Cercasi Basquiat disperatamente
di Ian Castello-Cortes
traduzione di Daniela Magnoni
L’ippocampo, 2019
pp. 128
€ 12,00 (cartaceo)
di Ian Castello-Cortes
traduzione di Daniela Magnoni
L’ippocampo, 2019
pp. 128
€ 12,00 (cartaceo)
Dalle stalle alle stelle e ritorno: potrebbe essere questo uno dei modi per raccontare la vita e la carriera del pittore Jean-Michel Basquiat (New York, 22 dicembre 1960 – 12 agosto 1988), astro precoce e radiantissimo del firmamento americano destinato a brillare di luce sfolgorante e a spegnersi troppo presto con la più irreversibile delle implosioni. Come per molti personaggi famosi tristemente iscritti al “Club 27”, anche questo enfant – tanto prodige quanto terrible – se ne andò dal mondo senza avere compiuto i trent’anni; forse, chissà, perché “caro agli dei”, e certamente perché vittima dei suoi stessi demoni. Ian Castello-Cortes gli ha dedicato un volume – Cercasi Basquiat disperatamente, pubblicato nella sua versione italiana da L’ippocampo – con l’intenzione di ripercorrerne vita privata e carriera in senso topografico. Un approccio che non prevede chissà quali spostamenti in giro per il mondo, a dire il vero, e che anzi, nell’aggirarsi sostanzialmente tra quartieri metropolitani, locali notturni, gallerie d’arte e musei restituisce l’essenza di una biografia al limite del claustrofobico, una storia molto made in USA lontana intere galassie dalle atmosfere edeniche naturali tipiche delle originarie isole haitiane.
Le sette tappe in cui l’autore ha voluto scandire la trattazione hanno titoli evocativi, e basta già una rapida lettura per rilevare come la cifra esistenziale del pittore sia stata proprio la predestinazione: Un’infanzia molto breve, L’uomo giusto al momento giusto, L’ebbrezza del successo, Boom Boom Boom, Finalmente Warhol, Dal Boom al Bang, Vita oltre la morte. Ma, come si diceva, c’è quasi sempre e solo America nella vita di questo giovane uomo alla perenne ricerca di sé e di un sollievo di sé. Negli Stati Uniti Jean-Michel nasce, esordisce come SAMO©, diventa Basquiat e infine muore; negli Stati Uniti conosce il degrado e la marginalità, e grazie a una serie di colpi di scena e di fortuna incoraggiati dalla sua profondissima ambizione si ritrova ben presto dall’altra parte della barricata: addio muri di città e vagoni della metro, benvenute gallerie prestigiose e locali esclusivi. Un mondo rampante, patinato, in ascesa: un mondo per cui l’arte è più che mai un business come un altro, in cui si compra e si vende al migliore offerente e in cui i guadagni e le perdite si alternano allo stesso ritmo delle euforie e delle depressioni. Un mondo, neanche a dirlo, le cui vette vertiginose, con il loro implicito corollario di vizio nella fattispecie di alcol e sostanze stupefacenti, inducono a inevitabili cadute gli animi più vulnerabili, manipolabili e sprovveduti. Come quello di Basquiat, per l’appunto, che tra picchi e abissi si ritrova a vivere una sua personale stagione all’inferno fatta di lusso e sperpero (di denaro e soprattutto di se stesso). Fino all’epilogo più tragico e per certi versi più scontato, che lo vuole morto di overdose nel suo loft di Manhattan, al numero 57 di Great Jones Street.
Quella proposta da Ian Castello-Cortes è un’indagine topografica minuziosa: in una vita sostanzialmente priva di veri e propri spostamenti – fatta eccezione per alcune tappe esotiche più o meno formative, evasive o fallimentari, e soprattutto per l’importante viaggio a Modena che coincise con la prima personale dell’artista organizzata da Emilio Mazzoli – l’autore è consapevole di come le distanze a cui badare fossero quelle che separavano l’artista da un capo all’altro di New York. Ecco perché nel descrivere La Brooklyn di Basquiat e La Manhattan di Basquiat l’accento cade sulle implicite dinamiche di censo, di classe e di razza legate a quartieri da interpretare ora come ghetti ora come possibili Eldorado, all’ombra di una gentrificazione spietata descritta nel suo albeggiare. Basquiat, che peraltro vive nel mito di Andy Warhol e che per un certo periodo riesce a instaurare con lui un rapporto artistico e sotto molti aspetti filiale, è “il gallo dalle uova d’oro” di art-dealer che ne vendono le opere a cifre folli (tutto denaro puntualmente speso in lussi futili o in eccessi autodistruttivi) sia l’anima di una festa perenne e fine a se stessa, in cui non c’è più differenza tra ciò che può accadere in un night club alla moda e ciò che può precedere e seguire l’allestimento di una mostra importante. A questo proposito Ian Castello-Cortes ricostruisce il percorso espositivo con quattro planisferi (Viaggi e mostre 1981-1983, Viaggi e mostre 1984-1987, Basquiat: 1988-l’ultimo anno, Dov’è Basquiat?) che rendono conto del successo (specialmente post-mortem) e del grande paradosso che l’artista si trovò a vivere in vita: considerandolo un graffitaro presuntuoso e sopravvalutato dal mercato, i più grandi musei non vollero mai acquistare i suoi lavori, mentre adesso che tanto li vorrebbero nelle loro collezioni possono permetterseli solo in qualità di prestito. Un contrappasso beffardo, capace di restituire con gli interessi e con freddezza di calcolo quello stesso cinismo speculativo che, tra le altre cose, non aveva esitato a costringere il pittore in una gabbia dorata (alla lettera: lo scantinato della galleria di Annina Nosei al numero 100 di Prince Street, a Soho) affinché non avesse altro da fare che emettere il proprio migliore e costosissimo canto.
Dopo quelli dedicati a Banksy, Frida Kahlo e David Bowie, Cercasi Basquiat disperatamente si propone come quarto volumetto “tra cotanto senno”: l’interesse per le controculture contemporanee da parte di questa collana nella collana e dello stesso Ian Castello-Cortes non ha difatti deviato rispetto alla direzione inaugurata con lo street artist più importante e misterioso del mondo, proseguita con la pittrice messicana divenuta essa stessa icona dell’anticonformismo e con il performer più eclettico e provocatorio del Ventesimo secolo. Oltre che per un puro sfizio collezionistico – tale è la cura nella confezione di questi libricini in irresistibile formato pocket da farli desiderare tutti a prescindere nella propria libreria – quest’ultima pubblicazione L’ippocampo sarà utile agli estimatori di Basquiat per la sua capacità di fermarne in qualche modo, sebbene a posteriori, la nota irrequietezza. Seguire gli spostamenti su questa terra da parte di uno degli ultimi veri geni del Novecento non è solo un esercizio storico e biografico, perché mai come in questo caso mette di fronte alla consapevolezza di come il “sistema” dell’arte sia stato e sia ancora capace di annullare a tempo di record le distanze tra marginalità e centro della scena, con conseguenze determinanti (e non di rado disastrose) da ogni punto di vista. Il percorso del fu Jean-Michel, così emblematico di quello smarrimento di sé pur sempre implicito in ogni destino segnato dal motto per aspera ad astra, ne fa assimilare la linea della vita a quella di una parabola tragica, e ricorda quanta vera disperazione possa celarsi dietro alla ricerca della propria identità e del proprio posto nel mondo.
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