Città
sommersa
di Marta Barone
Bompiani, 2020
pp. 304
€ 18,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Gli adulti sono dati di fatto e misteri insondabili; gli adulti vanno e vengono, i loro visi appaiono e scompaiono, le stanze dove abitano esistono da sempre e insieme si producono per la prima volta nel momento stesso in cui tu, primo essere umano sulla terra, ne varchi la soglia. A volte sono passeggeri, a volte sono immutabili come le montagne. Non ti fai domande su di loro. (p. 24)
Se è vero che gli adulti sono per i
bambini – per i ragazzi, ancora per i giovani – dati di fatto e misteri
insondabili, credo sia altrettanto vero che un genitore sia, per il figlio, il più
assoluto dei misteri. Il genitore è il primo essere umano di cui si abbia
memoria, un’altra persona già adulta quando noi siamo in fasce, qualcosa che ci
è dato da sempre e che, troppo spesso, crediamo sia destinato a restare per sempre. Di un genitore sappiamo molto ma mai abbastanza: spesso non
abbiamo idea di come fosse – che paure avesse, che desideri lo abitassero, quali
incubi lo turbassero – quando era bambino, ragazzo, giovane. A un certo punto
viene voglia di chiedere a quel genitore qualcosa del suo passato: così, forse,
iniziamo un lungo percorso di conoscenza reciproca.
Ma cosa fare quando il genitore non
c’è più e questo desiderio si fa comunque strada in noi? Inizia una lunga
odissea fatta di vecchie foto, di domande ai parenti, agli amici di famiglia, di ritagli di giornale.
È ciò che capita a Marta Barone che,
da un vecchio faldone che spunta fuori come il fucile di Cechov, decide di
indagare chi fosse suo padre, Leonardo Barone, prima di essere suo padre; ossia
prima di essere quel ragazzo a cui Città
sommersa è dedicato.
L’indagine la porta lontano, e
mentre scava l’autrice scopre come la vita del padre sia stata legata a doppio
filo a quella sinistra radicale extraparlamentare che tanto è stata
protagonista delle proteste operaie prima e degli anni di piombo poi. Un padre
è un padre, si diceva la ragazza Marta; un padre è un mistero, un uomo, un
medico, un rivoluzionario, un essere umano accusato di terrorismo, ci dice la
scrittrice Marta.
Attraverso anni di indagine e domande scopriamo il velo che copriva quest’uomo sfuggente, che mai è riuscito a
fermarsi, amato da molti ma conosciuto da pochi. E così, mentre il padre cammina in precario equilibrio fra la figura letteraria e quella storica, anche a noi
lettori è dato conoscere qualcosa della nostra storia. Città sommersa è il perfetto esempio di un libro in cui il
protagonista e lo sfondo storico non sono separabili l’uno dall’altra: Leonardo
Barone non sarebbe esistito, come personaggio e come uomo, senza la Torino
della Fiat, senza il Pcim-l, senza Prima linea, senza le Brigate rosse, senza i morti ammazzati – più o meno celebri – di
quegli anni.
Un precario equilibrio, si è detto. Nell’immaginazione
di Marta Barone il padre, conosciuto (per) poco, assurge a entità mitica, ha i connotati
sfumati della leggenda, al punto che le sue frasi, spesso ricostruite per
bocche di terzi, suonano come imperativi morali, come fonte di una saggezza
perduta; ma anche, se consideriamo il presente nel quale leggiamo un passato
che per propria natura non può tornare, come una condanna definitiva, qualcosa
di irrecuperabile: «“Ho sprecato la mia vita. Ho sprecato la mia vita”».
La figura del padre, così
evanescente eppure reale, fa da contraltare alla nostra storia recente,
palpabile e fin troppo intensa. Un evento storico suona tanto più nefasto quando i protagonisti che l’hanno vissuto (o che ne sono stati attori) sono
ancora in vita: per questo le testimonianze sono indispensabili, per ricordare
che ciò che leggiamo sui libri di storia non è finzione letteraria. Così, avere
l’occasione di parlare con chi ha organizzato cortei e
scioperi, ha puntato pistole e ha conosciuto nostro padre assume una rilevanza fondamentale.
Immagino si possa uscire profondamente mutati al rientro da questo viaggio. Il
parallelo fra Marta Barone e Ulisse non è casuale.
Marta Barone, traduttrice e
consulente editoriale e autrice di tre libri per ragazzi, come leggiamo nella
bandella di destra, è riuscita nel difficilissimo intento di comporre un libro sofisticato e crudele, nel quale la storia
si mescola alla letteratura, creando un’atmosfera che sa di sogno, di diario di
bordo, di documento. Non uso mai l’aggettivo che sto per usare, ma non mi
nascondo dietro a un dito se affermo che Città
sommersa è veramente un testo necessario: necessario per capire che quello col
genitore è un rapporto molto più complesso di quanto possiamo immaginare e che dobbiamo affrettarci ad approfondirne la storia prima che sia troppo tardi;
necessario per conoscere quello che siamo stati in quanto italiani, in quanto proletari, in quanto genti di sinistra; necessario
per uscire spezzati da una lettura, e in fondo è tutto quello che si chiede
alla letteratura.
David Valentini
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