La caffettiera
di Théophile Gautier
Tabula fati, ottobre 1999
Traduzione di Giuliana Cutore
pp. 32
€ 3,00 (cartaceo)
L'anno scorso venni invitato, insieme a due miei compagni di studio, Arrigo Cohic e Pedrino Borgnioli, a trascorrere qualche giorno in una tenuta nel cuore della Normandia. Il tempo, che alla nostra partenza prometteva di essere superbo, pensò bene di mutare all'improvviso, e cadde così tanta pioggia che le strade incassate sulle quali camminavamo erano come il letto di un torrente. Sprofondavamo nel fango sino alle ginocchia, uno spesso strato di terra grassa si era attaccato alle suole dei nostri stivali, e il suo peso rallentava talmente i nostri passi, che arrivammo a destinazione soltanto un'ora dopo il tramonto del sole.
L'incipit del racconto fantastico La Caffettiera di Théophile Gautier è coinvolgente, rapisce nell'immediato il lettore catapultandolo nella realtà che il protagonista sta vivendo: una gita fuori porta con due amici, l'imprevisto del tempo e un ritardo nelle aspettative d'arrivo. Ma è solo l'inizio, in tutti i sensi.
Gli amici, dopo aver cenato, avvertono la stanchezza pesante del viaggio e si ritirano nelle proprie camere. Il protagonista rimane impressionato dallo sfarzo barocco dell'arredamento: grandi quadri che ritraggono gli antenati del proprietario della casa, tappezzeria con ritratti di cavalieri, vari suppellettili e ninnoli, come candele e tabacchiera di madreperla con tabacco fresco. Appena si distende nel letto per dormire, avverte un brivido di paura, ma si gira dall'altra parte e cerca di dormire. Ad un tratto tutto si anima: allo scoccare delle undici il più grosso e autoritario ritratto prende vita e non senza fatica salta fuori dal quadro e si dirige verso gli altri dipinti per dar vita, con una chiave, anche ad altri personaggi. Nel mentre la caffettiera presente nella stanza saltella verso il caminetto e si posiziona sopra i tizzoni ardenti. I commensali si riuniscono tutti al tavolo e in un baleno il caffè è pronto per tutti. Chiacchierano amabilmente senza mai guardarsi negli occhi perché fissano, nessuno escluso, il pendolo. Non appena si fa mezzanotte, il signore che per primo ha preso vita, quello più grosso e autoritario, annuncia che possono iniziare le danze. Ed è quanto accade: ognuno di loro inizia a danzare accompagnato dalla musica suonata da un'orchestra italiana.
Teodoro, il protagonista rimane sbalordito, ammutolito, ancora immobilizzato dentro al letto fino a quando non nota lei, Angela.
Io vidi qualcosa che mi era sfuggito: una donna che non danzava. Se ne stava seduta su una bergère all'angolo del camino, e non sembrava minimamente prendere parte a quel che accadeva intorno a lei. Mai, nemmeno in sogno, era apparso dinanzi ai miei occhi nulla di così perfetto: una pelle d'un biancore abbagliante, capelli d'un biondo cinerino, lunghe ciglia e iridi turchine, così chiare e trasparenti che ne vedevo trasparire l'anima con la stessa nitidezza di un ciottolo sul fondo d'un ruscello. E io sentivo che, se mai fossi giunto ad amare qualcuno, questo qualcuno sarebbe stata lei.
S'instaura subito una lisergica intesa, perfetta, intensa. I due si capiscono al volo, senza quasi parlare. Teodoro esce dal letto, scambia due battute con Angela, ma desidera ardentemente danzare con lei. Per timore non osa domandare e, come per magia, lei gli risponde che possono ballare assieme. La sala si ferma, nessuno balla più per poter ammirare la coppia. Attorno a loro partono gli applausi, ma Teodoro non percepisce il suono. Angela si stanca, deve sedersi e rimasta una sola sedia libera, la divide con il protagonista. Giunge l'alba e lei si alza di scatto per fuggire e cade a terra. Per lo shock Teodoro sviene.
Il giorno seguente il protagonista viene svegliato dagli altri ospiti. Non sa dare una spiegazione del perché indossi l'abito di matrimonio del nonno del proprietario della casa e men che meno riesce a giustificare come mai tenga tra le mani un coccio.
Il pranzo finì, e siccome pioveva a dirotto non c'era modo di uscire; ognuno tentò di ammazzare il tempo come meglio poteva. Borgnioli tamburellava marcette militari sui vetri; Arrigo e l'ospite fecero una partita a dama; io presi dal mio album un foglio e mi misi a disegnare. Le linee quasi impercettibili tracciate dalla mia matita, senza che ci avessi minimamente pensato, si disposero a raffigurare con la più strabiliante esattezza la caffettiera che aveva giocato un ruolo tanto importante nella mia avventura notturna.
Ma chi è Angela? E cosa è successo?
Lo stile di Théophile Gautier è al contempo incalzante e elegante, leggero e volitivo, romantico e sublime. Non sorprende dunque che abbia ottenuto grande successo con il feuilleton Il Capitan Fracassa, ma anche in questo piccolo racconto è possibile assaporare tutta la fantasiosa genialità del maestro di Charles Baudelaire. Ci sono tutti gli ingredienti che caratterizzano la particolarità dello scrittore, poeta, giornalista e critico letterario: assurda fantasia, sofisticato romanticismo francese e un'ipnotica scorrevolezza del testo.
Accurate e mai pedanti descrizioni fanno trapelare le sue acerbe passioni per la pittura e successivamente anche per la poesia: con la penna intinta di parole dipinge gli scenari circostanti con la delicatezza che si riserva agli acquarelli.
Trapela una psichedelica fantasia nella trama che lascia di stucco perché è un rapido viaggio irreale che porta lontano.
La caffettiera, racconto noto anche con il titolo “Angela”, è stato scritto da un giovanissimo Gautier appena ventenne e si presterebbe benissimo ad essere messo in scena a teatro tra descrizioni certosine e repentini quanto animati momenti festosi.
Non sorprende, leggendolo, come mai Charles Baudelaire dedicò all'amico, ma ancor più maestro, I fiori del male.
«Al poeta impeccabile
Al perfetto mago in lettere francesi
Al mio carissimo e veneratissimo
Maestro e amico
Théophile Gautier
Con i sentimenti di più profonda umiltà
Io dedico
Questi fiori malsani.»
[Charles Baudelaire, I fiori del male, dedica a Théophile Gautier]
Alessandra Liscia