Le gratitudini
di Delphine De Vigan
Einaudi, 2020
Traduzione di M. Botto
pp. 160
€ 17,50 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Pensate alla vecchiaia: cosa temete di più? La protagonista del nuovo attesissimo romanzo di Delphine De Vigan, Le gratitudini, sta perdendo via via le parole: Michka, correttrice di bozze in pensione, è affetta da afasia e ogni giorno diventa sempre più difficile esprimersi e se ne vanno anche tutte le sue certezze. Per colmare i vuoti lasciati dalle parole scomparse, usa parole che assuonano o consuonano, prova a farsi comprendere da chi ama, ma non è semplicissimo: al posto di "va bene" dice "fa pena", "gratis" anziché "grazie", e così via.
Come se le parole fossero sinonimo di identità, con la loro scomparsa se ne va l'autosufficienza, e in breve Michka si ritrova a vivere in Rsa, insieme a persone sconosciute. Tuttavia, l'amore e l'affetto non mancano: la sua figlioccia, Marie, viene quasi ogni giorno a trovarla, e due volte alla settimana l'ortofonista Jérôme trascorre il tempo con Michka e la segue in esercizi sempre più difficili per le sue facoltà.
Come due angeli custodi che vegliano sulla protagonista, Marie e Jérôme osservano il percorso di Michka, e la amano, chi con lo sguardo familiare, che coglie i cambiamenti nel corso del tempo, chi con l'ammirazione per una nuova conoscenza. Sono proprio loro a narrare la storia, seguendo la parabola di Michka in capitoli che alternano la voce di Marie a quella di Jérome, ma occorre precisare fin da subito che nessuno dei due racconta con distacco.
Sì, perché l'anziana signora (vecchia, anzi, come ama dire lei) sa farsi benvolere e capire in ogni caso, si interessa al mondo esterno, ad esempio chiede della gravidanza inattesa di Marie, così come dei cattivi rapporti tra Jérôme e suo padre. In fondo, sembra suggerire l'autrice, appartenersi non richiede per forza legami di sangue: Marie è stata cresciuta da Michka ed è per lei una figlia (nel romanzo si scoprono le circostanze) e anche il giovane ortofonista si avvicina molto alla signora. Insomma, anche nella casa di riposo si respira aria di famiglia, Michka non rinuncia alle sue piccole libertà (come nascondere una bottiglia di alcolico tra i vestiti) o alle sue autonomie (come rifarsi il letto, provando grande dispetto quando la donna delle pulizie vuole intervenire).
Stilisticamente il romanzo è rarefatto come il tema che narra, ovvero la perdita di parole: minimalista in alcune scelte, vive soprattutto di dialoghi (efficace la scelta dei giochi di parole inella traduzione italiano in per rendere l'effetto dell'afasia), a cui si alternano sequenze riflessive. Non c'è mai amarezza, né troviamo delusione o frustrazione per il progressivo peggioramento delle condizioni di Michka: Marie e Jérôme comprendono, e imparano che amare significa anche lasciare andare.
Per quanto l'argomento sia potenzialmente angosciante, in realtà la vivacità di Michka riequilibra sempre il romanzo, che piega sempre di più verso l'amore e l'accettazione, offrendo poi una possibile apertura finale.
GMGhioni