Ho amato Hikmet subito, incondizionatamente. L’ho amato da quando Margherita Buy lo recitava su un tetto, in un film di Ferzan Ozpetek. L’ho amato quando ho cercato compulsivamente altri testi, facendoli risuonare più e più volte, pur consapevole che qualcosa si perdesse nella traduzione. Ho amato la selezione fatta da Mondadori nella bella edizione della serie Cult, che unisce alle Poesie d’amore alcune fiabe, ingenue e belle. Amore è del resto la parola chiave nella poesia di Nâzim Hikmet, uomo dalla vita errabonda e tormentata, ma anche piena, densa, sempre intrisa di una vitalità che deborda dai testi, come ci ricorda anche Salvatore Quasimodo in una critica vibrante: “‘Amore’ dunque per l’uomo, per la terra, attraverso quello per le donne […]. Amore che è dolcezza e preghiera, ma anche dolore e metamorfosi. Le trasformazioni del cuore attraverso gli anni del carcere, di Istanbul, di Mosca, di Cuba, nelle città straniere […], costruiscono una spirale di amori – creature, luoghi, idee, fughe, sogni. […]. La realtà lacera il presente e lascia aperto lo squarcio del dolore, della persecuzione, della solitudine: il poeta è Nâzim Hikmet, il figlio rivoluzionario di una terra antica, i suoi sentimenti sono universali” (p. 329).
E universali appaiono infatti i testi, anche al lettore ignaro, che li senta per la prima volta: se anche parlano del sentimento e spesso sono rivolti a un tu femminile, evocato sulla pagina con tocchi sapienti da parole che sono quasi carezze, sensuali e materiche, appare chiaro che il poeta parla allo stesso tempo anche d’altro, che i brani sono varchi verso realtà più ampie, verso un mondo che sente e soffre e che Hikmet continua a vedere davanti agli occhi, anche nei lunghi anni – quasi dodici, dal 1938 al 1950 – trascorsi tra le mura di una prigione. Proprio alle “lettere dal carcere” (con un’eccezione vagante, dal tempo successivo dell’esilio) appartengono le poesie della selezione che segue, forse tra le più celebri del poeta turco, e che giustamente continuano a essere rappresentative della forza immortale di un grande autore.
I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
che tu venga all'ospedale o in prigione
nei tuoi occhi porti sempre il sole.
I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
questa fine di maggio, dalle parti d'Antalya,
sono così, le spighe, di primo mattino;
i tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
quante volte hanno pianto davanti a me
son rimasti tutti nudi, i tuoi occhi,
nudi e immensi come gli occhi di un bimbo
ma non un giorno han perso il loro sole;
i tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
che s'illanguidiscano un poco, i tuoi occhi
gioiosi, immensamente intelligenti, perfetti:
allora saprò far echeggiare il mondo
del mio amore.
I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
così sono d'autunno i castagneti di Bursa
le foglie dopo la pioggia
e in ogni stagione e ad ogni ora, Istanbul.
I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
verrà giorno, mia rosa, verrà giorno
che gli uomini si guarderanno l'un l'altro
fraternamente
con i tuoi occhi, amor mio,
si guarderanno con i tuoi occhi.
(1948)
Sei la mia schiavitù sei la mia libertà
sei la mia carne che brucia
come la nuda carne delle notti d'estate
sei la mia patria
tu, coi riflessi verdi dei tuoi occhi
tu, alta e vittoriosa
sei la mia nostalgia
di saperti inaccessibile
nel momento stesso
in cui ti afferro.
(1949)
In questa notte d'autunno
sono pieno delle tue parole
parole eterne come il tempo
come la materia
parole pesanti come la mano
scintillanti come le stelle.
Dalla tua testa dalla tua carne
dal tuo cuore
mi sono giunte le tue parole
le tue parole cariche di te
le tue parole, madre
le tue parole, amore
le tue parole, amica.
Erano tristi, amare
erano allegre, piene di speranza
erano coraggiose, eroiche
le tue parole
erano uomini.
(1948)
Nelle mie braccia tutta nuda
la città la sera e tu
il tuo chiarore l'odore dei tuoi capelli
si riflettono sul mio viso.
Di chi è questo cuore che batte
più forte delle voci e dell'ansito?
è tuo è della città è della notte
o forse è il mio cuore che batte forte?
Dove finisce la notte
dove comincia la città?
dove finisce la città dove cominci tu?
dove comincio e finisco io stesso?
(Berlino, 1961)
A cura di Carolina Pernigo