"La voce del geco": imparare a vivere dai tetti di un condominio nel cuore di Lavagna

La voce del geco
di Aldo Boraschi
I libri di Emil, 2018

pp. 145
€ 13 (cartaceo),
€ 2,79 (ebook)

I colori di un’estate che muore, a Lavagna, placano la mente, setacciano i pensieri e portano alla luce l’essenziale. (p. 88)
Una doverosa premessa: io e Aldo Boraschi, autore di diversi romanzi tra cui La voce del geco, da qualche tempo siamo soci in una folle avventura editoriale; ed è nella libreria di un amico a cui occasionalmente vado a dare una mano che l’ho conosciuto, iniziando a leggerlo su suggerimento del libraio appunto. La severa “recensora” che sono, tuttavia, non si è mai lasciata intenerire nel giudizio da rapporti personali con gli autori e di sicuro non inizierà adesso. Un chiarimento necessario, quindi, prima di dire che La voce del geco - che a breve diventerà anche uno spettacolo teatrale per la compagnia artistica Tuttoattaccato - è un piccolo gioiello, dall’eco calviniana, di cui prima ancora della storia mi ha conquistato la scrittura, così puntuale, evocativa, curatissima.
Boraschi ricrea sulla pagina luoghi che io stessa conosco molto bene e sa renderli straordinari, fuori dal tempo, restituendo tutta la bellezza di quei carruggi, del mare d’inverno, della luce che si infiltra tra le persiane, dei tramonti di settembre «che ti salvano la vita», osservati dal tetto di una casa nel cuore di Lavagna, nel levante ligure. Racconta al lettore la favola dolceamara di Giusto, il figlio di un funambolo:
Sotto di lui c’era il figlio Giusto. Per lui quell’uomo al confine con il cielo era un gigante. Rischiava la vita per un piatto di lenticchie, ma, per dodici minuti, papà era un eroe. Un superuomo, uno di quelli che ti fa trattenere il respiro. Non importa se la carne si mangia una volta la settimana. Una vita romanzata; o meglio, romanzabile, se ci fosse uno scrittore che si interessasse a un povero funambolo. (p. 15)
Il padre e il circo sono il solo mondo che conosce e che ama. Quando tutto crolla, quando Giusto resta solo, ancora bambino, non c’è altra scelta che sparire, lassù sui tetti di un piccolo condominio nel cuore di Lavagna. E non scendere mai più a terra, lui stesso in qualche modo funambolo. È qui che Giusto trova la sua dimensione ideale e una forma di famiglia, “adottato” dagli abitanti del quartiere, mentre cerca – come tutti quanti, del resto – di imparare a vivere.

Intorno a lui, Boraschi crea un microcosmo di personaggi e storie che si intrecciano: un ex ciclista finito a vivere per strada, un giovane parroco con più di qualche dubbio sulla fede, un professore in pensione e la sorella, una badante e cuoca venuta dalla Lucania. Sotto quei tetti il peso di solitudini e antichi dispiaceri, di vite che non sono andate come ci si sarebbe augurati, di parole che mancano. È Giusto, in qualche modo, a dare un valore diverso a ognuno di loro, a farne una specie di famiglia, seppur strampalata, mentre cresce su quei tetti e si fa uomo. Perché no, così aveva deciso il giorno che era arrivato sul tetto, non sarebbe più sceso «sui selci del mondo». Meglio osservare la vita da lassù, vicino al cielo, non costretto dai muri entro cui ci rifugiamo, reali o metaforici che siano. Eppure, non sono forse muri quelli che Giusto mette fra sé e il mondo a terra? Quella forma di protezione che lo fa esitare e vivere davvero? Ci penserà Raimonda a mettere in discussione le “certezze” di Giusto, lei stessa in lotta con il proprio passato. Restare o scendere per vivere? 

Nella favola di Boraschi leggiamo le paure del diventare adulti, la ricerca del proprio posto nel mondo e di un antidoto contro la solitudine. E c’è, come ricorrente nella sua scrittura, una particolare sensibilità verso il mondo degli ultimi, degli emarginati, degli “storti” per citare il discorso di Elio Germano fresco di premiazione alla Berlinale del cinema, delle persone più comuni che possiamo immaginare e che la scrittura sa rendere straordinarie. Famiglia, di sangue o per scelta, affetti, solitudini che si incontrano e infrangono, sentimenti: sono queste le occasioni minime della letteratura, con cui non ci stanchiamo mai di confrontarci, osservandole da nuovi punti di vista e significati. Magari da lassù, dal tetto d’ardesia di un borgo ligure. Ecco che questo angolo di Tigullio stesso è protagonista della storia, prepotente nel prendersi lo spazio sulla pagina, mai così vero e bello:
I colori di quel tramonto, quel giorno, scivolavano nel crepuscolo grigio del cielo e l’aria odorava di mare. Giusto riuscì a carpire ancora una timida occhiata di luce, a ponente, dove il sole depositava una fredda striscia di fuoco sul monte di Portofino. A oriente, il promontorio di Sestri aveva la forma sinuosa e allungata di una barca capovolta davanti alla Baia del Silenzio: un quadro di un paesaggio mediterraneo incorniciato da una luce abbagliante. (p. 22)
E quella normalità della vita che scorre ai piedi di Giusto, una «banalità quasi romantica» eppure inafferrabile da lassù. Sono le nostre paure, le parole che a volte mancano, i dubbi che bloccano e non ci fanno scendere, moderni Cosimo di Rondò. A osservarla da quel tetto, la vita, la città, è bellissima. Viverla, è molto più difficile. Eppure, necessario. Anche a costo di perdere l’equilibrio.


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«Trovò quella scena di una banalità quasi romantica. La normalità, ecco, la normalità» Giusto osserva la vita dai tetti di un condominio nel cuore di Lavagna, piccola cittadina nel levante ligure. Non è mai più sceso da quando suo padre è morto e su quei tetti ha trovato rifugio. E forse la vita è più facile a osservarla da lassù. Tra favola e romanzo di formazione, @aldoboraschi racconta una storia che è anche canto d’amore per quel pezzetto di Liguria e che la nostra @deboralambruschini ha ritrovato sulla pagina con inatteso piacere. Per scoprirne di più, non perdetevi domani pomeriggio la recensione! #LaVoceDelGeco #AldoBoraschi #book #bookstagram #booklover #bookphotography #bookquotes #quotes #quoteoftheday #bookblogger #instabook #instalibri #libri #leggere #leggeresempre #leggerechepassione #laculturanonsiferma #lavagna #romanzo
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Debora Lambruschini