La vita prodigiosa di Isidoro Sifflotin
di Enrico Ianniello
Feltrinelli, 2016
pp. 272
€ 9,50 (cartaceo)
€ 6,99 (ebook)
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La vita prodigiosa di Isidoro Sifflotin è un romanzo che scorre veloce, e che trascende la sua trama. Difficile è definirlo senza tradirne lo spirito, senza ridurlo a poca cosa, snaturandolo: al suo interno, si trovano un umorismo schietto e a tratti un po’ greve, con alcune trovate geniali e alcuni passi di reale delicatezza; una lingua impastata di dialetto, ma anche di neologismi e di guizzi creativi; una galleria fitta di personaggi coloriti e ipercaratterizzati, ma sempre vividi, concreti, umanissimi. Protagonista è Isidoro Sifflotin, che per più di metà del romanzo è ritratto nel periodo che precede il suo decimo compleanno, nel 1980, quando ancora non si chiama Sifflotin, ma solo Isidoro Raggiola, o al massimo Isidoro Pocapanza, dato il suo spessore esiguo. È un’infanzia spensierata, quella di Isidoro, illuminata da un talento straordinario: quello di fischiare continuamente, qualunque cosa, e di creare mondi con un nuovo linguaggio.
Non vuole crescere, Isidoro: per non perdere il suo prezioso urlafischio, che lo rende unico; per restare nel nido caldo creato da mamma e papà a Mattinella, nel cuore dell’Irpinia; per continuare a tenere accanto a sé chi ama: il papà Quirino, delegato sindacale, comunista e amante di Bach, grande inventore di parole, di ricorrenze e di rituali, con la sua profonda saggezza, tutta popolare e le sue “Lettere d‘amore scritte in bagno” – per la moglie e il figlio amatissimi, ma anche per i Poveri della terra, per Johann Sebastian Bach Cardiologo Popolare, per il Presidente della Repubblica italiana Alessandro Pertini detto Sandro, e “per l’uomo e per Dio (da non leggersi separatamente)”. E poi la mamma Stella Dimare (perché in paese hanno un gusto tutto particolare per i nomi parlanti), pastaia dal sorriso grande, che ogni sera riscrive la storia del mondo per farlo addormentare; il merlo indiano Alí, maestro e manager; Marella, forte e sfortunata; e poi Renò, che gli insegna la musica, e che la capitale della Francia non è Praga, e quanto mondo c’è fuori dai confini del paesello.
Io volevo tenere tutto quel mondo, che era il mio paese e la mia vita, tutto in un fischio solo, liscio e cicciotto a cannellone lungo, lo volevo tene’ come dentro a ‘na biglia che ti porti in tasca, che quando ti senti solo te la giri tra le dita, [...] e sai che quella biglia è tutta la tua compagnia, dentro ci sta tutto quello che conosci e che ti fa stare bene, ti fa sentire Isidoro Raggiola Pocapanza che quando passa in piazza alle otto di mattina per andare a scuola tutti stanno zitti, perché Isidoro fischia e il merlo risponde. (p. 143)
Quando però, improvvisamente, tutto si rovescia e il suo mondo viene distrutto, Isidoro deve trovare un modo nuovo per esistere. Nel momento in cui la storia del bambino incrocia quella dell’Italia, il 23 novembre 1980, qualcosa cambia, il tempo accelera. Ecco che vediamo quindi Isidoro costretto a crescere suo malgrado, a trovare il modo di sfruttare il suo dono, che è diventato anche il suo unico modo d’esprimersi (perché dopo una notte come quella che ha rovinato tutto, nulla si può più dire).
Nel proseguire delle pagine, ci si rende conto che la vita di Isidoro è straordinaria perché è affollata di persone straordinarie – e perché lui non perde lo sguardo attento che gli consente di cogliere la meraviglia delle cose e delle persone. Ci si mette un po’ per entrare nello spirito del libro, ma bisogna dargli fiducia, perché da un certo punto in poi, quasi inavvertitamente, la narrazione spicca il volo e tu con lei, come gli uccelli che circondando e sostengono il protagonista nei momenti più importanti della sua vita prodigiosa. Enrico Ianniello leva un inno all’innocenza, alla genuinità, ad una semplicità da riscoprire nelle parole e nelle relazioni. Chi legge, è chiaro, deve accettare il patto narrativo, che prevede qualche eccesso voluto, e qualche scena surreale, straniante, e che pure contribuisce a creare il tono generale, particolarissimo, del racconto. E se è vero che “nelle pagine dei libri belli, ci sta scritta la vita che non si riesce a dire” (p. 205), ecco che Ianniello porta sulla pagina proprio questo: la vita, in tutte le sue sfaccettature, anche quelle che non si sarebbe mai pensato di dover narrare.
Carolina Pernigo
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