di Marta Cai
Sui generis, 2019
pp. 256
€ 15,00 (cartaceo)
€ 4,99 (ebook)
Infatti, quindi, allora. Quanto ci affanniamo a legare le parole fra loro, a costruire sistemi autoreferenziali. Che spreco di cerniere, di bottoni, di ganci verbali. A proposito, la crema ha macchiato il bavero della mia giacca di velluto liscio color melanzana. Sembra rigurgito di neonato, del figlio che difficilmente avrò. (p. 98)
Noi esseri umani siamo enti a se
stanti ma non viviamo isolati, anzi: sono proprio le relazioni che
intratteniamo con gli altri a fare di noi ciò che siamo. I rapporti
con la madre, col padre, gli amici e gli affetti ci formano, ci donano un’identità.
Siamo identità per differenza, laddove quest'ultima è da intendersi
rispetto a quelli che, in psicologia e in sociologia, vengono definiti gli “altri
importanti”, ossia coloro con i quali stringiamo relazioni intime in grado di
influenzare significativamente la concezione che abbiamo di noi stessi.
Alla base della raccolta di racconti
di Marta Cai c’è proprio questo concetto di relazione nel suo significato più
ampio e rilevante. Per comprendere appieno il mondo interiore dei protagonisti
degli otto racconti di Enti di ragione
è infatti indispensabile tenere a mente come le relazioni – con una ex
fidanzata, un figlio, una sorella, un’amante ecc. – li abbiano (tras)formati; anche durante un’età, come la maturità, in cui si crede che non vi
sia più spazio per il cambiamento.
Le relazioni che intrattengono con gli altri non esistono, sono
appunto enti di ragione, eppure sono proprio queste a decostruire e ricostruire il loro sé e a renderli uguali e diversi come il fiume di
Eraclito. La verità emerge immediata e sorprendente, una perfetta serendipità:
guardandosi indietro – l’uomo è un animale che si guarda indietro, nel passato,
per capire ciò che ha davanti, il presente – non riescono quasi più a ritrovare
le persone che sono state; faticano a trovare un punto d’appoggio sul quale
fare leva, una prospettiva per rileggersi ancora una volta. È il potere del
cambiamento: ciò che è stato, anche se si tratta di noi stessi, ci appare già
lontano ed evanescente come il fumo che resta dopo un falò. E siccome non solo guardiamo
indietro ma amiamo anche farlo – amiamo coltivare quel sentimento caldo e
micidiale che risponde al nome di nostalgia –, ci ritroviamo a volte a
percorrere sentieri già battuti nella speranza, a volte implicita, di tornare
là dove siamo stati felici. Tutto questo emerge con letale prepotenza
soprattutto nel finale del terzo racconto, Se
si può si fa, nel quale una stanza d’albergo assume un’importanza
strategica.
C’è da dire poi che la penna di
Marta Cai è al contempo contorta e affilata. È una penna eclettica, che si diletta a
scendere nel melmoso della lingua italiana per poi risollevarsi e volare alta,
utilizzando un linguaggio anche aulico e complesso, nel quale a tratti si
rischia di smarrirsi. È proprio la struttura dei periodi, a cui va aggiunto il
notevole coraggio dello scavare fra i vocaboli e i sinonimi, a rendere la
lettura non sempre semplice eppure affascinante. Quella di Marta Cai è una scrittura
che potrebbe narrare qualsiasi cosa, tant’è che a volte ciò che dice risulta meno
avvincente del modo in cui lo dice; o meglio, è forse il caso di dire che il suo eloquio è mesmerico e sa ammaliare anche quando l’argomento
trattato risulta poco brillante.
In effetti non
accade molto nei suoi racconti. Il mondo interiore dei personaggi risulta ben
più interessante, per l’autrice, rispetto agli eventi stessi che hanno portato
quel mondo interiore a cambiare. Dopo tutto è anche così che avvengono i grandi
cambiamenti, attraverso le epifanie. E poche epifanie sanno essere ben riuscite
come quelle che scaturiscono da eventi insignificanti, quotidiani, ai quali per
qualche motivo ci si avvicina con una nuova prospettiva. Viene in mente, a
proposito di questo, il pirandelliano Uno,
nessuno e centomila: d’altronde non nasce tutto da un insignificante,
banale commento sulla presunta stortura di un naso?
David Valentini
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