di Sandro Bonvissuto
Einaudi, febbraio 2020
pp. 187
€
18,50 (cartaceo)
€9,99 (ebook)
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L’androne
delle case come rifugio per i collezionisti di figurine. L’arrivo di un giocatore
brasiliano. Una trasferta al seguito dei propri beniamini. Tanto calcio, ma non
solo calcio. Sandro Bonvissuto, dopo il convincente esordio con “Dentro”, alla
sua seconda prova conferma di essere penna dalla descrizione giusta al momento giusto e di saper miscelare come in
un alambicco acidità e ironia in un’unica soluzione.
Quando
poi incrocerete il bar del quartiere dov’è cresciuto il protagonista di questo
romanzo, vi troverete a essere avventori accanto ad altri avventori. Non basta
consigliare, infatti, di leggere il capitolo. Si deve semmai dire: entrateci e
state attenti ai tavolini, occhio a dove mettete i piedi. C’è un ambiente che esce dalle pagine e
plasticamente diventa tridimensionale.
Ci sono
due personaggi di prima grandezza: il padre e lo Zio. Che non è parente di
sangue, altrimenti andrebbe scritto “zio”, con la lettera minuscola, ma molto
di più. C’è un bambino che sente per la prima volta pronunciare da un adulto la parola “scudetto” e per questo i
grandi che lo accompagnano in quel frangente, gli immancabili padre e Zio,
reduci di una generazione maledettamente fatalista, perché incrostata dalle
sconfitte, lo prendono da parte, lo strattonano e gli chiedono se per caso ha
capito davvero quello di cui stavano discutendo. E lo trattano come il
testimone di un fatto di sangue da eliminare. D’altronde con la scaramanzia non
si scherza. È questione d’amore e la vita comincia proprio quando s’inizia ad
amare. Prima è una fotografia indistinta neanche supportata dai ricordi.
Anche
Barabba è un altro imprescindibile tassello e da maestro di vita si fa mediatore
di tanti richiami sul numero 5. Io lo conosco il motivo dell’importanza del 5 in questa storia. Io so chi
indossava quella maglia giallorossa nei
primi anni Ottanta. Ma non per tutti è così. Questo libro meriterebbe
lettori anche agnostici di calcio, ecco perché mi sento di affermare che sul 5
si è insistito troppo.
Certo, a
Roma non sarà più lo stesso dopo che è diventato il segno distintivo di Paulo
Roberto Falcão (mai nominato. Al pari della Juve peraltro). Er pilota, come primo epiteto dato dai
tifosi romanisti, appena sceso dall’aereo. Pare avesse un portamento da
fuoriclasse dell’aviazione più che del terreno di gioco. Er volante, il ruolo
immaginario che gli ritaglia un tifoso competente dell’Olimpico. L’avvocato, come lo definisce invece lo
Zio dopo averlo sentito parlare in una trasmissione di attualità a Rai 2.
Sapeva destreggiarsi con le parole oltre che con i dribbling.
Ho letto
questo libro e mi sono trovato dinanzi a una vetrata. E dall’altra parte c’era
un bambino. Ho potuto seguirlo mentre camminava, mangiava, rideva, tifava,
attraversava la strada, parlava con mamma, bella nella sua pretesa costante di
riscatto sociale, con il nonno, con gli amici. E tutto ruota attorno a un concetto,
la squadra del cuore, che diventa metafora di un amplesso e di un riscatto non
solo sportivi: perché servirà al bambino a “uccidere” la generazione dei padri
e degli Zii, ma è sempre stato così e in qualche modo chi viene dopo ha sempre da compiere un gesto definitivo per
liberarsi dai fardelli e consentire al mondo di avanzare di un passo.
Ho visto
Sandro Bonvissuto rivendicare il diritto alla gioia. Rumorosa come migliaia di
voci che gridano goal! O di clacson in un corteo. E gli ho voluto ancora più
bene. Perché è stato un po’ come ritrovarmi
in pantaloni corti, con gli album e i doppioni da scambiare, in attesa della
radio accesa la domenica. Sono sicuro che, a prescindere dai colori per i quali
tifate, farà a chiunque lo stesso effetto.
Marco Caneschi
Marco Caneschi
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