L'opera di Alessando Baronciani sembra fatta per sollevare domande. Anche guardando alla carriera pregressa dell'autore, nei fumetti quanto nelle collaborazioni e nelle esperienze, si intuisce infatti chiaramente il suo desiderio di percorrere vie nuove, o più in generale di abbattere le convenzioni legate al genere. Di recente, abbiamo avuto modo di leggere e apprezzare Negativa (qui la recensione) e Quando tutto diventò blu, edito da Bao in una nuova edizione, riveduta utilizzando il Pantone dell'anno, in occasione del Blue Monday (qui la recensione. Si può notare tra i due volumi, seppur molto diversi, una linea di continuità nella ricerca e nello sperimentalismo: in entrambi una protagonista complessa, dalla sfaccettata e dissimulata interiorità; in entrambi uno studio specifico sul colore... per saperne di più, abbiamo contattato l'autore, che ha accettato di parlarci un po' dei suoi fumetti e del processo creativo che vi soggiace.
L’impressione che si trae, leggendo Quando tutto diventò blu, è che ci sia un forte coinvolgimento personale nei confronti del tema degli attacchi di panico - una conoscenza diretta del fenomeno, o comunque uno studio approfondito che ti porta a sfiorarlo in ogni aspetto e manifestazione con grande sensibilità. Come sei arrivato alla storia che hai scelto di raccontare?
L’impressione che si trae, leggendo Quando tutto diventò blu, è che ci sia un forte coinvolgimento personale nei confronti del tema degli attacchi di panico - una conoscenza diretta del fenomeno, o comunque uno studio approfondito che ti porta a sfiorarlo in ogni aspetto e manifestazione con grande sensibilità. Come sei arrivato alla storia che hai scelto di raccontare?
Ogni volta che provo a raccontare una storia a fumetti parlo della storia con gli amici e le persone che mi stanno vicino. Cerco di capire dalle loro espressioni se quello che sto raccontando funziona. Alle volte per loro è un supplizio, alle volte non se la ricordano. Di solito il metodo per capire se la storia funziona è quando ti chiedono: “Ok, come va avanti?” Però non è facile. Non succede sempre. Ci vogliono le parole giuste e anche la storia giusta. Una volta in un mercatino dell’usato ho trovato questo libro di Cassano, E liberaci dal male oscuro. Così sono entrato in un mondo abbastanza sconosciuto; quello degli attacchi di panico. Mentre lo leggevo pensavo fosse una storia che valesse la pena di essere raccontata. Mi ricordava uno dei miei film preferiti di Antonioni: Deserto Rosso. Ho cominciato a parlare di questa storia. Una storia a fumetti sugli attacchi di panico, ed è lì che molti miei amici mi hanno confessato di averli avuti. A quel punto sono stato io a chiedere a loro: “Ok, come va avanti?”. Ho raccolto le loro storie, le ho unite insieme e poi ho dato loro un ambiente. una scenografia. Dentro Quando tutto diventò blu ci sono tantissimi posti che mi hanno sempre portato in “un'altra dimensione”. Spesso questi luoghi sono sotto gli occhi di tutti. A me piace catturarli, li ricordo. Mi rimangono in testa, così molti di questi posti, parcheggi abbandonati, case bolognesi, semafori e platani capitozzati, fabbriche con i denti bianchi, nebbia sulla banchina, sono diventati l’ambientazione del libro.
Uno degli aspetti che più mi ha colpito nel tuo disegno è la forte dimensione metaforica: molto spesso utilizzi dei simboli, potremmo addirittura dire dei correlativi oggettivi, per descrivere le emozioni della protagonista, la sua difficoltà a tradurre a parole la sua paura. Mi pare che la scelta di passare attraverso gli oggetti sia un modo per dare concretezza a sentimenti che non restano sospesi, ma hanno un peso, un effetto reale, spesso duro, sulla vita di chi li prova. Mi sbaglio?
Non lo so… non penso di utilizzare simboli, né tantomeno metafore. Mentre disegnavo il libro ho pensato a questo: quando si è tristi, in preda all’ansia o alla depressione siamo concentrati su noi stessi e abbiamo bisogno di concentrarci su altro, su degli oggetti. Abbiamo bisogno di dare attenzione a qualcosa che non siamo noi. Possono essere i blister delle medicine, prese seguendo un ordine tutto nostro, dall’alto al basso, dal centro, dagli angoli, come se fossero una tessera punti del supermercato. Oppure lettere, o se sei della mia generazione cassettine musicali (io avevo delle compilation registratemi che ancora tengo in un cassetto). Concentrarci sugli oggetti è una cosa importante. C’è una scena in Film Blu di Kieslowski in cui la protagonista immobile, con una tazzina in mano, rimane a guardare una zolletta di zucchero, tenuta tra le dita, riempirsi di caffè. Un'azione come un rituale. Una piccola meraviglia. Gli oggetti, le medicine, gli esami, le cassettine, i telefoni sono piccole meraviglie; ci circondano. Nel libro sono i capitoli, sono il tempo che passa. Non penso che siano simboli, nel senso che rappresentano esattamente quello che sono. Oggetti a cui ci aggrappiamo perché ci siamo affezionati e che ci hanno allontanati da pensieri ossessivi.
Molto spesso al centro delle tue opere ci sono giovani donne fragili, dall’interiorità complessa. Perché la decisione di far ruotare le tue storie attorno a personaggi femminili? Quali aspetti questo ti consente di esplorare?
Penso che i personaggi femminili siano più “forti” di quelli maschili. Gli uomini non mi vengono mai bene, sono sempre abbastanza stereotipati. Non riesco a caratterizzarli decentemente. Sono sempre alla ricerca di qualcosa, o hanno chiaro tutto quello che bisogna fare o sono deboli, oppure se sono forti non riescono a piangere. E poi i personaggi maschili sembrano tirare sempre fuori una nuova energia - da non so dove - per affrontare l’avversità. Un personaggio femminile invece è forte anche quando piange.
Nel guardare l’evoluzione dei tuoi ultimi volumi, mi pare che vi si possa individuare una linea di ricerca, un desiderio di sperimentare strade nuove (penso all’uso del colore in Negativa e Quando tutto diventò blu, ma anche alle tematiche affrontate, o allo sperimentalismo di genere). In quale direzione sta andando la tua arte?
Mi piace che questo si capisca! Negativa è nato dal pensiero di usare il bianco e nero con uno scopo preciso, quello della foto in bianco e nero. Quando tutto diventò blu, quasi per il motivo opposto: quello di non dare mai niente per scontato. E infatti non per forza il fumetto deve essere stampato con l’inchiostro nero!
Quando ho iniziato a fare fumetti, nel gruppo di amici con cui giravamo per festival e concerti punk eravamo tutti autodidatti. Io, Maicol & Mirco, Ratigher, Dottor Pira, Tuono Pettinato eravamo tutte persone che disegnavano senza un vero e proprio motivo commerciale. Non c’era mercato per quello che ci piaceva fare, ma lo facevamo lo stesso perché ci piaceva disegnare, stampare e vendere i nostri fumetti. Semplicemente ce li auto-producevamo. Abbiamo sempre creato strade diverse da quelle che erano il fumetto mainstream da edicola. In Quando tutto diventò Blu ad esempio il testo è stato ridotto al limite. Volevo che parlassero le immagini e non le parole. Non sono mai riuscito a disegnare una canonica pagina 3x2 (tre righe e due colonne di inquadrature) alla Bonelli, mi piacevano Diabolik e Magnus e lo schema a due – il formato “pocket”. Non sai quanto mi hanno scoraggiato all’inizio gli editori per questo formato! Tutto perché ho ingrandito il “pocket” al formato A5! A me piaceva questa scansione del tempo. Mi piaceva un sacco avere delle immagini tutte uguali, come se fossero schermate al cinema. Volevo che tutte le immagini avessero tutte la stessa potenza. Non volevo disegnare un'inquadratura più piccola delle altre soltanto perché magari non era necessaria, ma mi serviva da collante tra due scene. Ho inserito da subito, dai tempi dei miei primi fumetti fotocopiati, delle pagine apribili per creare l’idea della panoramica cinematografica. Non sai quanto mi amassero al centro fotocopie della mia città! Mi sono sempre divertito a esplorare modi diversi per far conoscere i miei fumetti.
Noi siamo sempre più convinti che il fumetto possa essere uno strumento di informazione e di conoscenza, utile per affrontare temi delicati e renderli accessibili, immediati, anche a un pubblico più ampio, che magari non ha confidenza con la prosa. Secondo te quali sono i punti forti del “medium” graphic novel? Cos’ha questa particolare forma di espressione di unico rispetto alle altre, in termini di forza e di impatto del messaggio sul pubblico?
Posso risponderti citando un episodio di qualche tempo fa: quando ci fu la Guerra del golfo mi ricordo di aver letto in un giornale che gli americani dopo aver bombardato i luoghi nemici buttavano con i paracadute casse con cibo e beni di prima necessità.
Dentro queste casse ci infilavano anche i fumetti. Fumetti dove gli americani spiegavano attraverso le immagini e un inglese elementare perché erano venuti “in pace” a liberare il popolo oppresso.
I fumetti quindi come un “bene” di prima necessità.
Se ti dovessi identificare in una corrente artistica (oppure in un movimento letterario), quale sarebbe? Perché?
Uh! non ne ho idea…
Intervista a cura di Carolina Pernigo
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