La parte migliore degli uomini
di Tristan Garcia
NN editore, 2020
Traduzione di Marcella Uberti-Bona
Prima edizione: 2011
pp. 288
€ 18 (cartaceo)
€ 7,99 (e-book)
«Avevo ragione, bisogna essere capaci di sbagliarsi per bene, e allora... Sono sempre andato controcorrente, sai. Quando giocavo a calcio e dovevo tirare un rigore, pensavo che il portiere si sarebbe buttato a sinistra, e che quindi avrei dovuto tirare a destra. Poi pensavo che il portiere alla fine avrebbe pensato che io volevo tirare a destra, e che allora dovevo tirare a sinistra. Ma se lui capiva che volevo fare il contrario, io dovevo fare il contrario del contrario, cioè tirare proprio dove lui si aspettava. E così tiravo a destra, ma dietro il tiro c'era tutta questa riflessione, capisci?» (...) «Sono sempre andato controcorrente, Liz, sono sempre stato inopportuno...bisogna sempre essere inopportuni rispetto alla propria epoca, sai» (pp. 22-23)
Ho capito ciò che mi ha spinto a leggere questo libro soltanto dopo averne sfogliato l'ultima pagina, dopo aver "metabolizzato" il bellissimo messaggio nascosto nelle sue righe finali. Ma andiamo con ordine.
Questa storia inizia nel 1989, quando il giovane William Miller proveniente dalla città di Amiens giunge a Parigi e si interroga su chi sia e su quale sia il suo posto nel mondo.
Il muro di Berlino è appena crollato («Da quale lato è caduto, eh? Lo sai tu» chiede William), il mondo sembra colmo di nuovi ideali pronto a rimpiazzare le ormai vecchie ideologie svuotate del loro senso, sul punto di imprimere una svolta vitale e inaspettata a tutti coloro che sapranno cogliere le innumerevoli opportunità.
In questo scenario incredibile, William conosce il corso Dominique Rossi, fondatore di un'associazione di attivisti omosessuali, e intreccia un amore con lui, che è anche amico di Jean-Michel Leibowitz, filosofo e professore universitario estremista e amante di una sua ex studentessa. E sarà proprio quest'ultima, Elizabeth "Liz" Levallois, giornalista di "Liberation", la voce narrante di questa storia, colei che tenta di trovarvi un senso accompagnando il lettore nelle vite di questi giovani uomini il cui percorso si imbatterà in una malattia terribile che esploderà in quegli anni: l'AIDS.
Con l'avvento di questa piaga che miete moltissime vittime ognuno dei protagonisti reagisce a modo suo: William diviene uno scrittore molto in voga, si scatena nei locali gay e contrae il virus, ma è convinto che la prevenzione sia solo un ostacolo sulla strada del piacere («I giovani vogliono solo spassarsela, e tutti muoiono senza dire niente, sussurrano per non dare fastidio», dice a Liz), e avversa le idee di Dominique, profondamente convinto che la sola strada per evitare il dilagare di questo flagello sia avere dei rapporti protetti, mentre nel frattempo Jean-Michel fa carriera, arriva in un ministero e continua la sua relazione con Elizabeth.
Sotto i nostri occhi vediamo scorrere la storia della Francia e intrecciarsi a lei gli eccessi, le lotte, le passioni dei protagonisti, mentre non possiamo fare altro che domandarci dove realmente si celi la parte migliore di noi tutti.
A proposito del suo romanzo d'esordio (uscito in Italia nel 2011 per Guanda) l'autore francese Tristan Garcia, nato a Tolosa nel 1981, ha detto in un'intervista:
"Ho letto American Psyco di Bret Eston Ellis e avevo l'impressione di questa specie di grande bianco fra, possiamo dire, il 1979 e la caduta del Muro, nel 1989, e mi sono chiesto: ma cosa è successo? (...) E per me e per la mia generazione era molto importante, perché eravamo quelli che venivano dopo (...), venivamo dopo questa specie di vuoto, e non sapevamo cosa fare (...). Il primo obiettivo è stato tentare di fare qualche cosa su questi anni di vuoto (...), il secondo livello è stato dirmi beh, ci sono delle persone alle quali sarà ben successo qualcosa in quel periodo: [ed era] la comunità gay".
Anche io ho avuto l'impressione che questo racconto costituisse il tassello di un puzzle di Storia moderna troppo a lungo taciuto, che per le atmosfere, per i temi trattati e per le persone coinvolte mi ha ricordato moltissimo il film del 1993 Philadelphia (con la regia di Jonathan Demme), nel quale uno straordinario Tom Hanks dà volto e corpo ad un giovane avvocato malato di AIDS.
Pensare, però, che La parte migliore degli uomini sia solo un libro sulla malattia sarebbe riduttivo, perché in questa storia corale si trovano in nuce già tanti dei temi che acquisiranno spazio negli anni 2000, su tutti le trasformazioni politiche e sociali, oltre alla crescente importanza che verrà attribuita al denaro, all'apparenza...
«E se io sono colpevole di essere malato, i responsabili siete voi! Amare è un nostro diritto, salvarci è un vostro dovere» (p. 43).
Di questo libro non posso fare a meno di elogiare la splendida copertina, nella quale spicca una bellissima fotografia di Ed Freeman, e l'importanza che la NN editore giustamente tributa al revisore dell'opera, Marianna Gennari, attraverso alcune pagine finali che spiegano alcune scelte inerenti alla traduzione di determinati vocaboli.
Forse mi aspettavo qualcosa di diverso da questo libro, mi aspettavo una storia d'amore ambientata in un tempo che appare lontano da noi, ma che in realtà ha molti tristi punti di contatto con l'attualità, quali il dilagare di una malattia.
Pensavo di trovarvi l'amore nel senso più romantico, invece ho scoperto anche tutto quello che resta quando l'amore finisce, le ceneri (e nel libro si parlerà davvero di ceneri) di un rapporto del quale ormai si sono smarriti i ricordi felici, rimpiazzati dal dolore, dall'incomprensione e dall'aridità.
La parte migliore degli uomini è comunque un racconto che vale la pena di leggere, sia per il prezioso documento storico che ci regala che per l'intenso ultimo capitolo nel quale l'autore spiega il perché del titolo. È proprio nelle pagine finali del testo, come si era accennato all'inizio, che tutte le componenti della storia trovano la giusta collocazione e i lettori riescono a trovare il collante di una vicenda a tratti frammentaria, ma comunque ben scritta.
Allora ci si ritrova di fronte al fatto che in realtà esistono miliardi di esseri umani, e noi eravamo solo quattro fra tanti. Numerosa com'è, l'umanità sembra del tutto piatta, paragonata a quella parte così piccola che ha occupato la parte migliore della nostra vita. E per rituffarsi in mezzo alla moltitudine, infine, non c'è forse un'unica lezione da imparare da quella minuscola parte? Cosa non darei per una lezione, e una voce che mi dicesse cosa conservare di ciò che se ne va...purtroppo non vedo nessun altro, oltre a me, che possa dirmelo; e allora ci provo io.
Ilaria Pocaforza
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