di Paola Zannoner
DeA, 2019
pp. 421
€ 17,00 (cartaceo)
€ 8,99 (ebook)
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Lo sai che una commedia un po’ è esperienza, un po’ è furto e un po’ è sogno. (p. 255)
Il nuovo, ambizioso romanzo di Paola Zannoner ci trasporta nell’Inghilterra del 1585, dove un giovane uomo è in grado di creare universi con la duttilità della sua voce e di distrarre la gente più semplice dalle inquietudini e le miserie del quotidiano. Figlio di un conciatore di pelli reinventatosi mercante, William legge il mondo come se fosse un canovaccio, ne individua le trame sottili, i gesti teatrali, le potenzialità drammatiche. A soli ventidue anni, già marito e padre, continua tuttavia a slanciarsi al di sopra della realtà a cui pare, deterministicamente, ancorato. I suoi pensieri si proiettano altrove, nel sogno, nella fantasia, rendendolo in qualche modo estraneo al suo stesso contesto d’origine:
E se la vita stessa fosse stata un sogno? Se lassù sul palco si animasse la proiezione dei pensieri più profondi e oscuri, e dunque fosse quella la vera vita umana? Come spiegarlo in un processo, come farlo capire a una famiglia di mercanti, terrorizzati dalla caduta degli affari e dal ritorno al vecchio stato di contadini miserabili e sempre affamati? (p. 16)
Quando una mattina, dopo una rappresentazione, alcune guardie armate, cupe e funeree come uno stormo di corvi, arrivano ad arrestarlo, l’evento appare quasi prefissato dalla sorte, preannunciato da segnali oscuri. Il giovane attore ha violato le leggi della regina, quella Elisabetta I oggetto di tanti mormorii e tante illazioni, continuamente minacciata da nemici palesi e nascosti. Non è però per la sua recitazione vagabonda e solitaria che l’uomo ha attirato su di sé le attenzioni di Sir Francis Walsingham, capo delle spie di sua Maestà: lui, come la regina, sa che la parola può essere un importante mezzo di condizionamento delle masse, che il teatro può diventare un punto di osservazione privilegiato sulla società. Ecco allora che il giovane William Shakespeare deve partire, per mettere la sua arte al servizio di una causa più grande.
Quello di Paola Zannoner è un libro che si prende il tempo di raccontare, di indugiare nella descrizione degli spazi, degli ambienti, degli odori della Londra cinquecentesca, senza volerne dare una visione idealizzata, anzi, rivelando l’intensa fase di ricerca e documentazione che ha preceduto la scrittura. La resa è vivida, sensoriale e immersiva per il lettore, che accompagna l’attore alla scoperta di un mondo nuovo, molto più grande di quello che aveva potuto conoscere a Stratford. Mentre la trama procede, con l’inserimento progressivo di William al Theatre di James Burbage, suo compaesano, dietro di essa emerge prepotentemente la Storia (i complotti di Maria Stuarda, la guerra contro l’Invincibile Armada di Filippo di Spagna, finanche la peste che si abbatte spietata su Londra). L’autrice ci offre un accesso immediato alla complessa rete di favori e intrighi che circonda la Corte inglese, ma anche ai rapporti non sempre facili tra poeti dai temperamenti dissimili e costretti a coesistere. Attivo contemporaneamente a Shakespeare, nel panorama artistico londinese, fu infatti anche Christopher Marlowe, che viene riportato in vita con il suo carattere spigoloso, l’animo irruente, la passione per il vizio. Marlowe è per William rivale, ma anche in qualche modo fronte dialettico, pungolo alla crescita, benché i due non possano concepire in modo più diverso la letteratura:
Lui non stava dalla parte degli eroi e dei condottieri, tantomeno se feroci come quel pazzo di Tamerlano. Era uno del popolo, e raccontava storie leggere, divertenti, d’amore e di burle, di travestimenti, magari di come dominare le signore arroganti che si divertivano con i sentimenti di artisti del suo stampo, gatte selvatiche con i deboli e gatte morte con i forti. (p. 138)
La trama si dilata spesso a formulare, per bocca del poeta, considerazioni sulla vita e sull’arte, sulla poesia e sull’amore. Grazie a un attento scavo psicologico, si ha così l’impressione di comprendere davvero il personaggio, il suo pensiero e la sua poetica, la sua evoluzione nel corso del tempo. Perché Il bardo e la regina è a suo modo anche un romanzo di formazione, che accompagna il protagonista alla scoperta di sé durante gli anni misteriosi della sua giovinezza (dal 1585 al 1595), tracciando un itinerario attraverso le opere e i versi, che si trovano spesso citati direttamente e di cui si ipotizza la genesi. Non si può dimenticare, del resto, che il titolo presenta due polarità, e rimanda quindi a due protagonisti: da un lato William, dall’altro la regina, una donna colta, volitiva, dall’animo indomito, “che considerava il teatro essenziale per il suo popolo, per rinvigorirlo” (p. 234), e a cui Paola Zannoner restituisce il suo ruolo dominante nel testo con una soluzione narrativa inaspettata e coraggiosa. Il teatro, infatti, nell’ottica di una donna intelligente e a tratti spregiudicati, può divenire “una forma di controllo sociale, [...] il racconto folle di ciò che i re decidono e compiono, ma in forma sublime, mitica, esemplare” (p. 214), e anche una importante strategia comunicativa che lega i regnanti ai sudditi.
Raccontare la storia di William Shakespeare, riempire con la fantasia i vuoti lasciati dalle fonti, diventa allora un modo per elevare un inno, una dichiarazione d’amore nei confronti della parola creatrice, ma anche di quel cambiamento radicale che Shakespeare, e come lui pochi altri funamboli della lingua, hanno saputo apportare nell’universo della letteratura e grazie al quale noi tuttora sogniamo:
Era una lingua nuova, pulsante e moderna, e offriva questo messaggio per il popolo: che non apparteneva più a sacerdoti o re o sapienti o filosofi l’invenzione dell’espressione umana, sia per i sentimenti sia della ragione, ma apparteneva alla gente comune. E quello era il nuovo teatro, globale, per tutti: per i nobili e per la plebe, per la grande varietà umana raccolta intorno all’arte, unita dalla fantasia. (p. 392)
Carolina Pernigo
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