Chef’s design.
Dalla matita al piatto: i disegni preparatori dei grandi chef
di Francesca Tagliabue
Nomos Edizioni, 2019
pp. 135
Dalla matita al piatto: i disegni preparatori dei grandi chef
di Francesca Tagliabue
Nomos Edizioni, 2019
pp. 135
€ 39,90
Esistono libri che sono pure sinestesie: Chef’s design, recentemente pubblicato dalla Nomos Edizioni, è uno di questi. Se la figura retorica deputata alla commistione tra differenti aree sensoriali appare la più adeguata per definire la natura del volume è proprio perché il gusto, l’olfatto, il tatto, la vista e addirittura l’udito risultano tutti perfettamente coinvolti nel processo creativo che ne è al centro, ovvero quello che dall’idea aurorale di un determinato piatto porta alla sua provvisoria rappresentazione cartacea o digitale e poi alla sua preparazione concreta. Sollecitati da Francesca Tagliabue, quaranta tra i cuochi e i pasticceri più stellati d’Italia hanno raccontato il loro rapporto con quelli che si possono definire gli aspetti “retinici” di una pietanza prima che questa diventi parte ufficiale del menu: una miscellanea assortita di approcci e tendenze che nel rivelare altrettante personalità culinarie sposta l’attenzione sul prima invece che sul dopo, evidenziando così anche la differenza che c’è tra la fase “in divenire” tipica del bozzetto (più o meno grezzo e pasticciato) e quella “in essere” tipica della fotografia (sempre patinata e non di rado food-pornografica).
Affidata alle parole di Anty Pansera (storico e critico del design e delle arti applicate) e della stessa Francesca Tagliabue, l’overture del volume consta di due contributi preliminari, ovvero una riflessione sul rapporto tra Segno/disegno/design e un approfondimento sul potere delle immagini (Un linguaggio istintivo e universale) e sul capostipite dei “cucinieri progettisti e architetti” Marie-Antoine Carême (Un illustre precursore). Il piatto forte, invece, prevede una doppia sezione di interventi, dedicata in parte alle testimonianze in prima persona degli chef (Chef’s design, appunto) e in parte alle singole Ricette da loro precedentemente illustrate. Il comune denominatore, come è ovvio intuire, è la varietà, che rivela approcci e procedure corrispondenti a personalità culinarie riconoscibili eppure sempre in evoluzione, che nel momento dello “schizzo” realizzato di getto su carta o su tablet applicano al cibo un filtro fatto di linee, colori, forme, volumi e parole. Come sempre accade in questi casi, “la prima regola è che non ci sono regole”, e ciò è valido per ogni aspetto della faccenda: dai supporti preferiti (block notes, retro di vecchie comande, dispositivi digitali) alle tipologie di archiviazione (chi butta via i fogli di lavoro e chi conserva tutto) passando per le preferenze cromatiche (radicalità del bianco e nero o ricorso all’intera tavolozza); per non parlare, ovviamente, di come nasce l’idea stessa di un piatto, come essa si evolve e come la si definisce. Quanto gusto per un lettore eventualmente edotto in materia grafologica: le tavole a tutta pagina che testimoniano il modus operandi di ciascuno chef sono saggi di personalità culinaria da cui intuire caratteri, attitudini, filosofie gastronomiche, oltre che una conferma non stucchevole di alcuni luoghi comuni in cui indugiare con piacere: “si mangia dapprima con lo sguardo” (e prima ancora con la mente) e “siamo ciò che mangiamo” (ma anche ciò che pensiamo di mangiare).
Esistono libri che sono pure sinestesie: Chef’s design, recentemente pubblicato dalla Nomos Edizioni, è uno di questi. Se la figura retorica deputata alla commistione tra differenti aree sensoriali appare la più adeguata per definire la natura del volume è proprio perché il gusto, l’olfatto, il tatto, la vista e addirittura l’udito risultano tutti perfettamente coinvolti nel processo creativo che ne è al centro, ovvero quello che dall’idea aurorale di un determinato piatto porta alla sua provvisoria rappresentazione cartacea o digitale e poi alla sua preparazione concreta. Sollecitati da Francesca Tagliabue, quaranta tra i cuochi e i pasticceri più stellati d’Italia hanno raccontato il loro rapporto con quelli che si possono definire gli aspetti “retinici” di una pietanza prima che questa diventi parte ufficiale del menu: una miscellanea assortita di approcci e tendenze che nel rivelare altrettante personalità culinarie sposta l’attenzione sul prima invece che sul dopo, evidenziando così anche la differenza che c’è tra la fase “in divenire” tipica del bozzetto (più o meno grezzo e pasticciato) e quella “in essere” tipica della fotografia (sempre patinata e non di rado food-pornografica).
Affidata alle parole di Anty Pansera (storico e critico del design e delle arti applicate) e della stessa Francesca Tagliabue, l’overture del volume consta di due contributi preliminari, ovvero una riflessione sul rapporto tra Segno/disegno/design e un approfondimento sul potere delle immagini (Un linguaggio istintivo e universale) e sul capostipite dei “cucinieri progettisti e architetti” Marie-Antoine Carême (Un illustre precursore). Il piatto forte, invece, prevede una doppia sezione di interventi, dedicata in parte alle testimonianze in prima persona degli chef (Chef’s design, appunto) e in parte alle singole Ricette da loro precedentemente illustrate. Il comune denominatore, come è ovvio intuire, è la varietà, che rivela approcci e procedure corrispondenti a personalità culinarie riconoscibili eppure sempre in evoluzione, che nel momento dello “schizzo” realizzato di getto su carta o su tablet applicano al cibo un filtro fatto di linee, colori, forme, volumi e parole. Come sempre accade in questi casi, “la prima regola è che non ci sono regole”, e ciò è valido per ogni aspetto della faccenda: dai supporti preferiti (block notes, retro di vecchie comande, dispositivi digitali) alle tipologie di archiviazione (chi butta via i fogli di lavoro e chi conserva tutto) passando per le preferenze cromatiche (radicalità del bianco e nero o ricorso all’intera tavolozza); per non parlare, ovviamente, di come nasce l’idea stessa di un piatto, come essa si evolve e come la si definisce. Quanto gusto per un lettore eventualmente edotto in materia grafologica: le tavole a tutta pagina che testimoniano il modus operandi di ciascuno chef sono saggi di personalità culinaria da cui intuire caratteri, attitudini, filosofie gastronomiche, oltre che una conferma non stucchevole di alcuni luoghi comuni in cui indugiare con piacere: “si mangia dapprima con lo sguardo” (e prima ancora con la mente) e “siamo ciò che mangiamo” (ma anche ciò che pensiamo di mangiare).
Originale e perfettamente equilibrato dal punto di vista concettuale (le testimonianze corredate dalle immagini autografe) e pratico (le ricette vere e proprie, in cui trovano posto anche indirizzi e siti web dei relativi ristoranti), Chef’s design è un libro che non può non fare gola agli appassionati del food system inteso anche e soprattutto nei suoi aspetti più sofisticati, estetici e - perché no? - spettacolari. Piacerà per questo sia ai cultori della prima ora – ovvero di quando cibarie, cuochi e cucine non erano ancora diventati argomenti così pop e trendy (ovvero invadenti a livello di palinsesti editoriali e televisivi) – sia ai neofiti più entusiasti – vale a dire coloro che hanno apprezzato tutto ciò che fa rima con la ristorazione solo in tempi recenti, in conseguenza e coincidenza con la sovraesposizione mediatica dell’argomento. Qualora ci fosse ancora bisogno di ribadire l’importanza imprescindibile del lavoro intellettuale che precede la sequela degli atti legati alla nutrizione, il volume curato da Francesca Tagliabue ricorda che ciò che è buono “da mangiare” lo deve essere anche “da pensare”; e in medio, ovviamente, stat design, momento di transizione necessario tra un concetto di gusto, la sua realizzazione e il suo assaggio finale.
Cecilia Mariani
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