L’uomo
perduto
di Jane Harper
traduzione di Claudia Valentini
Bompiani, 2020
pp. 432
€ 19,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Facendo correre le dita sulla pietra liscia si riusciva a cogliere una parte della data incisa sulla lapide. Uno, otto e nove, 1890 e qualcosa, forse. Solo tre parole si leggevano ancora. Erano state scolpite in basso, in un punto riparato dagli elementi. O forse erano state incise più in profondità fin dall’inizio; un messaggio ritenuto più importante della persona. Si leggeva:
che si smarrì. (p. 7)
Sin dalle prime pagine, due
sensazioni si stagliano ben concrete davanti agli occhi del lettore: la prima è
che ci ritroviamo davanti un thriller ben costruito, la seconda è che avremo a
che fare con un personaggio “occulto” che, dall’inizio alla fine, accompagnerà
le sorti della famiglia Bright.
Inizio senza troppi giri di parole confermando
subito quanto riportato nella bandella di destra: io non sono un amante di
fascette e dei vari endorsement che
popolano fin troppo spesso le copertine dei libri – li trovi stucchevoli e sempre
troppo lusinghieri –, eppure per una volta mi
trovo d’accordo con People quando
afferma che «di rado un enigma così complesso torna con tale perfezione». L’uomo perduto è infatti un esempio ben riuscito di
come ogni elemento del romanzo, se messo nella giusta quantità – quel q.b.
che tanto fa impazzire i cuochi della domenica come me –, inserito nel momento
adeguato e amalgamato insieme agli altri in modo da scomparire nel grande
impasto della trama, possa risaltare alla perfezione nella compiutezza finale dell’opera. Il romanzo di Jane Harper è un caso
eclatante di come si possa costruire un thriller in cui tutti i pezzi sono sul
piatto ma, nonostante tutto, la fine riesce ad arrivare inaspettata e – diamine! – a sorprendere.
Appassionarsi alle vicende della famiglia Bright, poi, è un
attimo; empatizzare col protagonista Nathan è quasi inevitabile poiché l’autrice
ce lo presenta come umano, fin troppo umano. Il suo arco di trasformazione è
inevitabile – è pur sempre narrativa, non la vita vera – eppure, quando il
cerchio viene chiuso, non rimane in bocca quel sapore di déjà-vu che tanto
rovina a volte anche le migliori letture col suo retrogusto aspro. Mentre i
vari tasselli vanno al proprio posto per completare il puzzle e da lettori
raggiungiamo il finale, ciò che si prova è un senso di completamento e giustizia. Tutto
è proprio come sarebbe dovuto essere: i conti col passato vengono sistemati, il
presente acquisisce un senso tutto nuovo e il futuro – di Nathan, di Ilse, dei
membri della famiglia – appare un po’ meno cupo. Si volta l’ultima pagina
e si fa un bel respiro consolatorio. Cala il sipario e ce ne torniamo a casa soddisfatti.
Per quanto concerne invece il
personaggio “occulto” a cui si accennava all’inizio, invece, lo troviamo sin
dalla primissima riga, quando leggiamo che «Dall’alto, da lontano, i segni
nella polvere formavano un cerchio stretto» (p. 7); e lo ritroviamo alla fine,
quando usciamo fuori, nella «luce accecante del sole» (p. 422). La polvere, il
sole, la terra arida, l’arsura, la pelle spaccata: il protagonista occulto e onnipresente
dell’Uomo perduto è l’outback, quella enorme distesa semidesertica
delle regioni centrali australiane. È un territorio impervio, aspro, letale, all’interno
del quale ci si deve muovere con prudenza per avere la certezza di tornare a
casa vivi, ogni giorno. È un territorio ostile che unisce anche i nemici –
il nemico del mio nemico è mio amico – e crea un forte senso di comunità perché
tutti gli uomini hanno bisogno di salvezza e prosperità. È un territorio che
genera leggende e affonda le radici nel mito, e Jane Harper riesce a
evocarlo così bene che persino il lettore italiano riesce a immaginarselo in
maniera vivida, a percepirne il calore, a temerne l’immensità selvaggia. Durante
la lettura, in ogni pagina, in ogni riga, dobbiamo ricordare che l’outback è là fuori, pronto a reclamare ciò
che gli uomini solo temporaneamente hanno preso in prestito. Nell'outback il sole ci acceca di giorno, mentre la notte è nera come il nulla.
Jane Harper ha costruito un thriller
avvincente e spietato nel quale ha inserito una buona dose di nichilismo
e cinismo, ma che ha anche saputo condire con un romanticismo al limite della
disperazione eppure per niente banale. L’uomo
perduto è un gran bel libro, da leggere con timore e tremore.
David Valentini