Siamo a 10 anni
dalla presa del potere da parte dei soviet. Il secondo protagonista di “Proletkult”
è Aleksandr Malinovsky, detto Bogdanov,
autore di un romanzo di fantascienza amato da Voloch. Questo aggancio permette
a Danni di elaborare un’idea: Bogdanov è l’unico in grado di dargli/darle
informazioni sul genitore.
Bogdanov
è un personaggio storico realmente esistito e Proletkult era il movimento da
lui fondato nel 1917. La traduzione immediata, che suona peraltro bene, è
cultura proletaria. La rivoluzione poteva vincere solo confidando in una nuova elaborazione
teorica e in un moderno antropocentrismo, che non facessero affidamento sulla
gerarchia o direzione centralizzata del partito ma su modelli sociali “orizzontali” e cooperativi. La fazione leninista vinse
la sfida ideologica e Bogdanov si auto-esiliò nei suoi studi medici pensando a
forme solidaristiche attraverso le trasfusioni di sangue.
Ancora
una volta: come sarebbe andata se…
se la riforma protestante avesse attecchito in Italia, se le 13 colonie
d’America avessero perso nella guerra contro la madrepatria inglese. Solo che “Q”
è lontano. E anche “Altai” e “Manituana”. Questione di corde. Le mie s’intende.
Ecco perché il libro mi ha comunicato meno di altri scritti dal collettivo bolognese.
Me ne dispiaccio perché la forza dei libri di Wu Ming riposa anche nello studio
e nella ricerca che stanno dietro, propedeutici, funzionali.
Uno sforzo impossibile da sminuire.
Uno sforzo impossibile da sminuire.
Me
ne dispiaccio perché ci sono pagine molto belle anche qui, il prologo, quelle
ambientate a Capri, dove giocano a
scacchi Lenin e Bogdanov e si salpa per il mar Tirreno incerti se portare
avanti o meno un piano di eliminazione fisica. O quelle a Mosca, quando pare ci
sia perfino una parvenza di opposizione allo stalinismo. Pagine che hanno
rievocato romanzi russi non immediati. Grotteschi. “Pietroburgo” di Andrei Belyj
ad esempio.
Quindi
è questione di interesse: questo sconfitto della storia, Bogdanov, m’induce
minore empatia, è così e non posso farci nulla. Per altri, magari, non lo sarà
e potranno restare entusiasti da un vissuto
quasi intimistico della rivoluzione, che pare una contraddizione in termini
visto che quella è il momento collettivo per eccellenza. Eppure Bogdanov mi ha
dato la sensazione dell’eroe solitario, che in modo sofferto riflette su ciò
che poteva essere e invece è stato.
Oppure
potrà piacere la parabola del socialismo
nacuniano giunto a un solo sbocco: quello di entrare in contatto con un
altro pianeta, perché dove si è affermato ha prodotto un depauperamento
ambientale e l’esaurimento delle risorse.
Oppure
ancora scorgere e apprezzare la portata e le ambiguità della parola. Siamo una specie
che da un parte ha impoverito la
Terra e dall’altra l’ha arricchita, negativamente,
inondandola di messaggi, teorie, parlato,
l’ha costretta a piegarsi alle sue esigenze e ha fornito a questa azione il
supporto ideologico. In “Proletkult” non c’è una cosa che torna a ben vedere,
nel senso che non esiste ritorno, correlazione, tra ciò che diciamo/facciamo e
ciò che vorrebbe il pianeta. A forza di spingerci in avanti forse saremo noi ad
avere bisogno di un Nacun sperduto da qualche parte nella galassia.
Marco Caneschi