Un punto di approdo
di Hisham Matar
Einaudi, 3 marzo 2020
Traduzione di Anna Nadotti
pp. 128
€ 16 (cartaceo)
€ 7,99 (ebook)
Quel giorno Siena mi appariva intima quanto un medaglione da portare al collo, e tuttavia complicata come un labirinto. Mi riparava completamente dall'orizzonte. (p. 48)
Quando Hisham torna all'arte senese sono passati venticinque anni da quel primo straordinario incontro alla National Gallery, nel 1990: sarà che Hisham arrivava provato dalla sparizione del padre, sequestrato dalla polizia segreta libica, sarà che nell'arte ha trovato subito un conforto che travalica il mero soddisfacimento estetico e va oltre...
Il protagonista stringe, infatti, con le pitture - e in particolare con l'arte senese - un rapporto strettissimo e intimo: interroga i quadri per i loro soggetti, per la scelta di profili (come quello dell'arabo che vediamo in copertina, presente nell'Allegoria del Buon Governo di Lorenzetti al Palazzo Pubblico di Siena), si chiede chi fossero i modelli a cui si era ispirato l'artista e cosa volessero rappresentare. Ecco perché davanti alle opere Hisham sosta per tanto di quel tempo da attirare l'attenzione delle guardie del museo, che gentilmente iniziano a riconoscerlo e a offrirgli una sedia. Ma una sedia è una nuova prospettiva da cui guardare l'opera, e dunque nuove domande e altri e più vivaci agganci alla propria vita.
Sebbene il passato riemerga, anche se per allusioni più che per lunghe parentesi, il presente a Siena ha la meglio: è un viaggio che permette all'uomo di perdersi e di ritrovarsi, di mettersi alla prova in un periodo di solitudine, per poi scoprire che in realtà la fratellanza e la curiosità per le altre persone sono sempre dietro l'angolo. Letteralmente per strada, infatti, Hisham incontra un uomo arabo, Adam, che subito si mette a disposizione e si offre come punto di riferimento per il protagonista. Ecco, allora, un'idea di accoglienza straordinaria e una condivisione che va molto al di là della semplice e superficiale gentilezza.
Insomma, Siena offre a Hisham ciò che stava tanto cercando:
Ciò che desideravo, come uno scalpellino che affila lo scalpello su una pietra grezza, era semplicemente levigare me stesso sugli spazi e le pietre della città. (p. 47)
Non a caso anche in questa citazione compare una similitudine: si tratta dell'unica forma di vezzo, sempre in chiave lirica, che l'autore si concede all'interno del testo, che altrimenti presenta una prosa asciutta, mai subordinativa, anzi estremamente chiara. La parte onirica, semmai, è quella che si ha quando ci si trova davanti all'opera d'arte e ci si permette di astrarsi da tutto, per viaggiare in un altrove che non conosce tempo, né limiti d'immaginazione. Un esperimento interessante di intreccio tra autobiografia e storia dell'arte, nonché esempio singolare di diario di viaggio e guida alla scoperta di una città che non smette mai di essere una bizzosa accentratrice di sguardi.
GMGhioni