di Peppe Millanta
Ediciclo editore, 2020
pp. 96
€ 9,50 (cartaceo)
€ 4,99 (ebook)Le nuvole non hanno una forma, eppure contengono tutte le forme del mondo. Per definirle dobbiamo paragonarle ogni volta ad altro. Dobbiamo sforzarci di trovare somiglianze, assonanze, similitudini, se vogliamo anche solo indicarle. Per questo sono l’elemento naturale che più si avvicina alla metafora e al discorso metaforico. Sono, potremmo dire, l’atto poetico della natura. (p. 36)
È su questa associazione un po’
azzardata ma decisamente creativa che si concentra il breve saggio di Peppe
Millanta, già affacciatosi nell’ambiente letterario con quel Vinpeel degli orizzonti (Neo edizioni,
2018) che tanto ha fatto parlare di sé (e anche io ne
ho parlato qui fra le pagine di Critica
Letteraria).
Rivolgendosi direttamente al lettore
con tono amichevole e fraterno, Millanta si concede il massimo della libertà. Sa
di non dovere niente a nessuno e che non ha bisogno di fondamenta
scientifiche per costruire associazioni, improvvisare collegamenti, spaziare
fra scienza, religione e letteratura tenendo il piede in tre scarpe. Il suo è
un atto poetico, appunto, ma anche di ribellione metaletteraria: Millanta
intende narrarci qualcosa e insegnarci qualcos’altro ma lo fa senza salire
sulla cattedra e senza scendere nei laboratori. Decide di optare per questa
terza via, tagliando trasversalmente tutto l’ambiente accademico e fregandosene
dell’effettivo stato delle cose, e nel farlo è ben conscio di star affiancando
nomi storici e nomi biblici senza alcuna pretesa di verità: l’Adamo da
lui evocato in qualità di legislatore universale – colui che, per concessione
divina, assegna i nomi alle cose tutte – non è il vero Adamo della Genesi né tantomeno una precisa figura storica, bensì un insieme di
figure che non hanno titolo né presenza nel palcoscenico dell'umanità e che, rappresentando piuttosto i primi Sapiens agli albori della
civiltà, attraverso la fuoriuscita di fiato dai propri corpi hanno cominciato a
indicare le cose intorno e a dar loro un’identità. Nominare le cose è possederle,
dopo tutto, anzi di più: dominarle.
Sembra quasi di sentire gli echi del
Cratilo di Platone, quel
bellissimo dialogo in cui si parla dell’origine dei nomi, se non fosse che il
focus viene subito spostato altrove, sul “problema” di nominare qualcosa che non ha
forma, di mutevole, così evanescente da far dubitare quasi della
sua esistenza: le nuvole, appunto. Da qui, l’atto poetico, la necessità di “inventare”
(i virgolettati vengono giocoforza perché resiste sempre il bisogno di non farsi prendere troppo sul
serio) la metafora per poter parlare di qualcosa che non si può definire altrimenti. Torniamo dunque alla creazione, a quell’atto poetico nel senso proprio
del termine, un atto tipicamente umano e che tanto rende simili alla
divinità della Genesi.
Il libro di Millanta non mira soltanto a raccontarci la storia delle nuvole attraverso i suoi occhi. C’è
un secondo livello di lettura del testo che non è più di ordine, diciamo,
gnoseologico, bensì morale. Seguire la rotta delle nuvole, queste entità che
rappresentano al contempo la libertà e l’atto poetico/creativo, vuol dire in
qualche modo seguire il loro esempio. E dunque, se l’atto
poetico/creativo è libero vuol dire che stiamo giocando. Il gioco – come la
danza, e qui verrebbe di tirare fuori Nietzsche ma si andrebbe fuori tema – è appunto
l’atto creativo per eccellenza: è lì che, fuori da ogni schema, da ogni
costrizione, da ogni meccanica storica, tutti – i bambini come i grandi – sono
liberi. La libertà delle nuvole è dunque la libertà degli uomini: la libertà di
creare, di dare nomi alle cose, di non fermarsi in un luogo, di stravolgersi e
mutare. In altre parole: di cambiare.
Con il cambiamento e il bisogno di
abbracciarlo si arriva a chiudere quel cerchio aperto con Vinpeel e si ritrova il
Peppe Millanta dell’esordio: è qui, forse, che l’autore dismette il ruolo
di amico e fratello per assumere connotati più paterni, pur evitando per fortuna i
toni paternalistici. È un tema sempre delicato – a volte abusato – quello del
cambiamento, qualcosa che è connesso con parole come resilienza, che, sempre per fortuna, non vengono usate. È un tema abusato, è vero: eppure risulta (fin troppo) necessario ricordare a tutti, in periodi cinici e
cupi come questi, che c’è altro oltre il nostro naso: c’è il non conosciuto, l’estraneo,
lo straniero, ciò che viene da lontano, l’inaspettato. Ci sono cose che non
sappiamo e che compaiono nella vita senza che lo vogliamo, magari anche portando uno scompiglio indesiderato.
C’è però anche una parola bellissima
che mi sento di usare pensando a questo scompiglio e alle ultime pagine della Rotta delle nuvole. Una parola che credo ben riassuma, anche a
livello di suoni, questo bel libriccino.
Serendipità.
David Valentini
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