Spettri di frontiera
di Ambrose Bierce
Adiophora, 2019
trad. Matteo Zapparelli Olivetti
trad. Matteo Zapparelli Olivetti
pp. 280
€ 16,00 (cartaceo)
€ 1,99 (ebook)
Ambrose Bierce, nacque in Ohio nel 1842 e oltre ad essere uno scrittore con uno stile narrativo inconfondibile, visse una vita intensa e piena di colpi di scena; soldato, giornalista, autore di satire americane e critico. Conosciuto per la sua opera Il Dizionario del Diavolo, scomparve in circostanze misteriose, durante la rivoluzione messicana, nel 1913.
Fu scrittore appassionato di mondi collocati tra il reale e il fantastico, con un'anima gotica e con uno sguardo sul soprannaturale, sul mistero. Il suo stile scarno e romantico, anche se con una punta di ironia, fu accostato a Poe. Nonostante le tecniche narrative lo avvicinino molto al suo modello, se ne discostò per ambientare i suoi "orrori" nel contesto storico della guerra civile, quasi assunta a simbolo della condizione umana. Si può ipotizzare un debito di Hemingway e Crane, proprio nei confronti di Bierce, nel loro modo di narrare la guerra. Fu molto apprezzato anche da Lovecraft e Chambers, entrando di diritto nel novero dei più grandi autori del genere. Eppure in Italia è semi sconosciuto ai più, soprattutto per la poca attenzione che il mondo editoriale nostrano gli ha riservato negli anni (tranne per qualche libro della collana Mille Lire della Newton). Almeno fino ad ora, con questa edizione con testo inglese a fronte, realizzata dalla casa editrice Adiaphora, realtà interessante che sta cercando di diritto una propria linea nel mondo delle case editrici, interessate al fantastico e al gotico.
In questa raccolta il filo conduttore che lega i racconti è la vita di chi ha scelto di stare al limite, che può essere inteso in senso geografico, ovvero la frontiera americana (in riferimento alla colonizzazione) o in senso sociale, l’emarginazione, o ancora in senso affettivo, nelle tragedie dell'abbandono e della violenza domestica.
La raccolta si apre con un racconto pubblicato sul settimanale San Francisco News Letter and California Advertiser, il 25 dicembre del 1886 ovvero An Inhabitant of Carcosa, Un Abitante di Carcosa, racconto in prima persona di un uomo che si risveglia in un luogo che non riconosce, e che dopo aver chiesto indicazioni ad uno sconosciuto, in una lingua indecifrabile, scopre di essere lontano dalla città di Carcosa, che sarebbe la sua e di essere seduto sulla sua stessa lapide, mentre l'alba di un nuovo giorno gli mostra le rovine di questa città. Carcosa sarebbe il toponimo latino della città di Carcassone, ma è anche il prototipo della città maledetta, in rovina già prima della sua nascita, nonché uno dei topos letterari di Bierce più ampiamente diffusi tra i suoi epigoni. Ad esempio Robert W. Chambers la cita nel libro del 1895 dal titolo Il Re in Giallo. Così come un altro personaggio ricorrente in Bierce è il famoso filosofo Hali, a cui Bierce affida queste parole:
Poiché vi sono diversi tipi di trapasso... Alcuni, nei quali il corpo permane, e altri, in cui esso svanisce assieme allo spirito. Ciò accade di norma in solitudine (tale è la volontà di Dio) e, non vedendo la fine, ci raccontiamo che l'uomo è perduto, o che è partito per un lungo viaggio... Cosa che, in effetti, egli ha fatto. Ma, talvolta, ciò è accaduto davanti agli occhi di molti, come dimostra un'ampia testimonianza al riguardo. In un certo tipo di trapasso anche lo spirito decade, ed era risaputo che, quando ciò avveniva, il corpo rimaneva in vigore ancora per lunghi anni. Talora, come attestato in modo veritiero, esso trapassa assieme al corpo, ma dopo un certo tempo risorge nel luogo dove quest'ultimo è marcito. (p. 25)
Chi sono i protagonisti di questi racconti? Ci sono giornalisti, uomini d’affari, delinquenti e reietti, ci sono esploratori e uomini di fede, gente comune, tutti vivono al margine, al limite, sono tutti fermi dentro una qualche frontiera. Spesso sono frontiere che hanno voluto oltrepassare e quindi restano in bilico, sospesi tra una dimensione e l’altra.
Spesso hanno goduto di ottima fama nella loro comunità e quindi tacciono sui fenomeni inspiegabili che vivono.
È un’umanità vista in bilico, tra un passato inenarrabile e un futuro incredibile oppure tra segreti dimenticati che continuano a reiterarsi, perché taciuti. Tra i racconti più belli di sicuro Il segreto della gola di Macarger (The Secret of Macarger's Gulch) del 1891, in cui un esploratore descrive l’orrore di essere rimasto bloccato nel mezzo del nulla, ma non completamente esposto, riparato dentro una casa che non ha porte.
Tuttavia, mancava qualcosa. Provavo un senso di sollievo, ma non di sicurezza. Mi ritrovai a fissare la porta aperta e la finestra vuota con più frequenza di quanto trovassi motivo di farlo. Al di là di quelle aperture tutto era buio e non riuscivo a trattenere una certa apprensione, perché la mia fantasia dipingeva il mondo esterno riempiendolo di entità ostili, naturali e soprannaturali. (p. 121)
Spesso torna la sensazione di essere dentro un posto dove a far paura sono le barriere, che siano porte o finestre, come ne La finestra sbarrata (The Boarded Window) del 1891. Anche le strutture architettoniche sono quindi innalzate a livello di protagonisti, o gli oggetti che in qualche modo segnano un confine, come nell’Orologio di John Bartine ( John Bartine's watch) del 1893.
L’orrore ha un suo acme nel nodo narrativo centrale di ogni vicenda, ma man mano, quando ci si allontana da quel limite, o da quel picco, perde di efficacia, si dissolve, come la luce, e diventa cornice a sua volta, segnando sempre con precisione un prima o un dopo nel livello di paura e terrore che il racconto ci comunica.
Le storie dei protagonisti sono raccontate in prima persona o attraverso fonti primarie o addirittura come fossero aneddoti, e anche qui c’è un ulteriore frontiera, quella della voce narrante, spesso forzata e violata, ad uso e consumo del racconto. C'è addirittura un racconto narrato dal punto di vista dei tre diversi testimoni The Moonlit Road del 1907, in cui ritorna il medium Bayrolles, già presente nel primo racconto e che ricorda da vicino una narrazione dello scrittore giapponese Akutagawa Nel bosco, da cui Kurosawa ha ricavato un film splendido e che è narrato attraverso le confessioni in prima persona dei personaggi, ovvero sette testimonianze, rilasciate ad un giudice-lettore, con l'intento di far passare in secondo piano l'aspetto investigativo del racconto a favore di quello morale.
L'ultima frontiera che Bierce vuole varcare sembra infatti essere quella tra il mondo letterario dei suoi personaggi e quello reale dei suoi lettori. Cosa c'è di più spaventoso che accorgersi che il mondo dei vivi è popolato di spettri reali, più di quanto siamo disposti ad ammettere?
Samantha Viva